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Riflessioni sulla coscienza

FORMAZIONE DELLA COSCIENZA  –  Non possiamo sottovalutare questo ruolo della comunità nella crescita e nella preservazione di una sana attività morale. E innanzi tutto perché nella vita di ogni fanciullo passano degli anni prima che egli possa, con il proprio intuito, distinguere il bene dal male. Durante questo tempo sono prima di tutto i suoi genitori che fungono come sua coscienza e come sostegno al suo comportamento morale. A partire da quella che si chiama “età della ragione”, la coscienza psicologica più evoluta del fanciullo sottomette progressivamente gli ordini e gli interdetti ricevuti al suo giudizio personale, deliberando, pure progressivamente, di volta in volta di accettarli o di rifiutarli.

Per lungo tempo ancora, la coscienza infantile resterà principalmente uno specchio e il suo modo di agire, in gran parte, mimetico. Frequentemente, con l’avanzare dell’età e sotto l’impulso del suo desiderio presuntuoso di indipendenza, il ragazzo vorrà spezzare il legame che lo unisce ai genitori. Ma molto spesso ancora si affretterà a cercare un nuovo specchio e un nuovo seguito: sarà un determinato gruppo giovanile, saranno determinati idoli, i quali incarnano, ai suoi occhi, la sua generazione, che gli indicheranno principalmente la sua scala dei valori e la sua maniera di agire. Questo spirito gregario non si scopre anche nelle decisioni di molti adulti ?  E la comunità non continua a svolgere un ruolo importante, nel giudizio della coscienza e della condotta, in ogni uomo arrivato al termine della sua crescita ?  L’esperienza ci insegna che egli pure dipende, in larga misura, dai propri simili.

Indubbiamente, per ogni situazione nuova, la soluzione dei problemi morali particolari di ciascuno si troverà nel’originalità creatrice della coscienza. Ma nella maggior parte dei casi, l’uomo non arriva a formarsi un giudizio e a porre un atto umanamente valido se non appoggiandosi sul giudizio altrui, ricorrendo costantemente al dialogo ed alla collaborazione con coloro che ricercano ugualmente il bene e restando, infine, in ascolto delle risposte fornite dall’autorità e dalla tradizione .

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IL PROBLEMA –  Si pone una questione fondamentale a proposito dell’esistenza umana: una fatalità pesa sul’uomo?  Diviene egli vittima della propria libertà?  Può egli evitare che l’ago calamitato, sensibile e puro della coscienza, sia talvolta incapace di trovare il nord?  Può egli evitare che, alla vista del bene da raggiungere, resti in qualche modo inchiodato al suolo per mancanza di energia o di generosità?  Dispone l’uomo di mezzi per prevenire gli errori tragici della coscienza?  Può ottenere dai propri simili o da Dio stesso una forza d’animo supplementare e risanatrice?  Il giudizio personale della coscienza e il suo impegno costituiscono indubbiamente la sorgente più profonda della libertà umana e del’azione morale. Ma l’uomo è per natura un essere sociale  e senza l’aiuto del suo prossimo non è in grado di compiere l’opera della sua vita.

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ERRORI –  Quando un uomo deve giudicare nell’intimo della coscienza se, ponendo questo atto concreto, egli orienta la sua vita nella buona direzione, può sbagliarsi al cento per cento. Può rispondere in maniera inesatta a questioni concrete; può, in buona fede, effettuare una scelta che non lo arricchisce affatto. Non è per nulla acquisito che la sua opzione fondamentale per il bene possa prevalere al punto da non essere più esposto a lasciarsi sorprendere nella sua buona fede. Accade che giudichiamo male la situazione, che sottovalutiamo certi dati o ne sopravalutiamo altri. Possiamo ugualmente essere radicati in determinati pregiudizi. Talvolta altri ci ingannano e noi diventiamo vittime dei loro errori. Può accadere che valutiamo in maniera errata le conseguenze dei nostri atti.  Chi può assicurarsi che la nostra sincera ed intima volontà di essere noi stessi non raggiunga, nonostante tutte queste influenze, una soluzione cattiva, mentre noi pensavamo di aver preso una buona decisione?  In questo caso l’uomo crede sinceramente di dover marciare in questa direzione cattiva per raggiungere il bene. Tale decisione della coscienza – che sbaglia in buona fede – deve essere seguita incondizionatamente. Ciò non toglie che abbiamo scelto una strada che, in fin dei conti, non ci arricchisce, né ci perfeziona.

Con una identica buona fede, l’uomo può prendere una cattiva decisione nel momento di una scelta fondamentale e che diviene il punto di partenza di una serie di atti incresciosi. Accade troppo spesso che l’uomo si dibatta in difficoltà materiali o morali senza via di uscita. Con tristezza profonda, egli ricorda quindi la sua opzione iniziale, fatta liberamente senza dubbio e intatta lealtà, ma che rappresentò, da parte della sua coscienza, un tragico errore. Succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non non si può dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene  e quando la coscienza diviene quasi cieca in seguito al’abitudine dell’errore.

                                                                                                                          Don  Walter TROVATO –  Presidente Istituto San Benedetto per l’Europa