“Oltre il Bello” nel Convento dei Cappuccini a Roma
Ugolino da Belluno
OLTRE il BELLO
Cenni biografici > Nasce a Belluno il 15 dicembre 1919. E’ battezzato il 18 gennaio 1920 col nome SILVIO ALESSANDRI. Veste l’abito dei cappuccini il 28 agosto 1936 e assume il nome Ugolino da Belluno. E’ ordinato sacerdote il 16 maggio 1943. In questo periodo riceve la formazione spirituale e culturale frequentando il liceo e gli studi filosofici e teologici interni dell’Ordine. S’iscrive al corso di medicina e chirurgia istituito dall’Ordine Gerosolimitano di Rodi e di Malta per i missionari, conseguendo il diploma il 10 gennaio 1940.
Il 4 agosto 1945 chiede ed ottiene di poter “frequentare in privato un Maestro d’Arte Sacra” e di non essere mandato all’Accademia “affinché la nobilissima finalità di Arte “Sacra” non venga frustrata per il miraggio di un appariscente titolo accademico”. Nel novembre 1945 s’iscrive all’Istituto“Beato Angelico” di Studi per l’Arte Sacra a Roma, conseguendo dopo tre anni il diploma con lode. Dal 1945 al 1950 frequenta la “Scuola d’Arti Ornamentali” di Roma per far pratica di affresco, di acquaforte e di silografia. Dal 27 marzo al 7 aprile 1951 tiene la prima mostra personale alla galleria “San Marco” in Roma.
L’artista ha la sua abitazione e il suo Studio a Roma-Via Veneto nel convento dei Cappuccini, per cui ha frequenti occasioni di incontri con personalità del mondo dell’arte e di essere presente a mostre e conferenze di varie correnti artistiche. Negli anni 1952-60 ha avuto occasione di incontrare spesso DE CHIRICO E SEVERINI. Suoi amici sono stati anche, fra tanti, MAFAI, CARRÀ, MANZÙ ed altri ancora.
I numerosi viaggi all’estero lo arricchiscono della conoscenza artistica delle varie culture. Il suo nome è presente in molti siti internet, sono state discusse alcune tesi di laurea sulla sua arte nelle università di Roma e di Napoli, le voci della sua bibliografia si aggirano sui 240 titoli, le sue opere, che vanno dall’affresco alle vetrate, al mosaico, alla scultura in bronzo, al graffito e alla serigrafia, sono diffuse soprattutto in Italia, ma anche all’estero (Liverpool, Birmingham, Tanzania, Granada). Muore a Roma il 24 maggio 2002.
Il percorso artistico
Il percorso artistico di Ugolino da Belluno ha inizio con i tentativi ingenui del periodo formativo tra i cappuccini e si conclude con le grandi superfici murali delle absidi e delle pareti delle chiese ornate con affreschi, mosaici ed affreschi graffiti. Già Valerio Mariani, a proposito della prima personale alla galleria San Marco nel 1951 ebbe a scrivere che Ugolino da Belluno è un artista nato, più che per la pittura di cavalletto, per la pittura murale.
Quella di Ugolino non è semplicemente arte, è arte “sacra” e, per lo più, in funzione liturgica, che trova il suo habitat naturale nel luogo sacro, dove l’assemblea dei credenti si riunisce per ascoltare, pregare, cantare, contemplare; per ricevere e vivere i Sacramenti del culto cristiano e manifestare le forme varie della devozione popolare.
Per questo motivo la sua arte non è fine a se stessa ma destinata alla comunicazione e alla fruizione del “popolo di Dio”. Forme e contenuti, tecniche e materiali assumono la poesia del disegno e del colore per comunicare il messaggio della fede con spirito francescano. Non si ha una comprensione intima ed una recezione estetica, pensosa e lieta insieme, pacificatrice, della sua arte se non si tiene conto che l’artista è un uomo formato alla spiritualità di Francesco d’Assisi. Un uomo che la vive intensamente e “sente” l’urgente impulso a significarla. Basterebbe numerare le sue frequenti figurazioni del Cantico delle creature.
1.1. La Parola come segno – Lo sperimentalismo insaziato dell’artista ha per meta esprimere con il segno dell’arte l’inesprimibile con la parola. Uno dei suoi primi disegni di gioco con le parole è proprio questo: “Il segno è tutto e tutto è segno”. E il segno dell’arte sacra, che l’artista ha voluto rinnovare, è la frase giovannea: “In principio era il Verbo”, il Logos, la Parola definitiva di Dio che è una Persona, dal momento che Verbum Caro factum est. L’arché dell’arte di Ugolino è, perciò, la Parola, intesa come lettera dell’alfabeto nelle varie lingue, come espressione compiuta e insistita e anagrammata, come cruciverba e poi come segno musicale. Perché la Parola è Bellezza, è Armonia. E’ Verbum.
Le scritture”, nell’ambito della “poetica del segno” – scrive l’artista – nacquero per gioco un pomeriggio d’estate, dando consistenza espressiva a quella venerazione per la Sacra Scrittura a cui, fin da ragazzo, ero stato educato”. Si ebbero, perciò, le scritture criptiche, talvolta inventate, o derivate o interpretate da civiltà scomparse, spesso sovrapposte da ideogrammi. Nel 1975 si ebbe la fase della “scrittura a stampa” e della “Scrittura su stampa” a cui seguì la “Scrittura a fumetti” e “Scrittura e foto”. Utilizzò la silografia inserendo nel gioco del cruciverba bicolore parole e frasi di profonda ed intima suggestione meditativa. Così le scritture divennero “significanti” e leggibili in ogni lato come i quadri magici, il Logos o Verbum assunto come segno e significato, come significato e significante: una novità nel mondo dei mass-media di allora. In questa novità “ogni credente vi rispecchiava la certezza che Dio era scritto dappertutto”.
Si riconferma così la vocazione dell’artista verso l’Arte Sacra e il suo impegno tenace per darle un volto nuovo nel nome del segno significante. In questi anni l’artista cappuccino sperimenta l’astrattismo e tenta di unificare-attraverso il segno-la scrittura, il messaggio e la pittura.
1.2. La pausa lirica dei neumi gregoriani – Nel 1978 l’artista avvertì che l’ordito dei cruciverba aveva esaurito le sue ragioni poetiche e passò alla lirica dei neumi gregoriani e dei segni musicali, “dove il ritmo del tempo è trasferito nello spazio e il “continuum” del rigo musicale, configurandosi in stratificazioni geologiche, vuole rapportarsi ad armonie più universali”.
Tornò con “animo nuovo” alla Parola negli anni 1981-82, servendosi di messaggi brevi con illazioni visuali e socio-religiose e interazioni ritmiche, che furono presentate soprattutto nella mostra di Aquisgrana del 13 luglio-15 agosto 1984, in cui espose 56 dipinti di “quadri scrittura” col titolo “I segni dell’uomo”. Il critico d’arte Hans Werner Schmitt, inaugurando la mostra ebbe a dire: “Questi sono quadri e al tempo stesso non lo sono, piuttosto sono quadri-scrittura o scrittura-immagine. Non sono rappresentati santi, nessun Cristo in croce non sono quadri per analfabeti, piuttosto un ritorno alle origini, però in veste nuova. Da cui traspaiono il calore emozionale, la poesia dei segni. Egli percorre una terra nuova. Può darsi sia una terra fertile”. Anche i neumi gregoriani, si disse, perdono il loro significato musicale, non stanno più per toni, ma per vibrazioni, per un ritmo il cui significato deve essere decifrato dall’osservatore (Hans Hoffmann). L’artista stesso ebbe a dire in quella circostanza: “La scrittura m’interessava da un lato come significato, dall’altro come qualcosa che dà significato, ciascuna lettera è, dopo tutto, un disegno”.
1.3. Le vetrate – Nel 1959 realizzò la sua prima vetrata nella parrocchia di San Felice da Cantalice in Roma. Vennero poi quelli di San Giovanni Rotondo (1962), di Montefiascone (1960), di Cristo Re a Roma fino a quelli del santuario di San Gabriele in provincia di Teramo nel 1987-‘88. Nella chiesa Regina Pacis di Fiuggi Terme realizza alcune vetrate astratte (1957-’58) e altre “dalles” nelle sei cappelle (1985-‘86).
Anche su questo materiale, come farà per il mosaico e il graffito, l’artista “interviene direttamente, ponendosi sul tavolo del vetraio, vagliando una ad una le tonalità dei vetri, delle sfumature, velando di “grisaille” e disegnando con essa di propria mano”. Valuta lo spessore del vetro e scegli con cura i supporti di cemento o di ferro o di altro materiale, per poi disporlo disforme, in modo che la luce giochi il suo ruolo estetico di segno: “E venne nel mondo la Luce”. Per le vetrate di Fiuggi (1985) “ordinai il materiale pregiato e disegnai i cartoni nel salone sottostante la chiesa e realizzai l’opera artigianalmente”. Le sue vetrate, come anche la tela e la parete, diventano come le pagine di un libro “dove cerco umilmente di tradurre la mia catechesi destinata ai fedeli in espressioni di gioia e di poesia”.
Ha preferito, di solito, le vetrate tipo “Dalles” “per il loro alto coefficiente di rifrangenza e sono colore-luce che nessun progetto, eseguito con pigmenti opachi colorati può mimare”. Le tessere vitree erano abitualmente approntate manualmente nella sua “bottega artigianale” con lucidi e cartoni da lui eseguiti per sentirsi libero di apportarvi quelle modifiche qualificanti che i materiali espressivi gli suggerivano. A conforto di questo suo essere artigiano rievocava l’autorità di Bernard Berenson che affermava di non aver mai visto un’opera artigianalmente prodotta che fosse di cattivo gusto: l’autenticità dei materiali primigeni e dei procedimenti diretti dell’artista gli garantivano l’unicità dei risultati.
Accanto alla vetrata sperimentò, nel 1997, la possibilità di utilizzare la resina. Approntò un manufatto tridimensionale, realizzato con tessere policrome di “dalles” dello spessore di due cm, preparate manualmente, saldate insieme da una colata di resina epossidica trasparente, dentro un telaio portante, ma non ebbe il successo che sperava.
1.4. La scultura – Un discorso a parte meriterebbe l’attività di scultore di Ugolino da Belluno, mai autonoma, sempre come complemento dell’affresco o del mosaico, come arredo della chiesa: crocefissi, tabernacoli, amboni, fonti battesimali. Il bronzo è la sua materia preferita. Anche in questo settore accessorio alla sua attività artistica si osservano le note caratteristiche della sua personalità e della sua cultura. L’oggetto mai fine a se stesso, sempre come “segno” che “significa” il messaggio intuitivamente inseparabile dall’oggetto con l’intento di narrare col visibile segno della bellezza del disegno e del colore, l’invisibile.
La lampada votiva del Sacramento nel santuario di San Gabriele a Isola del Gran Sasso (1986) è sostenuta da un supporto cilindrico rivestito da una fascia musiva a movimento elicoidale che riporta le parole iniziali del “Credo” in quattro lingue primitive (runica, etrusca, samaritana e ideogrammi mesopotamici) quasi a segnare l’attesa dei popoli della venuta del Verbum nel mondo.
1. 5. Il mosaico – Ugolino ha iniziato a lavorare con il mosaico fin dal 1958 e lo ha utilizzato per una infinità di luoghi e per chilometri di pareti e di absidi. L’’artista distingue nettamente i mosaici realizzati prima del 1962, a cominciare dalla cappella del Sacro Cuore nella parrocchia di san Felice da Cantalice a Centocelle eseguito su cartoni dell’artista dalla ditta Selva nel 1959-’60. Il cartone veniva eseguito a colori e l’artista stesso sceglieva le tonalità, dirigeva i lavori e assisteva all’esecuzione. Le tessere erano poste rovesciate sul cartone per poi trasferirle sul muro. In questa fase – essenzialmente impressionista – Ugolino da Belluno tende ad accentuare fortemente i colori. Cinque anni dopo ne realizzò un altro sulla parete di fronte “direttamente in opera” – scrive l’artista – e la differenza tra l’uno e l’altro, così contrapposti, è palese”.
Nel 1962 ebbe un lungo e familiare colloquio con Gino Severini, che gli propose l’esecuzione del mosaico direttamente in opera. “Soltanto così, gli disse, le tessere assumono inclinazioni diverse alla luce, e la tessitura risulta viva, brulicante di luce e mossa”. Fu per lui una rivelazione e una svolta artistica. Il primo mosaico eseguito con questa nuova illuminazione è la tentazione di Gesù nel deserto, realizzato nel refettorio dei cappuccini di Viterbo nel 1963. L’artista è rimasto “affascinato dalla pittura a mosaico, perché è la pittura più decorativa e più vistosa che ci possa essere – assieme al graffito – perché è plastica: a seconda dell’ora in cui si guarda e quindi dell’incidenza dei raggi su di essa, assume aspetti diversi e cambia totalmente”. In vista della realizzazione di un mosaico “direttamente in opera” il frate artista andava errando in vari luoghi alla ricerca della pietra e della roccia in natura. Gli attrezzi di lavoro erano sempre portata di mano e in uso costante, il tagliolo, la martellina ed altro per trasformare la pietra in quadrato, triangolo o poligono, come il tessuto delle direttrici di movimento richiedevano. Laboriosissima la posa in opera con estrema attenzione al colore, alla profondità… affinché la vibrazione della parte e del “muro” avesse vita. “Si procede alla messa in opera delle tessere affondandole nella malta senza che tocchino il fondo della parete, facendole quasi “galleggiare” per ottenere la plasticità parietale”.
1.6. L’affresco graffito – A trentacinque anni di distanza dall’esecuzione dei primi lavori in mosaico, Ugolino da Belluno ha abbandonato praticamente questa preziosa e bellissima tecnica, privilegiando l’affresco graffito; “tecnica antica che da me è stata rivisitata e attualizzata con materiali moderni come il cemento e vinaia che impastato a colori diversi e disposto strato su strato, vengono graffiti poi con flessibili stecchi d’acciaio che mi permettono di disegnare e dipingere plasticamente con risultati inediti e visivamente efficaci”. Ha utilizzato questa tecnica per la prima volta nell’abside della parrocchia di san Felice da Cantalice a Centocelle, dove, nel 1969, su strati di cemento policromo ha scalfito-graffito a fresco con punte di acciaio una superficie discontinua di circa 480 mq. con effetti sorprendenti. “Una tecnica ancestrale, scrive l’artista, che ho rivisitato, attualizzando con materiali moderni, arricchita di colore, promovendola da mezzo espressivo marginale e monocorde a tecnica completa, plasticamente escoriata, più efficace perciò di quelle abituali che si configurano in pellicola epidermica”.
L’artista si era posto in modo più acuto che mai, il problema dell’immediatezza della comunicazione e “con il graffito, scriveva, sono obbligato ad eseguire in pieno contrasto di colore e di tono e quindi vado proprio alle radici dell’espressione. Nella comunicazione non ci sono vie di mezzo, i colori si usano “a plat”, quanto di più moderno linguisticamente in pittura si possa ottenere per avere delle tonalità intense, policrome, nette e decorative”.
Comunque, questa comunicazione visiva che si esprime per netti contrasti di bianco su nero, di colore oscuro su chiaro, di negativo-positivo, di ombra-luce è già evidente nei lavori a mosaico. Il doppio, la dipsichìa, l’io diviso, la realtà binaria del bene e del male, della vita e della morte, del dolore e della gioia sono significate pittoricamente come compresenza, separazione, mistero nascosto da svelare per una risposta all’interrogativo del mistero dell’uomo e dell’uomo-Dio.
1.7. L’immagine-luce – Sia nel mosaico sia nel graffito, è costante la contemporaneità del bianco e del nero, della luce e del buio, della vita e della morte, del bene e del male. Caratteristico nelle sue absidi è il “Cristo luce”, l’uomo della morte e della resurrezione, dell’annullamento e della gloria, della sconfitta e della vittoria. Subito dietro il Cristo crocifisso e morto vittima della violenza umana, appare discreta la sua immagine bianca del Dio vivente e vincitore del male e della morte; nel santuario di San Gabriele unisce in un cuore rosso la crocifissione e la resurrezione. E’ la traduzione visiva e “segnica”, come amava esprimersi l’artista, dell’inno pasquale: Mors et vita duello conflixere mirando. Dux vitae mortuus, regnat vivus“.
Nell’abside del santuario di Porto Legnago (1995) ha posto due immagini-luce, il Cristo risorto e la Madonna della salute, che così commenta l’artista stesso: “Nella calotta absidale è delineata nella luce l’immagine rarefatta del Risorto dinamicamente proteso verso l’alto, con le ombre oscure del dolore e della morte che lo mettono in risalto. Egli irradia davanti a sé i colori dell’iride, aureola e metafora di pace, segno di alleanza tra Dio e gli uomini, radiazione luminosa del Verbo che è “luce da luce”… Al centro dell’emiciclo, sottolineato dalla luna, è l’immagine luce della Madonna della Salute, maternamente seduta, con le braccia che fanno da culla al figlio, luce messa in rilievo dall’ombra azzurra dell’icona bizantina della “Madre di Dio”. “Ho tentato questa nuova strada, scriveva nel 1994, con la “presenza-assenza del’immagine, “vestita di luce come un manto” così che ne restiamo abbagliati”.
La pittura come comunicazione emotiva
Ad una persona che gli chiedeva la spiegazione del graffito di San Giuseppe da Leonessa ad Amelia, Ugolino da Belluno rispose con una lettera del 4 aprile 1997 in questi termini:
Ogni opera pittorica è un luogo d’incontro e di dialogo tra fruitore e autore; il primo deve essere aperto a recepire il messaggio e il secondo disponibile a integrare con ragioni ciò che il cuore ha formulato. La pittura non si spiega, perché è per natura sua una comunicazione emotiva: qualcosa che è più diretto e immediato della parola, perché è colore ed è segno. Non ha la gabbia della logica e della dimostrazione: è intuitiva come l’amore, la poesia e la preghiera… C’è forse una traduzione all’entusiasmo, al sorriso della gratitudine e alla commozione che sono apici toccanti dell’espressione? E come tradurre le parole dell’estasi con la prosa dei ragionieri? Basta guardare il dipinto e si comprenderà, non è possibile affidare alla prosa ciò che dice molto meglio la poesia. E’ da ciò la mia avversione a spiegare ciò che è ineffabile e banalizzare ciò che è sublime”
Rinaldo Cordovani
Nota – Le sue opere si possono vedere nella mostra allestita nel coro della CHIESA dell’IMMACOLATA CONCEZIONE annessa al CONVENTO dei CAPPUCCINI di Via Vittorio Veneto a Roma fino al 30 novembre, con orario 8-13 e 15-18.
Per saperne di più: – Giorgio Di Genova. Ugolino da Belluno, Affreschi graffiti d’Arte Sacra contemporanea 1969-2000. ww.cappuccinilazio.com