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Spese Condominiali

a cura dell’Ufficio Legale dell’Associazione A.IM.A.

Spese condominiali.

L’amministratore non può chiedere l’emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento degli oneri condominiali al vecchi proprietario, ex condomino, quando il trasferimento della proprietà di una unità immobiliare si è perfezionato. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza n. 12841/12; depositata il 23 luglio)

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 19 giugno – 23 luglio 2012, n. 12841
Presidente Goldoni – Relatore Carrato

Fatto e diritto

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 24 marzo 2012, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c: “Il Condominio (omissis) “, in persona dell’amministratore pro-tempore, aveva chiesto, al giudice di pace di Sarzana, ed ottenuto, nei confronti di B.G. e C.M.G. , quali condomini, il decreto ingiuntivo con il quale veniva intimato a questi ultimi di corrispondere – ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c. – la somma di Euro 776,53, a titolo di quota dagli stessi dovuta, quali acquirenti subentrati (dal 17 marzo 2004) nella proprietà dell’appartamento contraddistinto con l’interno 12, per il compenso da erogare in favore di alcuni professionisti che avevano espletato un’attività professionale per il suddetto Condominio, giusta deliberazione di approvazione dell’assemblea condominiale del 2 agosto 2003. Nell’opposizione degli ingiunti, il giudice di pace adito, con sentenza n. 1268 del 2006, accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, revocava l’emesso provvedimento monitorio.
Interposto appello da parte del suddetto Condominio e, nella resistenza degli appellati, il Tribunale di La Spezia – sez. dist. di Sarzana, con sentenza n. 95 del 2010 (depositata il 19 aprile 2010), accoglieva il gravame e, di conseguenza, rigettava l’opposizione proposta dinanzi al giudice di prime cure e confermava l’impugnato decreto ingiuntivo, dichiarandolo definitivamente esecutivo e condannando gli appellati alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
Nei confronti della richiamata sentenza di appello (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 25 marzo 2011 e depositato il 6 aprile 2011) la signora C.M.G. (in proprio e nella qualità di erede del sig. B.G. , nelle more deceduto), basato su due distinti motivi.
Si è costituito in questa fase con controricorso l’intimato Condominio. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c. (ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), sul presupposto che ella non avrebbe potuto rispondere dell’obbligazione dedotta dal Condominio (a titolo di responsabile solidale) poiché la disposizione assunta come violata prevede che la responsabilità solidale dell’acquirente subentrante nella proprietà di un immobile appartenente ad un Condominio intercorre tra lo stesso acquirente ed il proprio dante causa e non con terzi, nel mentre, nel caso di specie, nel riparto posto a fondamento della delibera approvata era stato fatto riferimento a tal M. .
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione della sentenza avuto riguardo al profilo della valorizzazione della mancata impugnazione della delibera condominiale presupposta, dalla cui esecutività era derivato l’obbligo di pagamento della menzionata quota in capo ai condomini subentrati (che, per le vicende dell’intervenuto acquisto, perfezionatosi solo il 17 marzo 2004, non avrebbero potuto provvedere a tale impugnativa nei trenta giorni dall’approvazione della delibera stessa o dalla sua comunicazione).
Rileva il relatore che entrambi i motivi svolti dalla ricorrente (valutabili congiuntamente perché connessi) possano ritenersi manifestamente infondati, con la conseguente definibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione anche all’art. 360 bis, n. 1, c.p.c..
In primo luogo occorre ricordare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 16975 del 2005 e, da ultimo, Cass. n. 2979 del 2012), la responsabilità solidale dell’acquirente per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63, secondo comma, disp. att. cod. civ., e non già l’art. 1104 cod. civ., atteso che, giusta il disposto di cui all’art. 1139 c.c, la disciplina dettata in tema di comunione si applica (anche) al condominio solamente in mancanza di norme che (come appunto il citato art. 63) specificamente lo regolano. Sulla scorta di questo presupposto la stessa giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 23345 del 2008) ha statuito che, in tema di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un’unità immobiliare, l’alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell’anno in corso o del precedente, solo attraverso l’acquirente che gli è subentrato, con la conseguenza che non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo ai sensi dell’articolo 63 disp. att. c.c. per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (atteso che l’obbligo di pagamento di questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile). Ciò, posto, con la prima doglianza, la ricorrente, non ponendo in discussione i predetti principi e l’applicabilità dell’art. 63 disp. att. c.c. con riferimento alla previsione del vincolo di solidarietà tra acquirente subentrante e precedente proprietario condomino nel pagamento dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello antecedente rispetto al momento dell’intervenuta compravendita (pacificamente applicabile nella specie poiché la vendita era sopravvenuta nel 2004 e la spesa condominiale di riferiva all’anno contabile precedente), sostiene che la predetta norma sarebbe stata violata perché la quota condominiale era stata imputata ad un terzo con la delibera approvata che ne costituiva il presupposto giustificativo. Senonché, come adeguatamente motivato dal Tribunale spezzino, nella specie, era rimasto univocamente accertato che lo stato di ripartizione prevedeva la corresponsione di una quota straordinaria indicata in pari misura tra tutte le unità immobiliare facenti parte del condominio, tra le quali era inclusa quella di cui all’appartamento coincidente con l’interno 12, ovvero quello poi acquistato dai sigg. B. – C. . Peraltro, è rimasto altrettanto univocamente appurato che gli originari ingiunti, al momento della proposizione del ricorso monitorio erano gli effettivi condomini proprietari della predetta unità immobiliare e che la precedente proprietaria era identificabile con la società Casa Fiorita s.r.l., la quale, perciò, è da qualificarsi dante causa dei predetti B. – C. , non assumendo alcuna rilevanza – sul piano giuridico – che, nel piano di riparto, l’amministratore avesse riportato il nominativo di tal M. , il quale aveva stipulato con la predetta società un mero contratto preliminare di compravendita (occupando provvisoriamente, a titolo precario, l’immobile), senza, però, diventare mai effettivo proprietario dell’appartamento (che era, perciò, rimasto nella titolarità della Casa Fiorita s.r.l.), poi acquistato dai menzionati B. – C. , a seguito di aggiudicazione riferita proprio alla procedura concorsuale che aveva interessato la suddetta società proprietaria dell’appartamento indicato con l’interno 12 (come dalla stessa ricorrente ammesso: cfr. pag. 3 del ricorso).
Appare, perciò, insussistente la dedotta violazione dell’art. 63 disp. att. c.c., così come appare del tutto irrilevante, avuto riguardo al secondo motivo, l’argomentazione operata dal giudice di secondo grado (da considerarsi, perciò, fatta “ad abundantiam”) sulla eventuale impugnazione della delibera condominiale presupposta, che, invero, ha investito un aspetto che non aveva costituito oggetto della controversia e che non ha alcuna autonomia giustificativa nel percorso logico della sentenza impugnata (che, quindi, non è sulla stessa fondata), perché appare evidente che l’impugnazione avrebbe potuto essere proposta solo da coloro che rivestivano la qualità di condomini al momento dell’adozione (e comunicazione, se assenti) della delibera. Del resto, come già evidenziato, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, in materia di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un’unità immobiliare, non può essere chiesto ed emesso nei confronti dell’alienante, in capo al quale è cessata la qualità di condomino, decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che l’obbligo di pagamento dì questi ultimi sorge dal rapporto di natura reale che lega l’obbligato alla proprietà dell’immobile, con la conseguente legittimità dell’emissione del provvedimento monitorio nei confronti del subentrato acquirente diventato effettivo condomino (salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti del dante causa).
In virtù delle esposte argomentazioni, avendo la sentenza impugnata deciso le questioni di diritto dedotte con il ricorso in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte senza che siano stati offerti elementi per mutare il pregresso orientamento (cfr. Cass., S.U., ord., n.19051/2010) ed essendo rimasta esclusa la configurazione del dedotto vizio motivazionale (per effetto dell’irrilevanza del passaggio argomentativo oggetto della doglianza), si deve ritenere, in definitiva, che sembrano emergere le condizioni, in relazione al disposto dell’art. 380 bis, comma 1, c.p.c., per poter pervenire al possibile rigetto totale del proposto ricorso per sua manifesta infondatezza”.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti, non essendo risultate depositate memorie a tal fine e non potendo sortire rilevanza, nella presente sede di legittimità, siccome inammissibili, i profili di merito prospettati dal difensore della ricorrente (riguardanti la sollecitazione di riscontri documentali) nel corso della sua audizione in seno all’adunanza camerale;
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

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