TFR o QUIR
TFR o QUIR – Carta vince, carta perde __________________Torquato CARDILLI
Il successo di un’iniziativa che ha un effetto diretto sul bilancio familiare, sottoposta al vaglio delle persone, si misura dal grado spontaneo di adesione trasversale nella società che va ben oltre gli steccati dell’appartenenza politica, perché con il proprio portafoglio la gente fa migliori conti che con la propria coscienza. Ci siamo già occupati la settimana scorsa sotto l’aspetto costituzionale di QUIR, la cosiddetta quota integrativa della retribuzione, riassunta in un acronimo abbastanza ingannevole. Ritorniamo ora sull’argomento dal punto di vista meramente economico.
Stando ai primi dati diffusi da Swg e Confesercenti solo uno scarso 5% degli aventi diritto ha optato per il QUIR. Come mai un’adesione così bassa? La gente ha capito che non si tratta di ricevere un’integrazione della propria retribuzione; se fosse tale (integrazione vuol dire completamento, aggiunta di ciò che manca) sarebbe gratuita. In realtà per ottenerla bisogna prelevare qualche decina di euro in più al mese dai propri risparmi accantonati.
Quelli che hanno aderito è sperabile che abbiano ben ponderato la scelta, che ha il carattere di decisione capestro perché è valida per 40 mesi (una volta presa non si può tornare indietro fino a metà 2018) e cosa ancora più grave sottoporrà questo modesto gruzzoletto ad una volontaria cresta da parte dello Stato. Su di esso infatti grava una tassazione maggiorata rispetto all’aliquota preferenziale ora prevista, con l’aggravante per il lavoratore più agiato di fare scattare anche una maggiorazione di aliquota Irpef.
Chi non ha aderito sa che la liquidazione del TFR continuerà ad essere regolata dalla normativa fino ad ora vigente che consente una tassazione più favorevole e se lasciato in azienda o in un fondo pensione consente una rivalutazione dell’1,5% all’anno più il 75% dell’inflazione.
Dopo tante chiacchiere e fumi propagandistici tipo “carta vince, carta perde” il Quir si è dunque rivelato per quello che è. Prospettando l’opportunità di ricevere un uovo oggi rispetto alla gallina di domani, camuffa uno svantaggio, un gravame aggiuntivo per i lavoratori, infiocchettato a dovere dall’affabulatore fiorentino in cui crede il 37% degli italiani che non si pongono il problema della verifica della realizzabilità delle facili promesse di benessere.
Al lucro cessante della mancata rivalutazione si aggiunge il danno emergente della più pesante tassazione, e come al solito questo danno sarà maggiore per chi percepisce uno stipendio inferiore.
Poniamo il caso di un lavoratore trentenne, quindi con una prospettiva di lavoro di almeno altri trenta anni, con un reddito attuale di 13 mila euro netti l’anno (1.000 al mese più tredicesima) che credendo di poter fare fronte con più agio alle esigenze economiche quotidiane resti irretito dalla prospettiva del Quir. Aderendo a questa offerta pelosa del Governo incasserà mensilmente un’aggiunta di 66 euro netti corrispondenti a 2.800 euro netti nel periodo dei 40 mesi, e rinuncerà al TFR postecipato di 4.288 euro subendo una decurtazione del 35% rispetto a quanto riceverebbe se avesse lasciato il TFR in azienda; per un quarantenne con stipendio netto mensile di 1.500 il Quir sarebbe di 4.520 euro nei 40 mesi, mentre la rinuncia al TFR sarebbe di 6.278 euro con una decurtazione del 28%; infine per un cinquantenne con 2.000 euro netti al mese di stipendio il Quir sarebbe di 5.480 euro con rinuncia ad un TFR di 7.275 cosa che equivarrebbe ad una perdita del 25%.
Queste simulazioni sono state realizzate da Progetica, una società di consulenza in pianificazione finanziaria e previdenziale secondo cui non c’è dubbio che da un punto di vista finanziario grazie a un regime fiscale più favorevole e alla rivalutazione nel tempo, conviene sempre mantenere il Tfr in azienda. L’opzione del Quir in busta paga è infine decisamente penalizzante dal punto di vista fiscale; le somme ricevute saranno infatti soggette all’aliquota progressiva Irpef. L’operazione può considerarsi neutra solo per i lavoratori con una retribuzione lorda al di sotto dei 15 mila euro l’anno, scaglione al quale si applica l’aliquota marginale del 23%, la stessa che è prevista con la tassazione separata. Salendo negli scaglioni di reddito, le differenze diventano sempre più rilevanti perché sale l’aliquota progressiva.
Per un lavoratore con una retribuzione lorda di 25 mila euro, il Tfr annuo di 1.727 euro, incassato attraverso il Quir in busta paga è soggetto ad una tassazione del 27%, per cui si riduce ad un netto di 1.261 euro l’anno, cioè 105 euro al mese; se fosse invece assoggettato a tassazione separata subirebbe un prelievo fiscale di 60 euro in meno al mese attestandosi a euro 166 per l’intero periodo (primo marzo 2015-30 giugno 2018).
Infine per una retribuzione di 50 mila euro, il Quir di 3.454 euro, sottoposto ad un prelievo fiscale del 38%, si ridurrebbe a 2.141 cioè a 178 euro netti al mese; se incassato senza Quir al momento della pensione le tasse sarebbero inferiori di 307 euro all’anno. C’è da domandarsi quanti deputati, quanti senatori, quanti ministri, più o meno convintamente piddiferi si siano resi conto di queste cifre e se approvandole pensino sinceramente di fare un favore ai lavoratori ai quali andrebbe invece consigliato di pensare oggi a costruirsi una pensione integrativa visto lo stato dei conti dell’INPS.