Lettera aperta al “Sindaco” di Roma
Signora Sindaca, si dimetta
Signora Raggi si dimetta, lo faccia per la città di Roma, una città una volta definita eterna che, anche se qualcuno con poco cervello ha scelto di modificarne il nome in “Roma Capitale”, vuole rimanere eterna.
Sono nato a Roma, mio padre era nato a Roma e mio nonno era nato a Roma nell’anno in cui nella capitale dello Stato Pontificio saliva l’ultimo Papa Re, Pio IX.
Ora non vivo più per vari motivi a Roma, sono in un comune vicino che fino al 1992 faceva parte del Comune di Roma, e qui molti tombini hanno ancora la scritta SPQR, ma il mio cuore è a Roma, li la mia infanzia, i miei studi, il matrimonio, i figli, il lavoro, li la tomba di famiglia ultra centenaria che accoglierà le mie ceneri. Il mio nipote è romano di cinque generazioni.
Non vivendo più a Roma non sono stato tra coloro che hanno partecipato alle elezioni, ma se fossi stato ancora li, all’ombra del “Cuppolone” le assicuro che non sarei stato tra quei 700mila che l’hanno votata. Mi perdoni ma non credo in un partito che ha come emblema le stelle di un albergo extra lusso.
Lei, in più occasioni si è fatta forte dei 700mila voti ottenuti nello scorso giugno, ma ha analizzato chi l’ha votata? Tutti cittadini che credono in una “cittadina”? Non sia così presuntuosa, sia onesta con se stessa, certo è stato un successo, un qualcosa previsto in partenza, ma tenendo conto che il ballottaggio era con il PD l’hanno votata molti elettori già del PD per una contestazione al Capo del Governo, quello che certamente ripeteranno in occasione del voto per il referendum costituzionale, apponendo la croce sul “NO”.
Lei nel giugno scorso esultò per l’occasione veramente nuova per la città di Roma di avere alla guida del Comune un sindaco donna, la prima “Sindaca” scelta per una nuova Roma.
Della prima “Sindaca” ne parlò tutto il mondo, ma è stata una notizia pubblicata sui giornali e sui vari siti internazionali, ma per finire nella storia bisogna fare ben altro. Anche in questo momento, un po’ caldo, lei è sui giornali e sui siti internazionali, si dimetta, perché Roma rinasca, allora si lei potrà entrare nella storia. Vede… personalmente credo che sono state le donne a cambiare la storia di Roma, non gli uomini.
Nel primo libro della Storia di Roma di Tito Livio sono presenti le figure di tre donne, la prima è Rea Silvia, poi c’è Larenzia chiamata “lupa” ed infine Lucrezia, fedele consorte di Collatino.
Certamente lei conosce la storia di queste donne ma voglio ricordarle per spiegare unicamente il motivo per cui le ho scelte. Le prime sono quelle che consentono la nascita di Roma, senza di loro sia una leggenda o meno, Roma non esisterebbe. Rea Sivia è la madre dei due gemelli Romolo e Remo che per salvarli da una possibile morte li affida alle amorevoli acque del Tevere, Laurenzia, una prostituta, e per questo chiamata “lupa” allatta i gemelli trovati dal marito sul greto del fiume.
La terza è quella che consente la nascita della “Repubblica”, passano i secoli ed una nobildonna romana, Lucrezia moglie di Collatino, regnando a Roma Tarquinio il Superbo subisce la violenza del figlio Sesto Tarquinio. Riuniti il padre ed il marito, la giovane comunica la violenza subita ed alla fine della sua confessione, tra le lacrime, si suicida; per vendicare il suo oltraggio una sommossa popolare caccia il re e nasce la repubblica.
Passano altri secoli, muore Cesare, regina dell’Egitto è Cleopatra, ha affascinato Cesare che l’ha portata a Roma, ora affascina Marco Antonio che vendica la morte di Cesare. Marco Antonio sposa Cleopatra, la loro politica si muove verso la conquista dell’oriente, la cosa monta la reazione di Ottaviano e Roma dichiara guerra all’Egitto. I romani vincono la battaglia di Azio, Marco Antonio si suicida e poi anche Cleopatra segue la sua sorte. La sua morte pone fine all’Egitto ed Ottaviano è nominato imperatore, finisce la repubblica e nasce l’impero, con il primo imperatore che assume il nome di Augusto.
Come ho voluto ricordare è il sacrificio, con il suicidio, di due donne che ha portato ai cambiamenti nella storia di Roma, non chiedo il suo suicidio fisico, ma forse le sue dimissioni possono considerarsi un suicidio politico. Da queste dimissioni, dopo un momento di sbandamento, dopo la nomina di un commissario prefettizio che non vedrebbe in faccia i politici potrebbero cambiare tante cose, e nuove elezioni potrebbero far rinascere una Roma nuova.
Alessandro Ricci