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I CENCI, poi Cenci Bolognetti

I CENCI, poi Cenci Bolognetti …….. 
con note  a seguire sulle Famiglie Cenci, Ricci e Roncalli

 L’amico Giuliano mi ha dato in lettura lo studio fatto da GIOVANNI STORCH  su “I CENCI, poi CENCI BOLOGNETTI” con le tavole genealogiche dalle origini sino ai nostri giorni. Nel donare, all’amico comune, il suo lavoro l’autore l’ha definito uno “studio (alquanto noioso)” Giuliano, conoscendomi, invece me l’ha proposto in quanto sicuramente sarebbe stato di mio interesse ed in effetti ci ha visto giusto. Ritengo che tutto possa essere noioso ma non quello che crea interesse, incuriosisce ed appassiona.

Per prima cosa, non conoscendo l’autore, ho voluto avere qualche notizia su di lui ed allora ho consultato la “Bibbia” del III millennio: “Internet”. Scrivendo “Storch” dopo appena 0,35 secondi Google in risposta ha presentato ben circa 7.910.000 risultati. Storch nella lingua tedesca significa “Cicogna” ed immediatamente vi accoglie l’immagine di una bella cicogna con il suo piumaggio bianco e nero.

Nella ricerca al cognome “Storch” ho aggiunto il nome “Giovanni” ed in 0,53 secondi Google mi ha presentato ben 10.900.000 risultati e tra questi, nella prima pagina, ho trovato il sito “www.storch.it” della famiglia ed un rimando ad un altro lavoro fatto dall’autore “Conclave del 23/24 dicembre 1294. Elezione di Bonifacio VIII. Ricerca bibliografica a cura di Giovanni Storch, Roma 31 marzo 2011.

Nel sito della famiglia l’autore, nella pagina a lui dedicata, ha inserito questa immagine che ricorda la ditta di spedizioni GONDRAND fondata a Milano nel 1866 da parte dei fratelli Gondrand. Su Internet è reperibile la seguente immagine della Torino fine ‘800 inizio ‘900.Gondrand 01

Ai cittadini romani della mia età, quelli che come me, hanno superato la sufficienza e dal 6 sono passati al 7, ai 70 anni, quel carretto trainato da quei cavalli ricorda il carretto della birra Peroni  che dalla fabbrica adiacente via Alessandria portava le cassette di birre ed il ghiaccio per la città.

La curiosità e l’interesse particolare per la famiglia Cenci è nata, come indica l’autore nella premessa, da una certa “Vittoria Cenci, che in comune con l’antica e nobile famiglia ebbe soltanto l’omonimia del cognome”, sua bisnonna materna, ed a lei è dedicato lo studio.

Certo può essere noioso sfogliare quelle tavole genealogiche, ma per chi ha studiato un po’ di diritto civile quelle tavole sono fondamentali per definire diritti ed obblighi, ricchezza e povertà. Oltre alle tavole dedicate ai vari rami della famiglia l’autore impreziosisce lo studio con delle note sulla chiesa di S Tommaso nel rione Regola (Arenula).

L’autore è sicuramente un bibliofilo ma anche quello che può definirsi amichevolmente un topo di biblioteca che rosicchiando rosicchiando si divora i libri. Nella bibliografia essenziale le sue ricerche, oltre ad interessare la propria biblioteca cartacea o informatica hanno interessato la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la Biblioteca Romana presso l’Archivio Capitolino, la Biblioteca Casanatese, la Biblioteca Giorgio Migliarucci – Roma

Quelle tavole “alquanto noiose” rappresentano l’albero genealogico della famiglia che l’autore suddivide in alcuni rami, ma a differenza dei rami che salgono verso l’alto, verso il cielo alla ricerca della luce, queste ramificazioni scendono verso il basso, nella terra, nel buio più profondo, sono le radici che sono anche la forza della famiglia. Ma stranamente quelle radici sembra che producano un frutto, una nuova radice e così dal profondo della terra, dal buio prendono nuova luce e così, a caso, troviamo:

CENCIO (I) (CRESCENZIO) – n….. m. 1077 a Pavia. 
Ebbe probabilmente vincoli di parentela con la famiglia Tebaldi. Da Lui i Cenci presero il cognome. Aspirò a succedere al padre nella carica di Prefetto. Ghibellino, inviso all’autorità pontificia. Tentò nel 1075 il rapimento di Papa Gregorio VII; la conseguenza fu che la sua torre venne distrutta. Da Lui, secondo alcuni storici, discesero i Frangipane. Proprietario di case e terre nel Rione Parione, nonché di terre nel suburbio.

 E più avanti:

VIRGINIO CENCI  – n. 1700 m. 1755 
Conservatore di Roma nel 1724. Capo famiglia dal 1730. Inserito tra i nobili coscritti nel 1746 da Papa Benedetto XIV. Si impegnò a preservare nome e patrimonio dei Bolognetti destinandoli ad un figlio per ricostruire la linea. Sepolto all Aracoeli con la moglie, ultimi del ramo di famiglia ad essere lì inumati.

Ed ancora:

BEATRICE FIORENZA CENCI BOLOGNETTI –  n. 1877 m. 1955 
Ultima erede del ramo principale della famiglia. Con testamento olografo dell’ 11 ottobre 1940, integrato il 5 maggio 1952 da ulteriori volontà senza modifiche al primo, nominò erede unica l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, condizionando il lascito “a creare un Istituto medico tipo l’Istituto Pasteur (e cioè per ricerche Batteriologiche, seriologiche ecc ..). Il lascito comprendeva beni mobili ed immobili, tra cui il palazzo di Piazza del Gesù n. 16, già proprietà dell’arcavola Maria Isabella Petroni. L’Istituto vide la luce nel 1972.

Stiamo vivendo in un periodo particolare in cui si vuole distruggere l’identità collettiva di una comunità, i fanatici del “Califfato” in Iraq, in Libia, in Siria stanno distruggendo con la dinamite le radici storiche delle comunità locali, il lavoro di Giovanni Storch invece vuole proprio mantenere vive e tramandarle ai contemporanei le radici della famiglia Cenci – Cenci Bolognetti.

Il lavoro di Giovanni Storch mi ha interessato in quanto anche io nel mio piccolo sono andato alla ricerca delle radici, i cognomi dei miei nonni paterni erano troppo stimolanti. Mio nonno, Giuseppe Ricci, nasce a Roma l’11 ottobre del 1846, l’anno in cui sale al soglio pontificio Pio IX, il 20 novembre 1873 sposa una certa Cecilia Roncalli, mio padre Enrico, sesto di sette figli, nasce a Roma l’11 febbraio del 1889.

E’ stata una ricerca iniziata troppo tardi, con tutto il tempo libero a disposizione con la nuova vita da pensionato, ma quando ormai i miei cugini, alcuni nati quando i nonni erano ancora vivi, ci hanno lasciato. La prima tappa è stato il cimitero del Verano, la tomba di famiglia, ma i dati indicano i nomi e solo dagli anni ’50 del ‘900 anche la data di inumazione. Poi l’Anagrafe del Comune di Roma, li per i deceduti successivamente al 1870 sono conservate delle piccole schede con le annotazioni principali.

Per i defunti prima del 1870 i dati che potrebbero riguardare i miei bisnonni dovrebbero essere presso il vicariato di Roma o presso le parrocchie che frequentavano per i vari sacramenti. Per alcune ricerche su mio Padre Enrico sono stato presso la succursale dell’Archivio di Stato di Roma sita in Via Galla Placidia 93 e l’Ufficio Storico dello Stato maggiore dell’esercito presso la caserma N. Sauro di via Lepanto. Aprire quei faldoni impolverati, sfogliare quelle carte ingiallite, spesso con macchie di umidità, scritte generalmente in corsivo, talvolta anche con un po’ di chiaroscuro, alcune illeggibili, ha un suo fascino che “intender non lo può chi non lo prova”.

NOTE a seguire sulle Famiglie Cenci, Ricci e Roncalli

Il Lungotevere De Cenci  // da “I lungotevere di Roma”: guida turistica di Roma – informazioni storiche artistiche turistiche/foto a cura di Anna Zelli  www.annazelli.com 

 Il Lungotevere De Cenci Roma, si trova tra il Ponte Fabricio all’Isola Tiberina e ponte Garibaldi, sul lato opposto al Tevere si trova il lungotevere degli Anguillara. Il lungotevere de Cenci fa parte del rione VII Regola e del Rione XI S. Angelo. Il nome ricorda la famiglia De Cenci, e il delitto di Francesco Domenico Guerrazzi tiranno verso i suoi 7 figli, il quale li cacciò di casa, e la figlia Beatrice Cenci divenuta l’amante di Olimpio Calvetti.

Fu nel 1598 che Beatrice fece uccidere il padre  e gettò il corpo in giardino per simularne una morte accidentale; incriminata Beatrice per discolpare i fratelli confessò la colpa del delitto, ma vennero ugualmente rinchiusi e giustiziati l’11 settembre del 1599, tranne Bernardo che rimase nelle galere. Il popolo romano idealizzò Beatrice Cenci ritenendola innocente e che fosse stata giustiziata solo per aver voluto salvare i fratelli.

Il lungotevere De Cenci è uno dei più belli di Roma, situato come è tra l’Isola Tiberina e il Campidoglio, qui c’è la Sinagoga, il tempio ebraico di Roma, realizzata dagli architetti Osvaldo Armanni e Luigi Costa tra il 1889 e e il 1904, in stile assiro-babilonese a cupola quadrata e con decorazioni dei pittori Annibale Brugnoli e Domenico Bruschi, annesso alla Sinagoga vi è il Museo della Comunità Ebraica di Roma, ricco di argenti liturgici e paramenti sacri.

All’angolo tra Lungotevere De Cenci e via del Tempio vi è il villino Astengo realizzato nel 1914 su progetto di Ezio Garroni in stile Liberty ha delle preziose decorazioni ed affreschi di Giuseppe Zina. La piazza de Cenci, detta anticamente piazza sterrata dell’Arco de Cenci e anche piazza di San Tommaso a capo delle Mole, era divisa da un muraglione da piazza delle Scole, e rimase così fino al 1847, vi sorgeva la dogana del Ghetto e vi si apriva uno dei grossi portali di accesso al quartiere degli Ebrei. Fu detta invece monte Cenci, una piccola altura formata dalle rovine del Teatro di Balbo, la cripta Balbi, sulla quale sorse il palazzo Cenci. Nei pressi del monte dei Cenci sorgeva la chiesa di Santa Maria in Candelabro, detta Santa Maria a Capo delle Mole, ed anche chiesa di S. Maria Juxta Flumen, già distrutta al tempo dei Terribilini, ebbe l’appellativo in candelabro o in candelora, dal candelabro a sette bracci del culto ebraico, scolpito in alcuni edifici del ghetto e per la vicinanza con la antica Sinagoga.

Il palazzo de Cenci attribuito in origine ai Crescenzi è formato da un complesso di 4 fabbricati di varie epoche articolati sulla piazza de Cenci, ilvicolo de Cenci, la piazza del Monte de Cenci e delle Cinque Scole, conserva solo in parte il suo impianto originario. Al numero 56 di piazza De Cenci vi è la facciata principale del Palazzo De Cenci, suggestivo il cortile con colonne doriche. La chiesa di San Tommaso ai Cenci era detta “a Capo delle Mole”, per la vicinanza alle mole e ai molini ancorati al vicino Tevere, ebbe anche l’appellativo di San Tommaso Fraternitas perché per un periodo fu la sede della Romana Fraternitas il più antico e importante dei sodalizi romani, qui vi ebbero la sepoltura gli appartenenti alla Famiglia De Cenci, oggi appartiene alla Confraternita dei Vetturini detti in romanesco Bottari, che ogni anno vi fanno celebrare una messa nel giorno del supplicio di Beatrice Cenci e del fratello Giacomo. L’altare maggiore ha un tondo di murra turchina che è una varietà di marmo di estrema rarità, l’unico che si conosca a Roma. La via Beatrice Cenci, che va da piazza de Cenci a lungotevere Cenci, è l’unica strada al mondo dedicata ad una parricida.

Alcune notizie sui Ricci e i Roncalli

I “Ricci” sono molto presenti nella città di Roma sia nell’elenco telefonico, che in Tuttocittà, qui poi la “Piazza de’ Ricci”, sita in prossimità di via di Monserrato, una parallela di via Giulia,  indica dove si affaccia il palazzo acquistato da Giulio Ricci nel 1577, divenuto recentemente di proprietà di Giuseppe Ricci Paracciani Bergamini. 
Il palazzo risale al 1525, opera di Polidoro da Caravaggio e Maturino da Feltre. Il palazzo nacque come proprietà dei Calcagni, nobili toscani presenti a Roma dalla fine del Quattrocento, eretto da Nanni di Baccio Bigio, passò ai Del Bene, che commissionarono la decorazione che rende l’edificio tanto originale.

Nel 1533 i Del Bene vendettero il palazzo a monsignor Fabio Arcella, arcivescovo di Capua e Bisignano. Nel 1542 la proprietà divenne di Luigi Gaddi e da questi a Costanza Farnese, che venne ad abitarvi e lo ampliò ancor di più. Alla sua morte, avvenuta nel 1545, la proprietà passò al figlio, il cardinale Guido Ascanio Sforza, finchè nel 1577 fu acquistato da Giulio Ricci. Proprio i Ricci apportarono altri ampliamenti nelle parti su via Giulia e su via della Barchetta.

Accanto al portale d’ingresso, a piano terra, vi sono quattro finestre con architrave, che poggiano su una mensola. Sotto a questa corre un sedile di pietra. A sinistra sono ricavate due piccoli portali che servivano come passo carrabile, sono circondate da bugne e sormontate da due finestre. Al primo piano, sono poste sette finestre ad arco con architrave superiore e decorazioni di scudi e rosette nella cornice. Le altre due, poste sul lato più corto recano lo stemma araldico dei Ricci: un sole ed un riccio posto a fianco.

Nel 1525 Polidoro da Caravaggio decorò a graffito le due facciate adiacenti. Il fregio che corre continuo, sotto le finestre del primo piano, illustra episodi che esaltano le virtù romane: la Moderazione di Scipione, La Cattura di Muzio Scevola, Muzio Scevola di fronte a Porsenna. Sopra il portale sono dipinte immagini di trofei e di prigionieri. Il fregio che divideva il primo dal secondo piano, mostrava il Tevere, i due gemelli allattati dalla lupa, Faustolo e sua moglie mentre osservano Romolo che traccia il primo solco di Roma attorniato dai compagni. Gli affreschi ci sono stati tramandati dalle incisioni, dalle stampe del ‘700 e da vecchie fotografie, perché alcuni furono rimossi nel corso dei restauri del XIX secolo. Nel 1800, il restauro del palazzo fu affidato a Luigi Fontana. L’architetto aggiunse altre decorazioni similari a quelle cinquecentesche. Al secondo piano Fontana pose un elaborato e complesso motivo composto di grottesche con vari stemmi. Al piano superiore, nello spazio delimitato dalle finestre, l’architetto pose dei pannelli con trofei. Notevole fu l’impegno della famiglia nella ristrutturazione dell’edificio ma estrema cura fu data al restauro della decorazione esterna: Luigi Fontana aggiunse la decorazione del secondo e terzo piano, sulle base delle incisioni del Seicento.

da “Laboratorio Roma” di Sergio Natalizia

I Roncalli nella città di Roma sono presenti in poche unità nell’elenco telefonico e totalmente assenti in Tuttocittà. 
La famiglia Roncalli compare in Bergamo alla metà del secolo XV. Fu una famiglia numerosissima, i cui membri ebbero gradi nella milizia e cariche politiche ed amministrative, dal secolo XV in poi. Un ramo ebbe la contea di Montorio. Antonio e Francesco furono membri della Consulta di Lione (1802); un altro Francesco fu presidente del governo provvisorio di Bergamo nel 1848 e membro della deputazione bergamasca a Carlo Alberto; un altro Antonio fu deputato al Parlamento italiano (1883-97). Da una delle molte linee dei Roncalli, originaria della Valle Imagna e stabilitasi a Sotto il Monte, discese Papa Giovanni XXIII. Due sono in Bergamo i palazzi Roncalli. Uno, situato in via San Salvatore 12, appartenne anticamente ai Roncalli, poi passò ai Quattrini, indi ai Terzi, ed ora appartiene agli eredi dell’on. Giuseppe Locatelli. L’altro, situato in piazza Mascheroni 3, fu cominciato ad edificare, si crede, su progetto di Ferdinando Caccia e finito da Gian Francesco Lucchini (1786).

da IBCAA – Comune di Bergamo

Successivamente alla morte di Pio XII avvenuta in Castel Gandolfo il 9 ottobre 1958 giunge a Roma, per partecipare al conclave, che si apre il 25 ottobre, il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli che sarà eletto papa il 28 ottobre ed incoronato il 4 novembre con il nome di Giovanni XXIII
Papa Roncalli muore a Roma il 3 giugno 1963, il 3 settembre 2000 è dichiarato beato da Giovanni Paolo II e il 27 aprile 2014 è proclamato santo da Francesco I.

Un altro Roncalli, come il papa Giovanni XXIII, venuto a Roma, e morto a Roma è ricordato più per il suo appellativo che per il proprio cognome. Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio, nel 1582 arriva a Roma. La sua prima opera importante, due affreschi per l’oratorio del Santissimo Crocifisso nella chiesa di San Marcello al Corso, che illustrano avvenimenti della confraternita del Crocefisso (1583 – 1584). Questi affreschi, assieme a quelli del ciclo che descrive la Passione di Cristo e la Vita di San Paolo, rispettivamente nelle cappelle Mattei e Della Valle di Santa Maria in Aracoeli (1585 – 1590), fanno ancora parte del manierismo del XVI secolo.

Di contro le pitture di diversi episodi della vita di san Filippo Neri a Santa Maria in Vallicella (1596 – 1599) sono soprattutto caratterizzati da realismo e dai contrasti drammatici di luce ed ombra. Questa è una nuova fase nello sviluppo artistico di Pomarancio, assieme alla decorazione d’altare realizzata tra il 1598 ed il 1599, che rappresenta Santa Domitilla con i santi Nereo ed Achilleo (Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, Roma), dove è percepibile una tendenza classica. Per il giubileo del 1600, dipinge il Battesimo di Costantino ed il ritratto di San Simone nel transetto della basilica di San Giovanni in Laterano (ca. 1599), e disegna i mosaici della cappella clementina nella basilica di San Pietro (ca. 1600). In entrambi i casi, lavora sotto la direzione del Cavalier d’Arpino. I suoi ultimi anni sono occupati dai cicli di affreschi della nuova Sala del Tesoro (1605 – 1610) e della cupola (1609 – 1615) della Basilica della Santa Casa di Loreto. Il Pomarancio muore a Roma nel 1626

da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Fu il cavalier Cristofano molto virtuoso, onorato, dabbene, e timoroso di Dio: mantenne sempre il suo decoro: amò la professione, e i professori di ella: ebbe buona fortuna, e a spese del Marchese Vincenzo Giustiniani, che seco il condusse, vide Venezia, andò per la Germania, per la Fiandra, per l’Olanda, per l’Inghilterra, per la Francia, e per la maggior parte d’Italia. E finalmente carico d’onori, e di ricchezze, di 74 anni finì il corso della sua vita in questa città della virtù; e con accompagnamento alla grande, con candelieroni, come se fosse stato illustrissimo personaggio, e con molta comitiva di Gentiluomini, e di tutti i virtuosi di quella nobile professione, fu dalla chiesa della Minerva portato infin’ a S. Stefano del Cacco, sua Parrocchia, dove ebbe onorata sepoltura a dì 14 di Maggio 1626. E nell’Accademia conservasi il suo ritratto.

 

Analisi, commenti e divagazioni  a cura di ALESSANDRO RICCI