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“un perdente di successo”

Giorgio Albertazzi ci ha lasciato

Alla veneranda età di 92 anni Giorgio Albertazzi ci ha lasciato, in Tv sono state trasmesse vecchie interviste andate in onda quando l’attore era ormai più che ottantenne, i quotidiani hanno riempito intere pagine con interviste a critici e ad attori e registi che avevano avuto il piacere di lavorare con lui.

Al cordoglio di un paese si è aggiunto anche il presidente della Repubblica Mattarella che, in una dichiarazione diffusa dall’ufficio stampa del Quirinale, così si è espresso. “Con Giorgio Albertazzi scompare uno dei massimi interpreti del teatro e del cinema italiano contemporaneo. Attore versatile e innovativo, ha saputo unire nella sua lunga carriera tradizione e modernità. Le sue interpretazioni dei grandi classici restano una pietra miliare nella storia dello spettacolo. Albertazzi, che ha dedicato al teatro l’intera esistenza, è stato punto di riferimento e maestro per generazioni di attori e registi”:

Qui vorrei ricordare l’uomo Giorgio Albertazzi utilizzando, passo dopo passo, quello che ebbe a scrivere, lui stesso di se, nel libro Un perdente di successo pubblicato nel maggio del 1988 da Rizzoli.  Albertazzi era nato a Fiesole il 20 agosto 1923, è interessante rileggere il periodo della sua vita che va dai  venti ai venticinque anni, il periodo in cui non è ancora un uomo di successo ma è quello in cui sta per diventare un perdente, il periodo più triste per la storia d’Italia e per tanti cittadini italiani.

 “…. Il 25 luglio Mussolini cadde, messo in minoranza dai suoi, capeggiati da Grandi. Dov’ero io il 25 luglio? Non lo so. Certo a Firenze … Mi ricordo la faccia da caratterista americano di secondo rango di Badoglio, figura ambigua e meschina: non mi piaceva. Mi piaceva Graziani (nel ruolo di Graziani Gregory Peck)…

Fra il 25 luglio e l’8 settembre lo zio Alfio fu assassinato di notte nei dintorni del Campo di Marte. Era fine agosto… Non so cosa avesse combinato ai tempi della “prima ora” (come la chiamavano i fascisti) le avrà date, sicuramente e le avrà prese, non credo che avesse ammazzato qualcuno. …

Dopo l’8 settembre il Maresciallo Graziani emise un bando di arruolamento e io mi presentai: avevo diciannove anni e avevo ottenuto la maturità. … Perché mi presentai per frequentare il corso allievi ufficiali della Repubblica Sociale? Perché affascinato dal Duce? … Perché affascinato dal potere carismatico di Hitler? … era la croce uncinata semmai che mi affascinava. Poi c’era stata la morte dello zio. Ma la vera spinta era un’altra, era la paura (dignitosa) di mio padre, gli occhi ansiosi (lo sguardo!) di mia madre e il silenzio (vile) dei fascisti (degli ex). Tutto ciò mi spinse a scegliere i perdenti, ….. scelsi non coloro che si erano già arresi, che disprezzavo, bensì la causa perduta … Più tardi molto più tardi mi sarei reso conto che la sconfitta è infinitamente più vitale della vittoria. Chi perde ha la possibilità di misurarsi con se stesso e di incontrare gli altri. …

Scelsi la Repubblica, che voleva dire, per me, un altro fascismo, … lo scelsi nell’illusione, forse, che fosse ancora quello che nasce dalla costola del socialismo libertario di mio nonno Nando. … Mi spedirono a Vicenza, all’inizio. … Siamo a Vicenza al Corso Allievi Ufficiali. … Beretta cal. 9, fucile mitragliatore, gente che si spara addosso in esercitazione, teoria, tattica; sostanzialmente mi diverto. … A Tonezza ricevetti il grado di sottotenente con encomio o qualcosa del genere. … Salutai i miei compagni, … e me ne andai a Como, dove si trovava il comando … della “Tagliamento” un glorioso reparto (Battaglioni M) che non si era mai arreso, nemmeno durante i quarantacinque giorni badogliani. Era comandato dal colonnello Zuccari … Portava il monocolo, andava a cavallo, … aveva baffetti invisibili e occhi lampeggianti. …

Dal centro di smistamento di Como fui spedito in Piemonte, in qualche posto fra Vercelli e Ivrea, dove aveva sede la II compagnia … Restammo poco tempo in Valsesia comunque, perché la Legione ebbe subito una destinazione militare vera e propria: la Linea Gotica, lungo il fiume Foglia, da Pesaro a Grosseto e Livorno. … giunsi a Sestino, destinazione della mia compagnia, la terza, … Sestino è un paese sul Foglia, fra Toscana Marche ed Emilia: pochi chilometri più a sud correva la Linea Gotica: da una parte erano schierate le forze tedesche rafforzate da cinque divisioni italiane preparate in Germania, fra le quali la “Littorio”.

… ma che tempo era, che anno era? Era il 1944, estate o quasi, diciamo giugno … Stavo in fureria quando ci avvisarono che un nostro autocarro era stato attaccato dalla montagna a quattro cinque chilometri … il nostro autocarro era sbandato contro la collina, colpito da una bomba proprio sul cofano. L’autista aveva la faccia piena di sangue e si lamentava: l’avevano disteso per terra. Un altro ragazzo, che sedeva vicino a lui, perdeva sangue dal ventre. Ordinai di portarli a Sestino col nostro camion e ci buttammo su per il costone. Dopo una cinquantina di metri ci spararono.

… non rammento se i due soldati “disertori” furono catturati dai tedeschi durante o nel corso o subito dopo la nostra operazione … oppure se furono semplicemente consegnati al nostro comando provenienti direttamente dal fronte sul Foglia. … Uno di essi fu rimandato alla nostra compagnia con l’ordine scritto di Zuccari: fucilazione. Era un ragazzo del nord. Era della “Littorio” … Stava rinchiuso in una specie di casamatta del I plotone. Mi accostai al cancelletto… Mi misi a chiacchierare con lui. …  -“Stavi coi partigiani?” gli chiesi.  -“Ci hanno preso vicino a Peglio.” -“Vi hanno dato le armi?” -“No. Ci facevano portare le coperte e le munizioni …”  -“Perché sei scappato dal fronte?” -“Non lo so. Io sono per l’Italia”  -“L’hai detto questo al comando di Legione?”  -“Si… Mi fucileranno?” -“Sei un disertore. La legge di guerra la conosci…”  -“Posso gridare viva l’Italia?” … -“Ma come sei capitato in mano ai tedeschi?”  -“Quando hanno cominciato a sparare mi sono buttato giù verso la strada e ci ho trovato quella pattuglia della gendarmeria, che scalogna…”

Rimase con noi cinque giorni, il capitano era in infermeria … e rinviava l’esecuzione, il comando interinale era stato assunto dal tenente più anziano, … se ne lavò le mani: “Fosse per me gli lascerei il cancelletto aperto”, sentenziò. … Non feci niente, aspettavo ordini e credo che se mi avessero ordinato di comandare il plotone d’esecuzione, l’avrei comandato. … Il ragazzo fu fucilato sullo spiazzo verde davanti al cimitero di Sestino, da un plotone composto da otto soldati estratti a sorte e comandato da un maresciallo maggiore. Il ragazzo gridò: “Viva il Duce”. …

Il 9 novembre (del ’46) fui arrestato. L’avviso del commissariato delle Cure (Firenze) diceva: Presentarsi per comunicazioni. Il commissario mi notificò un mandato di cattura che comprendeva oltre agli articoli 51-52 del Codice di guerra sul collaborazionismo militare, anche un’imputazione più specifica riguardante la complicità nell’esecuzione di un partigiano avvenuta a Sestino nell’estate del ’44 … Da quella sera mi sono fatto diciotto mesi di detenzione, dal 9 novembre 1946 all’aprile del 1948: dalle Murate di Firenze al carcere giudiziario di Arezzo, al carcere militare di Bologna, a san Vittore, al carcere militare di Milano, dove fui assolto …  Il generale Traina che presiedeva il Tribunale Militare di Milano, mi convoca nel suo ufficio un giorno di fine marzo (l’anno è sempre il fatidico ’48) e mi informa che la nuova istruttoria è conclusa e che in base alle risultanze sarò assolto da ogni imputazione per sopravvenuta amnistia relativamente al collaborazionismo militare e per “non aver commesso il fatto” relativamente alla fucilazione del ragazzo di Sestino.

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Fin qui il racconto del “perdente”, ma vediamo ora quello che è successo all’uomo  “di successo”  alcuni anni dopo.

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l’8 novembre 2001 sul Corriere della Sera il giornalista PAOLO MIELI rispondeva ad una lettera di una signora – “Il Teatro di Roma e l’indecente aggressione ad Albertazzi”

Cara signora, … Le polemiche a cui lei allude sono quelle scatenate dall’annuncio della possibile nomina a direttore di Giorgio Albertazzi. Qui non può accusare l’Ulivo di essersi mostrato tenero. Contro Albertazzi è stata scatenata dai giornali della sinistra, Unità e Manifesto in prima fila, una campagna tutt’altro che legittimante. Gli è stato rimproverato di essere vecchio, simpatizzante della Casa delle libertà, d’aver aderito in gioventù alla Repubblica di Salò. Tutto ciò mentre veniva scelto per la guida dello stesso teatro uno stato maggiore a maggioranza di sinistra: Oberdan Forlenza, già capo di gabinetto di Giovanna Melandri e Valter Veltroni, il direttore del quotidiano bertinottiano Liberazione Sandro Curzi e Silvana Novelli ex moglie di Chicco Testa ed ex collaboratrice di Francesco Rutelli. Le sembra un caso di scandalo? A me no. Le dico di più: considero indecente l’aggressione ad Albertazzi. A parte il fatto che lo ricordo a lungo radicale e sempre di temperamento anarcoide, fosse anche un uomo della destra più ortodossa che senso ha questa valanga di accuse? Non è il «nuovo che avanza»: e con ciò? Gli si può contestare di essere da cinquant’anni un importante uomo di teatro? Io non m’intendo di palcoscenici e non ho dunque titoli per ergermi a giudice in questa controversia: ma mi sembra del tutto improprio il tono di dileggio, quasi di disprezzo che ho letto tra le righe (e nemmeno tanto nascosto) di quegli articoli su Albertazzi. Quanto poi al capo di imputazione d’esser stato Albertazzi repubblichino, mi basterebbe che, sia pure con cinquantasei anni di ritardo, si sancisse una regola, anche di discriminazione, ma valida per tutti. …

TULLIO KEZICH //Il grande Albertazzi  – Caro Mieli, ho molto apprezzato la tua difesa di Giorgio Albertazzi (Corriere, 8 novembre), che condivido in pieno. Albertazzi non è solo il più grande attore italiano vivente, ma anche un uomo di spettacolo con un’esperienza di oltre mezzo secolo che include ruoli ideativi, autoriali, organizzativi, direttoriali e registici. È il tipo che ha letto tutti i libri, in genere uno in più dell’interlocutore con cui sta polemizzando in quel momento. Ed è un fascista immaginario, come lo definiscono gli amici che lo conoscono bene. Spiace (ed è un segno dell’attuale confusione) che la notizia di una sua ventilata nomina alla guida del Teatro di Roma abbia suscitato critiche e proteste.  Tullio Kezich

CASO ALBERTAZZI // I grandi attori  – Caro Mieli, ho seguito con interesse le sue considerazioni sulla candidatura di Giorgio Albertazzi a direttore del Teatro di Roma, perché da sempre appassionata di teatro, e le condivido. Ma sono rimasta stupita nel leggere una lettera di Tullio Kezich, in cui il famoso critico indica Albertazzi come «il più grande attore italiano vivente». È un’affermazione eccessiva. Albertazzi è sicuramente un grande attore, ma non il più grande, e fortunatamente gode di ottima compagnia. Come non pensare ad Arnoldo Foà, Gabriele Lavia, Gianrico Tedeschi e Glauco Mauri? Grandi artisti che meriterebbero più attenzione anche dal nostro cinema. Latina Antonelli

CASO ALBERTAZZI // Le colpe del passato  –  Caro Mieli, leggo solo ora la sua risposta dell’8 novembre a una lettrice sul caso Albertazzi. Posso essere d’accordo su tutto. Vorrei però aggiungere che lei dimentica una cosa: ad Albertazzi si rimprovera di essersi offerto a comandare un plotone di esecuzione, non solo d’essere stato repubblichino.  >  Silvio Basile

TEATRO DI ROMA // Gli abbonamenti  – Caro Mieli, farei molto volentieri a meno di intervenire sulle vicende del Teatro di Roma, ma non posso accettare che passino informazioni scorrette, soprattutto se campeggiano in un grande occhiello del Corriere. Il Teatro di Roma ha sì perso con la mia direzione 6000 abbonati, ma solo perché ha trasformato gli abbonamenti in Carte Teatro di Roma, che sono state vendute in oltre 11000 unità, facendo aumentare il pubblico del 56% in una sola stagione, dati verificabili nel rapporto dell’Autorità dei Servizi Pubblici del Comune di Roma. Non mi si può dunque imputare di aver ridotto l’afflusso degli spettatori, anche se capisco che innovazioni come quelle che ho introdotto possano non piacere più. Oggi, dopo le elezioni e con una guerra in corso, nel nostro Paese si vanno affermando tutt’altri valori, tant’é che Walter Veltroni insedia Giorgio Albertazzi alla guida del teatro simbolo della capitale. Sulle scelte di Veltroni ci sarebbe molto da dire, ma sarebbero esclusivamente riflessioni sullo stato della sinistra: quanto ad Albertazzi, che rispetto anche se ha idee diverse dalle mie, colgo l’occasione per inviargli i miei più sinceri auguri di buon lavoro. Nella sua rubrica lei ha scritto che non è giusto attaccare il direttore del Teatro di Roma prima ancora che cominci a lavorare, e può immaginare quanto io abbia condiviso le sue parole. Aggiungerei che a questo punto si potrebbe lasciare in pace anche me: mi sono dimesso un anno fa dopo nemmeno due anni di direzione, ho rifiutato qualsiasi altro incarico mi sia stato proposto, e, soprattutto, ho lasciato al mio successore un teatro con una sede in più e il bilancio in pareggio. Non Basta?   Mario Martone

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 Su il VENERDÌ di Repubblica nella rubrica l’ORSA MAGGIORE il giornalista Giorgio Bocca pubblicava il seguente articolo:  “GIORGIO ALBERTAZZI: all’ipocrita non far sapere che in guerra s’ammazza per dovere”

Università, circoli culturali, televisioni stanno legando l’attore Albertazzi alla colonna infame perché ha Commesso l’imperdonabile errore di dire pubblicamente di essere stato fascista repubblicano, fascista di Salò, di avere militato nelle formazioni armate della repubblica  e di avere ucciso degli antifascisti. Ha; cioè, commesso l’errore di passare dal notorio al notificato, dalle vaghe, annacquate memorie ad una precisa assunzione di responsabilità, e questo, da noi, non é consentito.

Che Albertazzi avesse un passato di fascista repubblicano era notorio e sopportabile da università, circoli culturali, teatri, televisioni. Ma che egli ora abbia il cattivo gusto di notificarcelo, questa proprio non può passare liscia. Siamo, non per nulla, un paese di miscredenti imbevuti di cultura cattolica, abituati in politica, come nell’etica, a risolvere i nostri problemi con la confessione vaga: «Quante volte figliolo? », «Mah, qualche volta», «Sei pentito?», «Pentitissimo», «Bravo, vai con Dio».

È andata così con il fascismo e sta andando così con lo stalinismo. E un comunista che oggi commettesse lo stesso errore commesso da Albertazzi, uno che dicesse: sì, io per il partito ero pronto ad ammazzare, a fare delazione, a diffamare l’avversario, sarebbe anche lui messo all’indice, ricusato, evitato. In questo nostro paese miscredente e cattolico la memoria deve essere vaga ed edulcorata, sicché tutti devono far finta di non sapere che cosa è il fanatismo politico, la guerra, una guerra civile.

La guerra partigiana, per esempio, viene accettata finché è “il bel sole d’aprile”, bandiere al vento, versi di Antonicelii, musica di Nono. Ma quando diventa qualcosa che uccide, che tortura, che usa il terrore, quando, cioè, è vera, allora non funziona più, non è più fair. Di quel mio passato partigiano e della esperienza partigiana preferisco non parlare proprio per aver capito che è impossibile, o rischioso, parlarne sinceramente. Una sera avevo amici a cena e non so come uno mi chiese se avessi ucciso qualcuno durante il partigianato. E io, conoscendoli come persone che sanno di storia, che conoscono le realtà che stanno dietro le retoriche, risposi di sì, parendomi, più che normale, ovvio che in venti mesi di guerra civile, di comando di azioni militari mi fosse capitato di uccidere.

Ma anche io dimenticavo la distinzione decisiva fra il notorio e il notificato. Me la ricordarono immediatamente commensali e amici, le loro facce sinceramente stupite, turbate, le loro domande, le vie di scampo che mi offrivano: «Beh, certo in guerra si spara, ma che poi si uccida o meno non credo tu abbia potuto saperlo». E avendo incautamente insistito che no, in uno scontro ravvicinato con i Marò della Xa avevo proprio visto il nemico cadere e restare sul campo, mi trovavo davanti facce desolate. Allora mi ricordai di Mario Missiroli quando era direttore del “Corriere della Sera” e me lo presentarono in casa dell’Angelo Rizzoli: «uomo valoroso» diceva Missiroli, stringendomi la mano. E il giorno dopo l’Angelo Rizzoli mi diceva: «Sa cosa mi ha detto di lei il Missiroli? Mi ha detto che lei ha le mani bagnate di sangue».

Per fortuna che abbiamo deciso di non fare più guerre, cosi non saremo costretti a ricordare ad amici e conoscenti che in guerra qualche volta si spara. Che poi Albertazzi possa piacere, o meno, come attore, che torni, o non torni, simpatico, è un’altra faccenda. Ma legarlo alla colonna infame perché ha notificato il notorio mi sembra piuttosto ipocrita. Giorgio Albertazzi quest’estate ha pubblicamente ammesso la sua adesione alla repubblica di Salò e la sua responsabilità nell’esecuzione di un giovane partigiano. In seguito a questa ammissione, che ha suscitato molte polemiche, il preside della facoltà di Magistero dell’Università di Torino ha auspicato che l’attore rinunci al corso di lezioni sul teatro per cui aveva già firmato un contratto con l’ateneo

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Nel luglio 2006 sul Corriere della Sera veniva pubblicato l’intervento di DARIO FO sul Corriere Veneto:   «Difendo Giorgio Albertazzi: fu nella Rsi, ma non è mai stato un aguzzino – Non credo a un Giorgio che semina morte e disperazione». «Albertazzi partecipò al rastrellamento antipartigiano sul Grappa del 1944 come ricostruito dallo storico Sergio Luzzatto che sul Corriere della Sera del 5 luglio scorso ha pubblicato stralci di un saggio scritto per la rivista «Micromega».

Dario Fo, Premio Nobel per la Letteratura Italiana, in un’intervista pubblicata dal Corriere del Veneto, di fatto difende l’attore toscano. «Innocentista o colpevolista? Io sto in mezzo perché Giorgio è vittima dell’italica canea, quella sindrome degli opposti estremismi che scatena una violenza indescrivibile, anche a distanza di più di mezzo secolo dai fatti». E aggiunge: «In più occasioni Giorgio mi ha raccontato diversi episodi di quel periodo della sua vita. Come di aver trascorso notti intere accanto ad alcuni partigiani condannati. Da uomo a uomo è stato lì a offrire un po’ di pace e di conforto a chi in quel momento stava dall’altra parte della barricata. Non aguzzino, quindi, ma compagno solidale in un momento di disperazione». Sull’episodio del ’44 è intervenuto nei giorni scorsi anche il critico teatrale Franco Cordelli, che ha preso le distanze da Luzzatto.

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Insomma, il mondo teatrale, anche quello di sinistra, difende il collega dell’opposta sponda politica.   Il “perdente di successo” sarà commemorato a Roma, ci sarà tanta ipocrisia come è stato per Marco Pannella, come ha dichiarato Emma Bonino ?

ALESSANDRO RICCI