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Carthago delenda est !

Politica estera, questa sconosciuta

Quasi un anno fa avevo cercato di illustrare come la politica estera italiana, terreno sul quale partiti e governo, parlamento e popolo, a prescindere dalle differenze di opinioni, dovrebbero convergere, fosse nel più completo disarmo e abbandono.

Nessuno dei nostri governi nell’ultimo decennio (Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) ha avuto la minima idea sul come fronteggiare le varie crisi, controllarle e volgerle nel senso a noi meno sfavorevole, sul come coordinarsi (non solo ubbidire) in modo propositivo con i partner europei ed atlantici, sul come elaborare una strategia politica che salvaguardasse l’interesse dell’Italia in una prospettiva almeno di medio termine.

Anche se i mali sono antichi, fermiamoci a considerare ciò che ha fatto il primo ministro Renzi in questo anno e mezzo di governo, condito di diapositive a colori  e di annunci al peperoncino che poi si sono rivelati delle camomille ingannatrici.

Completamente a digiuno di relazioni internazionali, Renzi ha puntato tutte le sue fiches diplomatiche sul nome della Mogherini, per metterla al posto della Bonino che andava silurata proprio perché troppo esperta, troppo visibile sul piano internazionale, l’unico esponente politico di antica militanza per i diritti umani, con l’esperienza di Commissario all’UE, profonda conoscitrice del mondo islamico, abile nell’esprimersi correntemente in inglese e in francese (merce alquanto rara tra i politici italiani). La neo ministra giovane e poco collaudata, ma sostenuta da Napolitano, è stato il segnale che Renzi considera il Ministero degli Esteri come una mera appendice mondana, trascurabile rispetto ad altri dicasteri più ‘produttivi’ (elettoralmente  ed economicamente) a dispetto della politica classica che lo ritiene invece, ad ogni latitudine, lo strumento indispensabile per disegnare una prospettiva di influenze (in senso geopolitico, economico, militare, sociale, sanitario, di sicurezza) o per inserire il paese utilmente nelle pieghe di una politica estera ormai globale, definita altrove.

Il semestre di presidenza italiana della UE è stato impostato tutto sulla lotta per far traslocare la Mogherini dalla Farnesina a Bruxelles, nell’illusione di poter dare lustro all’Italia con un alto rappresentante della politica estera europea che potesse sedere alla pari di altri grandi. L’averla issata su quel piedistallo di creta è stato come avvolgerla nel mantello del nulla, dato che la sua funzione è esclusivamente quella di conferire prestigio e visibilità a chi ne è titolare. Non ha poteri diretti (ma solo di proposta al Consiglio Europeo) e soprattutto si occupa di questioni la cui competenza non è in alcun modo sottratta al potere di ogni singolo Stato, dato che la politica estera è un affare sul quale il Consiglio Europeo può decidere solo all’unanimità. Se, per intenderci, un Paese anche del tutto marginale e privo di qualsiasi peso politico e negoziale (come l’Italia) decidesse di impedire una qualsiasi decisione dell’Unione in materia di politica estera, altro non dovrebbe fare che alzare il dito in sede di Consiglio e dire “NO!”

Tenuto conto dell’ampiezza numerica del Consiglio, della evidente disomogeneità in termini di interessi geo-politici tra i vari componenti dell’Unione, è chiaro che l’indispensabile unanimità prevista per ogni decisione paralizza ogni ipotesi di movimento all’unisono, sicché il ruolo di alto Rappresentante diventa un orpello puramente decorativo. Già il segretario di Stato americano Kissinger, quaranta anni fa, dopo la guerra arabo-israeliana del Kippur e l’embargo petrolifero, chiedeva quale fosse il numero telefonico per poter parlare con l’interlocutore europeo.  Da allora poco è cambiato!

I volponi capi di Governo del vecchio continente hanno accontentato le pretese del nostro borghesuccio sapendo che quel titolo altisonante significa ben poco, che i portafogli di peso restano nelle loro mani o di chi è più disponibile ad ascoltare la voce di Berlino e che questa italiana sconosciuta non avrebbe distolto la Merkel, né Hollande né Cameron dal continuare a fare la propria politica estera in chiave nazionale infischiandosene allegramente degli altri partners europei, grazie alla propria potenza economica, o in quanto detentori del seggio permanente al Consiglio di Sicurezza, cioè del titolo storico che conferisce il diritto di essere ancora considerati tra i grandi della terra. Ma in cambio hanno preteso la nostra acquiescenza ad una politica muscolare verso Putin, coinvolgendoci in sanzioni per noi disastrose. Come a dire che la nomina della Mogherini ci è costata una barca di soldi, perché abbiamo già subito la prima ritorsione russa (di cui ovviamente non si parla) che ha vietato l’importazione dall’Italia di tutti quei prodotti che sono l’incontestabile fiore all’occhiello dell’eccellenza del made in Italy (dopo la bastonata sull’agroalimentare valutato in 700 milioni è arrivato anche l’allarme del settore moda per altri 2 miliardi di euro l’anno). Per non parlare del gas. E’ questo il grande risultato che aspettavamo dal semestre europeo?

Pur avendo accettato la imposizione delle sanzioni alla Russia, non siamo stati capaci di ottenere alcunché per fronteggiare l’invasione da sud dei disperati sfruttati dalla criminalità transnazionale. Con uno stato dirimpettaio come la Libia piombato in condizioni di completo sfacelo avremmo dovuto difendere meglio i nostri confini che non iniziano dal mare territoriale, ma esattamente sulla battigia africana visto che da lì partono a ripetizione e senza alcun controllo, i barconi della speranza, del malaffare e purtroppo dell’alta probabilità di finire in fondo al mare.

La sostituzione della Mogherini con Gentiloni non ci ha affatto premiato nella considerazione che di noi possono avere gli interlocutori internazionali. Il credito, politico e morale acquisito con la partecipazioni alle guerre di Iraq, Afghanistan, Libia non è stato messo all’incasso e nelle successive crisi dell’Ucraina e del Medio Oriente, con relativi corollari di terrorismo e immigrazione, non siamo stati capaci di avanzare un’idea, di fare una proposta seria, di rivendicare i nostri diritti, né di attrezzarci seriamente a fronteggiare i pericoli che incombono sugli interessi vitali dell’Italia.
Abbiamo semplicemente continuato ad obbedire agli ordini impartitici da Washington o da Berlino, forzando e contorcendo la nostra costituzione con l’avallo di un parlamento ignorante e succube di fronte ad un premier incline alle prove di forza, alle vanterie verso l’alleato maggiore, desideroso di far parte della ristretta cerchia che conta anche se seduto sullo strapuntino, completamente ignaro della tradizione che vuole che il paese sia considerato grande solo se ha una altrettanto grande politica estera, come aveva ben capito, un secolo e mezzo fa, Cavour quando decise di partecipare alla spedizione occidentale in Crimea pur di strappare un riconoscimento internazionale e poter interloquire con le grandi potenze del tempo per sollecitare l’attenzione sulla questione italiana.
Che si sia immersi fino al collo in una crisi spaventosa di politica estera è ormai una verità acclarata. Dal terrorismo, all’immigrazione gestita dalla criminalità senza alcun serio contrasto, dall’espandersi del potere distruttivo dell’ISIS che ha superato i confini di Siria e Iraq per arrivare a lambirci con la pericolosa penetrazione non solo in Libia, ma anche in Tunisia, all’allarme di Boko Haram in Nigeria, dalla crisi ukraina alla gestione del rapporto con la Turchia sono tutti temi che meriterebbero un’analisi seria per individuare una politica di garanzia per gli interessi italiani. Quale dibattito di politica estera è stato consentito dal governo in parlamento? Nulla.

Come se fosse più importante per la salvezza dell’Italia quell’obbrobrio di riforma costituzionale o di nuova legge elettorale detta italicum, tutte le attenzioni delle segreterie dei partiti della stampa, dei commentatori sono rivolte a spaccare il capello in quattro sui contorsionismi di Bersani e soci che non hanno il coraggio di dire al loro segretario a brutto muso che così gli votano contro!.

Obama, dopo tanti pasticci ed errori clamorosi dell’amministrazione americana, è stato capace di uno scatto geniale: arrivare ad un accordo storico con l’Iran sul nucleare dopo 40 anni di sospensione delle relazioni diplomatiche, e di voltare definitivamente pagina nelle relazioni con Cuba anch’esse congelate da mezzo secolo. Mentre noi pur accogliendo ogni giorno centinaia e centinaia di immigrati, stiamo ancora lì a cincischiare con il problema dei marò.

Renzi è andato a baciare la pantofola di Obama a Washington. C’è da sperare che nel colloquio diretto abbia affrontato temi più seri delle sue dichiarazioni, in un inglese approssimativo, rilasciate alla Georgetown University, che hanno suscitato l’ilarità generale, secondo cui “l’Italia è tornata e che entro dieci anni sarà il paese leader in Europa”. Roba forte, ed ha aggiunto “this is the reality” dimenticando che in inglese reality è parola che si usa in tutt’altro contesto e sorvolando sul fatto che siamo già paese leader in Europa per reati di mafia e di inquinamento ambientale, leader in corruzione pubblica e privata, leader in evasione e frode fiscale, leader numero di condoni fiscali, giudiziari, edili, leader per numero di politici condannati o indagati, leader per numero di infrazioni comunitarie con relative sanzioni, leader per tortura, leader per il debito pubblico e per le spese faraoniche del Quirinale, della Camera, del Senato, della Corte Costituzionale, leader per gli stipendi degli alti burocrati e dei boiardi di Stato, leader per l’inefficienza della pubblica amministrazione, leader per i ritardi nei pagamenti dei debiti da parte dello Stato, leader per il costo stratosferico delle opere pubbliche che si sbriciolano subito dopo l’inaugurazione, e tante altre cose. Di quale leadership parla questo borghesuccio che avrebbe fatto bene a leggere la novella incompiuta le paysan parvenue di Pierre de Marivaux?

A Washington, al di là dei comunicati ufficiali, Renzi avrà ascoltato senza battere ciglio la lezione di Obama sulla Libia (cari italiani vedetevela voi); sull’immigrazione (è cosa che dovete risolvere co l’Europa); sull’obbligatorietà delle sanzioni alla Russia (italiani non fate i furbi); sulla continuazione dell’impegno militare in Afghanistan (non vi permettete di andarvene da Kabul prima delle elezioni americane); sul trattato TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) argomento sconosciuto in Italia, grazie alla cappa di piombo del governo, dei partiti e dei media compiacenti, che prevede l’ISDS (Investor-State Dispute Settlement) vale a dire la possibilità da parte delle aziende di fare causa (in un paese terzo favorevole agli USA) contro gli Stati che mettano in pericolo il loro investimento e ciò altererebbe le regole a favore delle imprese, e minerebbe alle fondamenta la sovranità nazionale (italiani non fate scherzi), senza ottenere nulla se non l’ospitalità alla Blair House che si concede al provincialotto, tanto per epater le bourgeois.

(17.4.2015)

 Torquato Cardilli