Skip to main content

11 Febbraio 2014 …. un anno dopo

Dimissioni ….. Un anno dopo ____________________________________________________a cura di Padre Rinaldo CORDOVANI * 

11 febbraio 2013, ore 11

Città del Vaticano. Era l’11 febbraio 2013 alle ore 11. Il Papa aveva riunito i cardinali per la Canonizzazione di alcuni Beati nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano. Un incontro di ordinaria amministrazione. Ad un certo punto Benedetto XVI inizia a leggere un foglio, scritto in latino e firmato da lui il giorno prima. Una giornalista dell’ANSA, che aveva frequentato il liceo classico, improvvisa una traduzione italiana. La notizia fa il giro del mondo: il Papa si è dimesso! Radio, Tv, internet, FaceBook, twitter, cellulari, agenzie giornalistiche e redazioni di tutti i mezzi di comunicazione entrano in fibrillazione. In tutto il mondo. Sì perché non c’è altra autorità simile a quella del Papa, che ha un piccolo  territorio che forma lo Stato della Città del Vaticano, ma è il successore di San Pietro, il Papa. Una decisione maturata “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”.

Ai suoi cardinali ha detto così: “ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.

Chi ha buon palato educato dallo studio dei classici al gusto del latino letterario, avverte il sapore sottile del bel latino delle parole del Papa. Eccole: bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commissum renuntiare.

 “Ingravescente aetate”

 I motivi della sua rinuncia “al ministero di Vescovo di Roma, successore di San Pietro,” li ha detti in quel brevissimo discorso. Eccone uno: “Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per il peso dell’età che è sempre più grave, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Anche qui è importante la frase latina ingravescente aetate. Nel verbo latino “ingravescere” c’è il senso di una progressiva e ineluttabile azione dell’età che “grava”, che “pesa” sempre più sulla persona. Il verbo latino ingravesco, è incoativo e, in più,  con quel suffisso intensivo davanti – in – assume il peso di una gravezza che appesantisce i movimenti del corpo, se non li inibisce del tutto e che va sempre crescendo. Sono due parole scritte da Cicerone riguardo all’amicizia (De Amicizia,X,6) e da Eutropio riguardo alla rinuncia di Diocleziano al principato.

Qualcuno, proprio in riferimento alle dimissioni di Diocleziano che abdicò all’impero “ingravescente aetate et senectute appropinquante”,, per vivere  il resto della vita in privato,  quando l’Impero Romano era già in fase di decadenza, ha voluto vedere nel gesto del Papa tedesco il precipitare della fine della Chiesa cattolica.

A mio parere, il Papa, usando questa frase così carica di storia, si è riferito soprattutto al Motu proprio di Paolo VI, nel quale si stabilisce che i vescovi diano le dimissioni “qualora per troppa avanzata età o per altro grave motivo diventassero meno capaci di adempiere il loro compito”. Età fissata poi dal codice di Diritto Canonico a 75 anni. C’è da ricordarlo che il Papa è il Vescovo di Roma?

Soffrendo e pregando

Inoltre, ha detto il Papa ai cardinali, di essere “ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”.

Se l’età e gli acciacchi della vecchiaia indeboliscono il fisico fino a ridurlo, col passare degli anni, a all’impotenza, o quasi,  c’è un altro modo di servire la Chiesa: con la sofferenza e la preghiera. E Papa Benedetto XVI ha scelto quest’ultimo servizio, appena si è accorto di non essere più su misura per esercitare il primo, cioè quello dell’azione e della parola. Infatti, ha concluso il suo discorso dicendo: “Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio”.

Ho voluto essere presente agli ultimi incontri di Papa Ratzinger: con il clero della diocesi di Roma, all’Angelus di domenica e all’ultima udienza in Piazza San Pietro il 27 febbraio. Ho veduto un uomo  fragile nel fisico, emaciato e  con difficoltà di muoversi. Lucidissimo nella sua intelligenza e di una sorprendente freschezza nello  spirito. E mi ha fatto pensare. Molto.

Papa Ratzinger è vissuto per anni vicino a Giovanni Paolo II, ha sofferto con lui fino agli ultimi istanti il male che lo ha progressivamente devastato. Ha veduto la sua fede e la testimonianza del valore della sofferenza e della preghiera. Ha vissuto le problematiche  poste dall’impotenza del Pontefice nel governo della chiesa universale e nei rapporti con la Curia romana. E ne ha fatto tesoro a modo suo. Mi è sembrato evidente quando l’ho veduto scomparire di spalle dalla finestra dopo l’Angelus in Piazza San Pietro. E se è vero il proverbio che Dio manda il freddo secondo i panni, in quegli anni il mondo aveva bisogno della testimonianza, dell’esempio dato dal Papa polacco. Nel nostro tempo lo stesso Dio ci ha offerto come segno il gesto profetico del Papa tedesco.

VT-IT-ART-23209-Ratzi_Bergo

“Dalla fine del mondo”

Con queste parole Papa Bergoglio si è presentato al mondo appena eletto: un cardinale, scelto dai suoi colleghi “dalla fine del mondo” per essere “Vescovo di Roma”. Dopo un Papa polacco “venuto da lontano” e un Papa pastore-prof. tedesco, dopo tanti papi europei, i cardinali – i cattolici dicono: lo Spirito Santo – arriva uno non europeo, sul quale non grava il “cultus atque humanitas”, il Medioevo, l’umanesimo-rinascimento… che hanno sostanziato la civiltà latina prima e quella europea poi, con tutti i suoi Principati, compreso lo Stato Pontificio. Il nuovo personaggio alla ribalta della chiesa cattolica è figlio d’immigrati italiani, formato anche – come gesuita – alla scuola romana del suo Istituto. Ma non sembra avere un gran che di radici europee. Nella nota intervista rilasciata al direttore della rivista dei Gesuiti, la Civiltà Cattolica, il 19 agosto scorso, ha confidato: “Io non conosco Roma. Conosco poche cose. Tra queste, Santa Maria Maggiore: ci andavo sempre. Conosco San Pietro, ma venendo a Roma ho sempre abitato in Via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di San Matteo di Caravaggio. Quel dito di Gesù…così verso Matteo. Così sono io. Come Matteo… Ecco, questo sono io: un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”.

E c’è una confidenza molto personale riferita agli anni nei quali è stato superiore dei Gesuiti: “è stato il mio modo autoritario di  prendere le decisioni a creare problemi. Dico queste cose come esperienza di vita e per far capire quali son i pericoli [dell’autoritarismo]. Col tempo ho imparato molte cose”.

Una delle cose che ha imparato e, come Papa, gli crea imbarazzo è questa: “Io riesco a guardare le singole persone, una alla volta, a entrare in contatto in maniera personale con chi ho davanti. Non sono abituato a parlare alle masse”. E sta imparando anche questo: ad essere, sì il Vescovo di Roma, ma soprattutto il Papa. Guardare le singole persone negli occhi in Argentina da Vescovo di Buenos Aires era, forse, ancora possibile, ma farlo a Roma dall’alto della finestra dell’appartamento pontificio o in piazza San Pietro o nell’Aula Paolo VI o nella giornata mondiale della Gioventù a  Rio de Janeiro…

 Un nome. Un gesto. Un sogno

La prima sorpresa del nuovo inquilino del Vaticano è stata il nome da lui scelto: “Habemus Papam qui sibi nomen imposuit Franciscum”.Il santo missionario gesuita Francesco Saverio? La gente ha applaudito il nome del santo di Assisi, come poi lui stesso ha avuto modo di precisare. Mai sentito un Papa chiamarsi così. Eppure è trasparente il segno: mettere insieme il carisma di Ignazio di Loiola e della sua Congregazione con quello di Francesco d’Assisi. Nell’intervista citata, dirà di se stesso: “Posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo”.

Subito dopo l’annuncio del nome, il nuovo Papa, è apparso dalla Loggia delle benedizioni sulla facciata della basilica vaticana, spoglio di vari orpelli soliti ad indossarsi dal personaggio in una simile circostanza. Ha detto: “Buona sera…. E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me. […] ». Si è chinato. In silenzio assortoE tutti, così, come lui. Piazza San Pietro, gremita di gente, improvvisamente silenziosa, cullata dallo sciabordare dell’acqua delle fontane. Così, nel silenzio, se non anche nella preghiera, il mondo, mai così unito ed assorto in un attimo di comunione senza parole.

Papa Francesco, “venuto dalla fine del mondo”, ha un sogno, che ha confidato nell’intervista del 19 agosto: “Sogno una Chiesa Madre e Pastora”.

Papa Benedetto, nel suo eremo-monastero, all’ombra della cupola di San Pietro, nutre con il silenzio,con la sofferenza, con la preghiera e la contemplazione operosa, questo sogno per il bene di tutti.

 

 

* Docente, Ricercatore e Saggista – Archivista Provinciale dei Frati Cappuccini

La Redazione  è ben lieta che Padre Rinaldo abbia ripreso la sua collaborazione con la Consul Press.  Per leggere i suoi precedenti interventi, visionare la sezione “Blog d’Autore”