“Stop TTIP” – una intervista alla Prof.ssa Di Sisto
Limiti e i rischi per i consumatori europei sul TTIP
MONICA DI SISTO, Docente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, è vice presidente di “Fair Watch” e portavoce della campagna “Stop TTIP” – Trattato di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti. In questa intervista rilasciata a RAINEWS , la docente definisce quali sono i limiti di questo trattato e chiarisce se si tratta di un’opportunità o un inganno.
La professoressa Di Sisto ha spiegato che: “Il trattato è trasversale e si propone di accelerare il commercio tra Europa e Stati uniti, dai farmaci ai servizi essenziali, dalla finanza al cibo, dai vestiti agli appalti, in due modi. Innanzitutto, abbattendo le tasse e le quote su import ed export tra le due sponde dell’oceano, che sono, però, già abbastanza basse tanto che gli Usa sono uno dei nostri principali partner commerciali. Il 70% di quello 0,5% in più di Pil che l’Europa guadagnerebbe, secondo alcune stime della stessa Commissione Ue, entro i primi 10 anni dall’entrata in vigore del trattato, se lo garantirebbe, però, se le regole di produzione, di distribuzione, gli standard di sicurezza, le caratteristiche e i controlli che si applicano oggi su prodotti e servizi, molto diversi tra noi e gli Usa, diventassero più simili. E questo crea problemi alla qualità di vita, sociale e ambientale, che vogliamo difendere con forza, ma anche al modo in cui la definiamo oggi in Europa e negli Usa, cioè alle nostre democrazie”.
La docente ha anche raccontato dal suo punto di vista qual’è l’atteggiamento dell’Europa e del nostro governo in merito al trattato. “Abbiamo incontrato nel novembre scorso il capo negoziatore Ignacio Bercero a Roma e ci aveva detto di fidarsi di loro, e che stavano lavorando entro il perimetro loro affidato dai Governi europei. Dopo aver letto i documenti, ufficiali e ufficiosi, prima e dopo il colpaccio di Greenpeace, sono contenta che non ci siamo fidati. Il nostro Paese ha sempre avuto un atteggiamento “tifoso” rispetto al trattato, e pure nelle relazioni franche che abbiamo avuto con l’ex ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda non abbiamo mai capito quali dati gli infondessero tanto ottimismo. L’unico studio, ormai datato, da loro finanziato parlava di perdite secche per l’agricoltura e per ampi settori della manifattura, tra le poche voci positive per il disastrato Pil italiano. Sperano in una liberalizzazione del settore energetico e della finanza che non otterranno mai, e delle quali beneficerebbero solo pochi grandi gruppi di casa nostra, con vantaggi discutibili per la maggior parte delle Pmi e di noi cittadini”.
Gli unici ad aver capito subito che non conviene agli europei questo trattato è la Francia “che si è fatta i conti e ha capito che non conviene a nessuno avere un mercato europeo saturo di prodotti e servizi Usa a basso costo e bassa qualità, con una riduzione secca dell’occupazione, della base produttiva e della capacità regolatoria e decisionale nazionale”. L’approvazione è ancora lontana. Difficile far convergere principi e obiettivi commerciali. Il prossimo appuntamento è quello dell’11 luglio, quando le due parti si incontreranno a Bruxelles per fare il punto definitivo sulla faccenda. Quali sono dunque i pericoli se il trattato venisse approvato senza ulteriori garanzie europee, per i consumatori?
“Il trattato avrà forza di direttiva, e alcuni dei principali “costi di produzione” che già oggi sono sul tavolo dei negoziatori per essere “armonizzati” tra gli Usa e noi sono molte delle conquiste del consumerismo Ue e Usa: i controlli di sicurezza alimentare, le etichettature trasparenti, la presenza di ormoni e residui di pesticidi e insetticidi nel cibo, nei cosmetici, la sicurezza della chimica. Vengono trattati come “ostacoli” al commercio, non come garanzie per i consumatori. Il Trattato vuole inserire l’analisi del rischio obbligatoria preventiva per ogni regola che ostacoli gli scambi: vuoi inserire un’informazione in più su un’etichetta? Devi spiegare che cosa comporta per il commercio, se puoi non farlo, e che cosa questa mancata azione provochi, invece, per i flussi commerciali. Il Comitato per la cooperazione regolatoria che il Trattato andrà a istituire non sarà chiamato a scegliere la regola migliore sulla base delle legislazioni nazionali, ma quella meno restrittiva del commercio secondo il dettato del TTIP stesso. E tutto quello che deciderà, come le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, deve essere recepito dalle normative europee e nazionali, o si può incorrere in amare sanzioni. Una trappola”.
Non solo, per quanto riguarda il campo dei medicinali e quello del cibo “L’Unione europea sta accettando di allungare il periodo di copertura dei brevetti e di inasprirne la copertura anche per farmaci essenziali e importanti per la tutela della salute pubblica. Peraltro l’Europa ha una fiorente produzione e mercato di farmaci equivalenti, che gli Usa invece non considerano di loro interesse nel negoziato, che potrebbe essere danneggiata da una stretta alla proprietà intellettuale da parte degli “inventori” delle specialità. Per il cibo, si sta accettando di sostituire l’approccio di controllo e di protezione dei cittadini “dal campo alla forchetta” con quello, più economico, della valutazione “a valle” che scarica sul cittadino, a sue spese, l’onere della prova di aver subito un danno eventuale da un prodotto o da un servizio”.
Chi si schiera contro il Ttip come intende cambiare il trattato? La Di Sisto ha risposto: “Noi pensiamo che i negoziati commerciali debbano parlare di problemi commerciali – dazi, tariffe, dogane – e non di regole, innanzitutto. Poi riteniamo che, sempre più oggi in un orizzonte geopolitico di grande tensione, debbano essere discusse in tavoli allargati intorno ai quali si siedano quanti più Paesi possibili, e per quanto possibile all’interno della cornice delle Nazioni Unite, perché lì i diritti umani e i numeri dell’economia avrebbero, anche normativamente, lo stesso peso e lo stesso valore. Un eventuale patto transatlantico sul commercio, dunque, dovrebbe essere trasferito in sede più ampia e appropriata: il cibo lasciato alla Fao, ad esempio, il lavoro all’Oil: le abbiamo le sedi per discuterne: i porti all’Unione doganale, gli standard, ad esempio, all’Iso. Basta solo accettarne le regole”.
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L’intervista sopra riportata è stata estrapolata da una “Rassegna Stampa pervenuta alla nostra Redazione dal Dr. GIUSEPPE MAGLIACANE,