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La crisi nascosta è uscita da sotto il tappeto: la partita ce la giochiamo con Romania e Grecia


Crisi: peggio solo Romania e Grecia

Secondo Bruxelles, il Belpaese è il peggiore d’Europa per chi perde il lavoro: le possibilità di trovarne un altro entro un anno sono tra 14-15%, cioè le più basse di tutti i 28 Stati membri dell’Ue

L’Italia è il Paese che ha conosciuto dal 2008 il declino più elevato della situazione sociale di chi lavora: oltre il 12% degli occupati non riesce a vivere del suo stipendio. Solo Romania e Grecia fanno peggio (oltre il 14%) ma la loro situazione era grave già nel 2008: lo afferma lo studio Ue sull’occupazione. “Dal 2010 gli stipendi delle famiglie nell’Unione europea sono diminuiti, e i cali sono stati particolarmente profondi (oltre cinque punti percentuali in due anni) in Grecia, Spagna, Italia, Irlanda, Cipro e Portogallo”, si legge nel rapporto. In generale in Europa dal 2008 al 2012 il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è salito di 7,4 milioni, ovvero oggi è un quarto della popolazione europea (125 milioni) ad essere a rischio indigenza. Italia, Grecia e Irlanda sono i Paesi dove la situazione si è deteriorata maggiormente, il numero delle persone in difficoltà di oltre cinque punti percentuali in quattro anni. la Commissione conclude che “nonostante i primi segnali di ripresa economica, mercato del lavoro e situazione sociale restano una grande sfida e il carattere inclusivo della possibile ripresa è incerto”.

“In Italia non cresce solo la disoccupazione ma anche la povertà”: lo ha detto il commissario Ue al lavoro Lazlo Andor presentando il rapporto 2013 su occupazione e sviluppi sociali dove l’Italia spicca per

alta disoccupazione e povertà di chi lavora, con stipendi con cui non si riesce a vivere:
Con l’aumento della disoccupazione, aumenta in Europa il rischio di povertà; secondo Bruxelles, testimoniano i dati commentati da Andor, un quarto dei cittadini Ue è a rischio di povertà ed esclusione sociale: si tratta di una percentuale più alta rispetto a quella dei disoccupati, perchè il rischio deriva anche dai bassi livelli di reddito. Il fenomeno è presente anche in Italia, ha confermato Andor

Fotografia di una povertà che in molti vogliono ignorare

Guadagnano meno del 60% del reddito che porta a casa la metà delle famiglie del loro Paese. Non possono allo stesso tempo permettersi l’acquisto in un anno di una lavatrice, di un televisore, di un telefono e pure affrontare una spesa imprevista. Oppure faticano a pagare l’affitto, riscaldare l’abitazione, mettere in tavola sufficienti proteine e andare in vacanza per una settimana. Ancora, vivono in una famiglia dove si lavora due mesi su dieci, mentre per il resto del tempo non si ha un’occupazione degna di tal nome. Sono questi i tratti della povertà in Italia ed Europa, che si celano dietro la definizione di “persone a rischio povertà o esclusione sociale”. Il potere semplificante della statistica ci dice che vi rientrano 18,2 milioni di persone in Italia, il 29,9% della popolazione contro una media Ue del 24,8%.

Scivolare sotto la soglia del rischio:

Secondo la definizione di Eurostat, le persone “a rischio di povertà o esclusione sociale” sono quelle che ricadono in almeno una delle tre seguenti categorie: sono “a rischio povertà”, sono in stato di “severa deprivazione materiale” o vivono in famiglie con una “bassa intensità di lavoro”. Queste definizioni svelano una foto in bianco e nero della povertà. s famiglia) che magari garantiscono ai nuclei possibilità di spesa superiori a quelle che deriverebbero solo dalle entrate. Motivo per cui l’Istat calcola le soglie di povertà (tanto relativa quanto assoluta) sulla base della spesa. Accorgimento che anche Eurostat fa proprio aggiungendo gli altri due parametri.

Per “a rischio povertà” si intende infatti la fetta di popolazione che ha un reddito disponibile che si colloca al 60% del reddito medio disponibile nel Paese di riferimento(quel livello che divide in due gruppi uguali i redditi del Paese). In Italia, secondo i dati Istat del 2010, quest’ultimo corrisponde a 2037 euro mensili e pone la soglia a 1.200 euro circa. Questo parametro – ponderato per i componenti della famiglia – serve a indicare il basso livello di reddito in rapporto a quanto avviene nel Paese in cui si vive, non necessariamente una situazione di povertà o ricchezza in termini assoluti.

Diverso il procedimento che porta gli statistici a definire le persone che sono materialmente indigenti, che non si misurano in base al reddito ma alla possibilità di spesa e con un ragionamento qualitativo. Nella “severa deprivazione materiale” vi ricade, infatti, chi non riesce a garantirsi quattro delle nove seguenti incombenze: pagare l’affitto, il mutuo o le bollette; mantenere la casa sufficientemente riscaldata; affrontare spese impreviste; mangiare carne, pesce o proteine equivalenti ogni due giorni; andare in vacanza via di casa per una settimana; mantenere un’auto; una lavatrice; un televisore; un telefono o un cellulare. Si tratta quindi di una situazione di ristrettezza economica durevole, che porta all’incapacità forzata (non frutto di una libera scelta di consumo) di soddisfare alcune di quelle esigenze.

Da ultimo, si guarda al lavoro svolto in famiglia. L’allarme scatta quando i membri del nucleo familiare hanno un coefficiente di “intensità del lavoro” inferiore alla soglia di 0,2. In pratica, si tratta dei nuclei dove le persone in età lavorativa (18-59 anni ad esclusione degli studenti fino a 24 anni) hanno lavorato in un anno meno del 20% dei mesi durante i quali potevano teoricamente essere occupati. 

Questi tre parametri, , rendono l’idea di come la recessione economica abbia modificato i tratti della povertà in Italia. Nei sei anni di crisi, tra il 2007 e il 2012, la fetta di popolazione con bassa intensità di lavoro è rimasta in linea con la media europea intorno al 10%. Nel povero Belpaese la quota delle persone a rischio di povertà ha oscillato intorno al 19% / 19,4% lo scorso anno). Ma a peggiorare è stata la qualità della vita, rappresentata dall’indigenza e dalla deprivazione materiale. Nel 2007, mentre il 19,9% degli italiani era “a rischio povertà”, quindi con reddito di gran lunga inferiore alla media, solo il 6,8% aveva problemi sul versante della spesa. Significa che il sistema era iniquo in quanto a distribuzione del reddito, ma tutto sommato la qualità della vita era un problema limitato a pochissimi casi; lo squilibrio opposto, come quello dell’Ungheria, rappresenta invece una società meno iniqua ma nella quale chi ha un reddito basso soffre veramente. Oggi, in Italia, le persone indigenti sono balzate al 14,5%: la rete di protezioni – come quella familiare – non basta più e anche nelle statistiche si certifica che la qualità della vita è pessima per una parte importante della popolazione .

Nel frattempo agli italiani rimane in bocca solo un pò di belpaese: il formaggio, perchè morbido e, poterlo masticare anche senza denti , fa rimanere vivi, in attesa di morire di fame , di freddo , senza luce, impossibilitati a fare la spesa, pagare gli specialisti per curarsi e, pagare le bollette.

Adelfia Franchi