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IL MITO di MEDEA

“MEDEA”

una recensione di CRISTIAN ARNI

Una Medea contemporanea quella alla quale abbiamo assistito al Teatro Eutheca andata in scena dal 7 all’11 Marzo per la regia di Carlo Fineschi con Federica Tatulli nei panni dell’omonima protagonista. La famosa tragedia greca riletta in chiave quasi cinematografica per scelte registiche e uso dell’immagine, nonchè per l’interpretazione fornita dagli interpreti capace di catturare l’attenzione anche dello spettatore meno accorto.

Un cast di attori tutti bravi a restituire la complessità di un dramma simile grazie ad un’interpretazione misurata nelle modalità espressive, calibrata nei toni, intimista e discorsiva anche nei momenti più tragici non per questo però priva di quella forza che è tipica della tragedia greca.

L’uso teatrale della scena si fonde con immagini videoproiettate che creano un felice connubio tra i piani narrativi in una disposizione drammaturgica funzionale il cui disegno “topografico” rimanda idealmente, senza però sterili forzature, allo spazio scenico del più classico Teatro Greco.

Lo spettatore è da subito avvolto in un’atmosfera densa, carica di attesa pronta a proiettarlo all’interno del dramma come parte integrante della rappresentazione che si avvale di una scenografia tanto suggestiva quanto efficace al procedere dell’azione in grado di trasportarlo per tutta la durata dello spettacolo in un viaggio catartico. Al suo ingresso in sala il pubblico è da subito accolto da musiche suggestive e immagini videoproiettate su uno schermo/telo sospeso a mezz’aria  dove si infrangono onde marine, che nel loro moto perpetuo rimandano al viaggio fatto dagli argonauti a bordo di Argo, che presto segnerà l’inizio dell’azione scenica, quando le immagini proiettate sul telo saranno bruscamente interrotte dalla sua caduta al suolo tra le macerie delle vestigia che verranno prontamente rimosse durante il prologo dagli attori in scena.

Tra stridori, suoni in feedback, musiche e proiezioni cromatiche suggestive pronte a segnare i passaggi emotivi e i diversi livelli drammaturgici del dramma, l’azione si svolge in un’intimità quasi complice in un rapporto coinvolgente sottile mai spudorato che trova all’interno del Teatro Eutheca il luogo deputato quasi la rappresentazione alla quale si assiste sia in realtà un rituale del quale essere partecipi testimoni.

Il suggestivo impianto illuminotecnico distribuisce cromatismi dai toni cupi, freddi e siderali così come nell’intima natura della protagonista che con fredda e determinata lucidità cercherà di attuare il suo piano per il raggiungimento del suo obbiettivo. Costumi moderni, cappotti lunghi dai toni scuri privi di sfarzoso compiacimento dipingono di fosche tinte quanto i personaggi vanno compiendo e dicendo su una scena dai toni vagamente echeggianti un campo di concentramento. Grazie ad un disegno luci dosato a calibrare e disegnare gli spazi interiori dell’animo umano, con un taglio quasi cinematografico, assistiamo al dissidio interiore e al conflitto di una donna vittima e carnefice del suo destino di matricida. Medea è alle prese con sè stessa, con la sua natura e la sua complessità, in lotta con le sue pene e con  gli altri protagonisti del dramma che si avventano su lei come domatori contro una bestia indomita e selvaggia ma non per questo priva di quell’umanità e profondità che le fanno maturare scelte tragiche non senza ponderare gli efetti possibili che scaturiranno da queste; combattuta ma nello stesso tempo convinta nel perseguire il suo obiettivo per riscattarsi dalla condizione nella quale il marito Giasone l’ha fatta precipitare dopo che era assurta al ruolo di moglie, madre e donna amata poi tradita, che per seguire le onde dell’amore ha abbandonato la propria terra e la propria casa, straniera in terra straniera, bandita ed esiliata da quella casa in cui era stata dapprima accolta ed amata come promessa sposa in una terra all’inizio benevola ed accogliente con lei.

Una regia pulita, semplice e diretta a parlare ad un pubblico eterogeneo senza troppi “fronzoli” o velleità pseudo intellettuali ma non per questo meno efficace nell’intenzione di comunicare e soprattutto condividere con gli spettatori la comoplesità di un’opera come la “Medea” di Euripide che è stata resa, grazie anche alle scelte operate a livello testuale adattato per la circostanza in totale coerenza con lo spazio scenico e il contesto senza nulla togliere all’originale testo greco rendendolo anzi più accessibile e funzionale per l’occasione, preciso nel raccontare e trasmettere le passioni e i conflitti di una donna alle prese con le sue inquitudini e con il suo dramma che la porteranno a prendere posizioni e fare scelte compromettenti e difficili ma coerenti con la sua indomita natura per quanto discutibili in grado di contrastare duramente le imposizioni che le sono state inflitte che la vedranno costretta nella macabra esecuzione che costerà la vita ai suoi affetti più cari ed intimi: in primis sui proprio figli.

Una donna che lotta e soffre con il pubblico invitato a condividere con lei la sua sofferenza e il suo dolore con il quale la protagonista dialoga quasi a voler spiegare l’intima “giustizia” delle sue azioni; una figura, quella che Federica Tatulli ci offre nella sua interpretazione, capace di rinascere dalle ceneri del suo dolore che ci viene restituita in tutta la sua dis-umanità apparente ma capace di rendersi più umana nonostante la scelta dolorosa che è costreta a fare per determinare da sola il suo destino come artefice unica della sua sorte benchè in risposta a quanto le sia capitato.

Una figura resa attuale nella sua concretezza non solo visivamente, ma anche percettibilmente vicina allo spettatore da farlo sentire parte di quel dramma e di quel dolore senza il filtro della quarta parete in diretto contatto visivo ed emotivo che lo rendono presente all’azione scenica grazie anche ad una interpretazione controllata e misurata, intensa e minimalista affatto sterile in grado di comunicare i paesaggi del dolore e della sofferenza di una figura in continuo dibattito movimento con se stessa.

Uno spettacolo ricco e denso di atmosfere cupe in linea con il dramma, in cui si avvicendano momenti di forte tensione ad altri in cui traspare tutta la fragilità di un essere ferito nel suo intimo e nel suo orgoglio per volontà altrui. Dicevamo una Medea contemporanea nella resa e nel tema che il testo affronta seppur con le debite differenze temporali e condizioni sociali ma pur sempre fedele all’intimità della natura umana attraverso le epoche.

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