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L’Europa a un bivio……..

___________________________________________________pubblicato da Giorgio VITANGELI  su “FINANZA”

L’opinione pubblica ne sa poco o nulla, ma l’Europa si trova oggi davanti a due opzioni geostrategiche da cui dipende il suo futuro. Da un lato c’è il Trattato transatlantico, dall’altro la creazione di un enorme corridoio eurasiatico di sviluppo, secondo nuove modalità, che si sintetizzano con la parola russa “razvitie”. Parola scelta perché indica non solo crescita economica, ma  uno sviluppo integrale, cioè culturale, morale,  civile, di rispetto ambientale, che include anche, ovviamente, la crescita economica, ma non come obbiettivo unico e prioritario.

In verità, ad essere realistici, i giochi sembrerebbero già fatti, e l’opzione impossibile. Non si tratta soltanto del gelo calato nei rapporti tra Unione Europea e Federazione Russa per la vicenda della Crimea, e della condizione sostanziale di quasi-protettorato degli Stati Uniti sull’ Europa, che hanno nella NATO lo strumento più evidente. Il fatto è che l’accordo transatlantico  è in fase avanzata di negoziazione, e gli americani sperano di ottenerne a breve la firma; ”Razvitie”invece è per ora soltanto un grandioso progetto avveniristico che Vladimir Yakunin, il presidente delle Ferrovie Russe, ha fatto suo, ed ha illustrato qualche settimana fa in una solenne seduta dell’Accademia delle Scienze Russa. Nel ristretto numero degli invitati, il nostro collaboratore, Paolo Raimondi. 

Il ritorno dell’industrialismo  Eppure, malgrado tra le due opzioni a quanto pare non vi possa essere gara, dire che i giochi siano già fatti sarebbe impreciso, per tutta una serie di ragioni. L’accordo transatlantico infatti (ed il suo omologo transpacifico) sono accordi commerciali per la creazione di un enorme mercato unico; espressione di quella ideologia ultraliberistica che ha condotto l’economia mondiale alla crisi più grave dal 1929 ad oggi. Un’ideologia sempre più sotto accusa, anche per i disastri sociali che determina.

“Razvitie” è invece un grandioso programma lungo una enorme fascia eurasiatica di sviluppo integrale, che ha la sua base ed il suo motore d’avvio nella creazione di infrastrutture integrate, di nuove città  e di complessi industriali avveniristici, incentrati cioè sulle industrie del futuro (l’informatica, le nanotecnologie, gli strumenti laser, i motori spaziali, l’energia termonucleare e solare, i sistemi biofotonici, i sistemi di trasporto a sospensione magnetica ecc.). La sua ideologia è quella dell’industria quale fattore primario dello sviluppo economico e sociale, e della cooperazione internazionale volta al bene comune. Una ideologia che riemerge con forza, dopo i miti falsi ed illusori della“civiltà post-industriale”, tant’è che lo stesso commissario europeo all’industria, Antonio Tajani, parla oggi della necessità di un “Rinascimento industriale” per uscire dalla crisi che ha seminato deflazione e disoccupazione in tutto il continente europeo.

La spinta della geopolitica Infine se a favore dell’accordo transatlantico operano nell’immediato i rapporti sostanzialmente ineguali sul piano politico e militare dell’Europa nei confronti degli Stati Uniti, che pesano anche sul piano economico, a favore della Russia giocano le leggi alla lunga ancor più vincolanti delle tendenze geopolitiche, che anch’esse finiscono inevitabilmente col condizionare i rapporti economici.

Non è per caso che da secoli l’economia europea guarda ad est, e persino quando l’unico mezzo di trasporto era il cavallo, lungo il “continuum” territoriale che è il continente eurasiatico si aprivano vie commerciali come la “via della seta”, o – secoli più tardi – collegamenti come la ferrovia transiberiana. Ed anche quando l’Europa Occidentale e l’Unione Sovietica erano politicamente e militarmente separate da una “cortina di ferro” i commerci e gli accordi commerciali non si sono mai interrotti. Ad ovest l’Europa ha più di 4.000 miglia ininterrotte di acqua. Certo: coi mezzi di trasporto moderni l’oceano non è più un  ostacolo, ma la continuità terrestre è tutt’altra cosa.

Esitazioni inespresse e riserve manifeste Ma anche tralasciando le tendenze geopolitiche di fondo, che spingono l’Europa Occidentale verso Est, ed il quadro politico-militare, che la lega invece oltre atlantico, le trattative per la conclusione del Trattato interatlantico, che sembravano dovessero concludersi rapidamente, stanno incontrando invece vari ostacoli

Vi sono da parte europea esitazioni inespresse di carattere strategico, e riserve manifeste di carattere pratico. Quale siano gli obbiettivi degli Stati Uniti  appare sempre più chiaro. Eliminando quanto più possibile i dazi doganali tra le due sponde dell’Atlantico, omogeneizzando gli standard, aprendo il settore dei servizi alla concorrenza tra le due aree, promovendo una ulteriore liberalizzazione finanziaria e l’accesso delle imprese private ai settori che in Europa sono pubblici, compreso quello della difesa, gli Stati Uniti mirano da un lato a creare la più grande area commercial del pianeta, con circa 500 milioni di consumatori col reddito medio più alto del pianeta, e ad instaurare pienamente e definitivamente anche in Europa il capitalismo di modello americano. Un’area che, rafforzata con l’analogo accordo transpacifico, rappresenti la risposta strategica statunitense alla galoppante ascesa commerciale della Cina e degli altri Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Sud Africa). Ma non si tratta solo di rafforzare e “blindare” un primato commerciale creando vastissime zone egemonizzate di “libero scambio” e consolidando così il primato militare e politico. Chi ha il primato commerciale ha anche, inevitabilmente, il primato monetario. Si tratta dunque, per gli Stati Uniti, di preservare il ruolo del dollaro quale moneta degli scambi internazionali, e quindi il signoraggio monetario sul resto del mondo.

E l’Europa quali vantaggi avrebbe? Si parla di un balzo in avanti del“pil”, di milioni di posti di lavoro in più, di una poderosa spinta insomma alla crescita economica, propiziata dal libero scambio. Si dicevano le stesse cose, si facevano le identiche promesse alla vigilia della creazione del“mercato unico” tra i Paesi dell’Unione Europea (vedi “la FINANZA” di gennaio-marzo 2014). Abbiamo davanti agli occhi quel che in realtà è accaduto: stagnazione economica, recessione, disoccupazione a livelli mai raggiunti dal dopoguerra ad oggi, condizioni sociali sempre più drammatiche.

Ma man mano che l’opinione pubblica, le forze sindacali, alcune forze politiche ed alcune categorie economiche cominciano a prendere consapevolezza delle implicazioni dell’accordo transatlantico, le trattative, che dovevano essere segrete, (vien da chiedersi: perché segrete? Perché l’opinione pubblica non deve sapere?) si fanno più difficili. Gli agricoltori e gli allevatori europei temono  l’invasione di prodotti americani a più basso costo, che metterebbero in crisi l’intera filiera agroalimentare europea; i consumatori temono che gli americani riescano a far passare i loro standard e le loro norme di produzione: ad esempio polli lavati con cloro (pratica proibita in Europa), prodotti agricoli transgenici, in Europa vietati, prodotti alimentari poco o nulla controllati; gli ambientalisti, e non solo loro, temono che si imponga una minor protezione dell’ambiente; i sindacati temono che il liberismo selvaggio porti la crisi di interi settori economici europei, con ulteriore disoccupazione, e che il modello di capitalismo americano annulli le possibilità d’azione dei sindacati europei, già fortemente compromesse; gli uomini di cultura temono che il“pensiero unico” passi come un rullo compressore sulle diverse culture europee, uniformandole al modello americano (la Francia ha già chiesto una “eccezione culturale” per proteggere il suo sistema audiovisivo). Ma il rischio più grave lo ha evidenziato in un suo articolo “Le Monde diplomatique” (ripreso su internet da “Micromega”). Si tratta della protezione accordata dal Trattato agli investimenti: in base ad essa le società private possono citare in giudizio gli Stati e le istituzioni locali ( ed ottenere risarcimenti multimilionari) se essi emanano norme (ad esempio maggior tutela dei lavoratori, più severe norme di protezione ambientale, ecc.) che riducono i profitti attesi dall’investimento. Con questa protezione accordata alle multinazionali, in pratica verrebbero ceduti ai privati, cioè alle società multinazionali, gli ultimi brandelli di sovranità rimasti agli Stati nazionali europei, e persino alle loro Istituzioni locali.

L’alternativa“Razvitie” Il discorso di Yakunin merita però tutta una serie di considerazioni, perché esso  è assai più che un“manifesto” di politica industriale innovativa. E’ anche una immagine estremamente stimolante della Russia postsovietica, del modo in cui essa considera oggi il suo ruolo, o meglio la sua “missione” quale popolo e Stato; dei fermenti culturali, delle idee, che agitano la sua società ed una classe dirigente che  vuole recuperare tutta la sua tradizione per costruire un grande futuro.

 Non occorre essere fini diplomatici per capire che il discorso di Vladimir Yakunin ha anche una forte valenza politica, e che la vlidazione dell’Accademia delle Scienze costituisce solo un primo passo. Ed a questo punto  si cominciano a capire anche la ragione e gli scopi della sconcertante inclusione del nome di Yakunin nella “black list”redatta dagli Stati Uniti dopo la crisi di Crimea. Sconcertante perché, Yakunin, oltre ad essere presidente delle Ferrovie di Stato Russe, è anche fondatore e presidente del World Public Forum “Dialogue of Civilizations”, organismo non governativo che gode dello status consultivo del Social and Economic Council dell’Onu, e che da oltre un decennio si batte  a favore del dialogo tra differenti religioni, culture e nazioni, e contro la xenofobia, l’antisemitismo e l’islamofobia.

Ma torniamo al progetto “Rasvitie” o meglio TERB (Trans Eurasian Razvitie Belt), cintura eurasiatica di sviluppo, che è – va sottolineato – un programma russo, che ha però come “questione di principio” la compartecipazione internazionale, in particolare dei Paesi più interessati ad un “polo di sviluppo” localizzato lungo la cintura eurasiatica, e cioè l’Unione Europea, la Cina, la Mongolia, ed anche il Giappone e la Corea.

Accennavamo prima ad alcune idee emergenti nella Russia postsovietica  che di “Razvitie”costituiscono la premessa “ideologica”. Una delle prime ad essere esposte nel discorso di Yakunin è il rigetto  della teoria postindustriale, definita come una “trappola ideologica”. Essa, secondo Yakunin, significa la distruzione delle basi economiche, perché “vivere in un’economia virtuale riassunta nel termine di servizi è una pericolosa illusione: il rifiuto dello sviluppo industriale equivale al puro e semplice rifiuto dello sviluppo”.

Un’altra “idea-forza” è la distinzione tra sviluppo e crescita economica, cui abbiamo già accennato. Ma l’aspetto forse più interessante di questo discorso è il rifiuto dell’economicismo, inteso come un tentativo di riduzione dell’uomo e della società ai soli suoi aspetti economici, mentre “la vita include una componente non economica, spirituale” la quale implica “non solo le religioni, ma anche l’intero complesso dell’intangibile cultura nazionale, la sua storia, la lingua, le peculiarità della mentalità nazionale, le idee di giustizia e di moralità”.

Nel concetto di sviluppo, o meglio “razvitie”, la Russia postsovietica  torna ad includere i valori morali, compresi i valori di patria, e di religione che il marxismo sovietico considerava sovrastrutture, o addirittura “oppio dei popoli”, anche se – per la verità – in parte già questo recupero era stato iniziato nell’era sovietica. E recupera anche, per intero, la sua memoria storica, segnata da “megaprogetti”.Non a caso Yakunin ha citato l’adozione del Cristianesimo, “megaprogetto spirituale”, il grande progetto imperiale dello zar  Pietro il Grande, divenendo consapevole di sé come “Terza Roma”, ed i megaprogetti del periodo comunista,”con lo sviluppo industriale, dei sistemi d’istruzione, della sanità, della difesa nazionale”.Una lezione per noi italiani, che non riusciamo ancora ad avere una “memoria condivisa” né sull’Unità d’Italia, né sul periodo fascista.

Ma vediamo ora, in estrema sintesi, come si articola il progetto“Razvitie”. Il principale elemento  è il sistema infrastrutturale integrato, che combinerà i trasporti, l’industria energetica, le telecomunicazioni, l’acqua, il trasporto di petrolio e gas. Su questa base verranno  creati nuovi insediamenti, cioè costruite nuove città, integrate nell’ambiente, e creati nuovi settori industriali, frutto di nuove scienze e nuove tecnologie.“Razvitie” non è dunque una semplice “area ponte” o un “corridoio di sviluppo”,o un “tubo” che pompa verso l’Europa occidentale i prodotti a basso costo della Cina, ma “un polo di generazione di ricchezza pubblica”, frutto di una nuova forma di cooperazione internazionale che pianifica uno sviluppo neoindustriale e la gestione di enormi territori. Dietro tutto ciò, afferma Yakunin, emerge una nuova ideologia: l’ideologia eurasiatica, basata sulle civiltà identitarie e sul dialogo tra le diverse civiltà. Una ideologia per la quale lo sviluppo non è solo crescita economica, ma include i valori morali ed è materia di cooperazione internazionale. Si direbbe che qualcosa dell’”Europa delle patrie” che sognava De Gaulle sia emigrato nella Russia postsovietica.

Ma come finanziare questo gigantesco progetto di neo-industrializzazione, che copre una fascia larga 200-300 chilometri, che si snoda da ovest ad est lungo tutta l’Eurasia? Il volume degli investimenti è difficile da calcolare, ma siamo nell’ordine di migliaia di miliardi di euro.

“La realizzazione  di progetti transcontinentali che richiedono così enormi investimenti – è la risposta di Yakunin – è possibile usando un paniere di valute, in termini più precisi un paniere di fiat money (monete a corso legale) dietro cui c’è tutto il potere di uno Stato” Una moneta “il cui valore è determinato non dall’oro o dalle riserve d valute straniere, ma dalla integrante capacità dello Stato di portare a realizzazione grandi progetti”.Yakunin cita Sergey Fedorovich Shaparov, un economista russo che all’inizio del 20° secolo sosteneva questi concetti, e ribadisce che “è l’idea di un futuro globale  come pienamente accessibile, e non la stampa senza limiti  di cartamoneta senza copertura, che determina il valore della moneta nel moderno mondo globale”, e  sottolinea come con un simile approccio il progetto della cintura eurasiatica di sviluppo “riesce a sfuggire al soffocante sistema economico basato sul dollaro”.

Suonano come idee eretiche. Ma può essere l’ uovo di Colombo. In fondo cos’è il dollaro-carta, ormai da quasi mezzo secolo privo di copertura aurea, se non la semplice espressione del potere di coercizione di uno Stato e della sua economia reale? E la capacità di governare e concretizzare grandi progetti di sviluppo, non è forse più valida e credibile di un declinante potere di coercizione?

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