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Quantitative Easing

I volti del “Quantitative Easing” di Francoforte_______________________di Dino TARQUINI 

È oramai partito, dal giorno seguente la festa della donna, l’ingente piano di politica monetaria della BCE: l’acquisto di bond che passerà agli annali con il nome di “Quantitative easing”. Sessanta miliardi di euro al mese, fino a settembre 2016, per un totale di 1140 miliardi saranno iniettati nel sistema economico, con la speranza, per nulla celata (elemento non di poco conto, considerato il ruolo giocato dalle aspettative nell’economia) di rilanciare la crescita, ponendo fine alla cupa fase di politiche restrittive denominata dai mass media con l’ormai celebre quanto tetro termine di “austerity”.

 Si tratta a ben vedere di un vero e proprio bazooka, il quale andrebbe conosciuto meglio, data la portata della manovra e considerata l’inevitabile produzione di effetti, benefici o meno, sul sistema europeo da parte di essa. Privata di uno strumento importante, quale i tassi di interesse (non è più possibile agire efficacemente per mezzo di essi, considerata la loro prossimità allo zero), la BCE ha individuato un mezzo non convenzionale per stimolare l’economia, incoraggiando prestiti ed investimenti: l’aumento della base monetaria e, attraverso di essa, dell’offerta di moneta così da destinarla all’economia reale. Tale processo comporterà delle operazioni di mercato aperto, ovvero l’acquisto di titoli sul mercato secondario, pertanto prevalentemente da banche ordinarie ed altre istituzioni finanziarie, dato che lo statuto della BCE non permette acquisti sul mercato primario, quindi, semplificando, alla fonte.  La strategia del policy maker potrebbe portare vantaggi o presentare  note dolenti, ed alcuni si sono già palesati nei primi giorni del Q-E.

Approcciandoci in modo laico al tema, senza avere pregiudizi e cercando di evidenziare in modo chiaro ed il meno complesso possibile i pro e gli eventuali contro della strategia in corso di implementazione vorrei osservare il nostro oggetto di discussione da una pluralità di alternativi punti di vista. Un keynesiano, quale magari il Maestro del Presidente Draghi – Federico Caffè – potrebbe riscontrare quali effetti positivi il contrasto alla deflazione imperante, così da poter scongiurare “l’effetto Giappone” e non cadere nella vischiosa situazione in cui si imbattè il paese asiatico. Sicuramente da annoverare tra gli obiettivi keynesiani da raggiungere con una manovra accomodante di allentamento quantitativo abbiamo il rilancio della spesa privata, gli investimenti, mediante un’opportuna riduzione dei tassi di interesse, con conseguente inflazione in tali mercati. Ciò risulta fondamentale poichè si otterrebbe una significativa riduzione della componente del servizio sul debito nel bilancio pubblico italiano, poichè gli interessi da pagare sui titoli saranno minori, ponendo fine all’incubo italiano, ma non solo, dello spread. Ovviamente i minori oneri per il debito porterebbero a liberare risorse necessarie per provvedimenti a favore della crescita, tanto citati e poco posti in essere, per la gioia di Renzi e compagni (onestamente non so fino a che punto si possa definirli “compagni”!). Beneficio da non sottovalutare assolutamente risulta essere l’incremento di competitività dell’eurozona, con la parità euro-dollaro alle porte, così da rilanciare l’export e arrivare a miglioramenti nelle bilance dei pagamenti dei vari stati. In ultimo, ma non ultimo, da notare la possibilità per le banche europee di rimodulare i propri bilanci, aprendo la strada ad erogazioni di prestiti ed all’acquisto di titoli azionari. Se da una parte i keynesiani, a lungo sofferenti nel vedere il policy maker europeo poco interventista, soprattutto alla luce della “sincresi” con una Federal Reserve accomodante e con alla mano un calendario definito di azioni a sostegno dell’economia statunitense, brindano per il primo passo, anche se ritardato, della BCE, dall’altra i monetaristi non possono certo non far notare quelli che, a loro giudizio, sono i pericoli di una politica siffatta.

I seguaci di Milton Friedman, privilegiati nelle tesi statutarie dell’autorità francofortese, la quale ha inserito nel suo “ordinamento giuridico” come regola aurea la stabilità dei prezzi, al contrario della Fed, la quale accompagna a tale obiettivo conservatore la mission del reddito di pieno impiego, sono dubbiosi, per non dire delusi da tale intervento. Certo, l’obiettivo rimane sempre una inflation rate che si aggira intorno al 2%, tale da legittimare una intromissione della mano pubblica nel sacro libero mercato finalizzata a riportare allo “steady state” desiderato dal policy maker, direbbero taluni ammiratori della scuola di Chicago, ma i più intransigenti non accettano un’azione così lontana dai loro principi. Vediamo sommariamente cosa potrebbe, dal loro angolo di osservazione, andare storto. In primis, i neoclassici storicamente hanno nel loro dna l’avversione per ogni intervento pubblico, il quale distorcerebbe i mercati, drogandoli e creando instabilità, allontanandoli dal naturale equilibrio in cui stazionerebbero se lasciati liberi a se stessi. Morale della favola: il Q-E non influenzerà affatto le variabili reali,  quali il reddito e l’occupazione, che torneranno più o meno rapidamente al loro livello standard, ma farà mutare solamente le variabili nominali, come il tasso di inflazione. A detta dei più radicali, figli della Nuova Macroeconomia Classica, il ritorno all’equilibrio sarà immediato, sapendo che le aspettative razionali degli individui causeranno una reazione istantanea. Coloro che, oggettivamente in modo più realistico, pur muovendosi in campo liberista e monetarista ammettono l’esistenza di informazioni incomplete prevedono una “vacatio” durante la quale si registreranno degli scostamenti dall’equilibrio. Il risultato finale, per tutti loro, sarà comunque lo stesso: l’inefficacia, almeno nel lungo periodo, della policy. “In the long run we are all dead” affermava Sir Jhon Maynard Keynes, ed oggi in molti la penserebbero come lui: “fate presto!”. Sono comunque molti gli ambienti, oltre a quelli tipicamente monetaristi, ad averci messo in guarda dalla fantomatica quanto temibile trappola della liquidità.

Di nuovo i giapponesi ci insegnano, loro malgrado, come dei saggi di interesse eccessivamente bassi, così che i soggetti economici li possano ritenere giunti presso un “minimum”, causano un inarrestabile trend a domandare, speculativamente, moneta, aspettando il momento in cui il tasso di interesse torni a crescere (momento creduto sempre prossimo, poichè il saggio non può scendere oltre tale livello) e, conseguentemente, il prezzo diminuisca; nel contempo il mercato risulta congelato e gli agenti propendono per riempire i loro portafogli con moneta piuttosto che con titoli. Ad onor del vero, tale situazione sarebbe ancora più drammatica per i keynesiani, i quali non avrebbero più da giocarsi la carta della policy monetaria accomodante. Ebbene il Q-E vorrebbe abbassare ancor di più i tassi di interesse: “achtung!” sobbalzerebbero i tedeschi!  In ultima analisi, come si può intendere dall’esistenza di divergenti possibili approcci al tema, è bene rammentare come le teorie economiche non sempre, o comunque non totalmente, siano in grado di leggere la realtà in modo esatto e puntuale; ognuno, in base ai suoi principi ed alla sua forma mentis cerca di cogliere degli aspetti ritenuti significativi, ma i fatti spesso si incaricano di dichiarare falso o parzialmente vero il suo ragionamento. Pertanto, sebbene applicare le tesi economiche alle fattispecie concrete sia un giuoco allettante, ricordiamo come sia assai complesso prevedere cosa accadrà in futuro sui mercati. A tal proposito mi piace ricordare come Keynes definiva gli istinti che guidano i soggetti economici nel prendere le loro decisioni: “animal spirits”. L’alea permea il sistema economico, e credo che in tal caso possano convergere sulla mia tesi keynesiani e monetaristi: per i primi è ovvio che sia così, data l’inefficienza dei mercati, per i secondi è naturale che oggi ci sia incertezza, considerata l’instabilità creata dal policy maker “impiccione”. Dunque, ai posteri l’ardua sentenza!

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