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Crisi del Capitalismo

LA CRISI DEL CAPITALISMO,  resoconto di una Tavola Rotonda

di  Riccardo ABBAMONTE

con approfondimenti ed integrazioni di  Giuliano MARCHETTI

 Mercoledì 23 novembre, alle ore 18, si è tenuto a Roma, presso il “Caffè Letterario” in via Ostiense 95, un dibattito sulla CRISI del CAPITALISMO, promosso dal Prof. ANTONIO SACCA’, in passato Docente di Sociologia all’Università la Sapienza. Sono intervenuti all’incontro, oltre al Prof. Saccà, il Dr. CLAUDIO TEDESCHI – Direttore de “IL Borghese”, il Dr. ENEA FRANZA – Economista e saggista ed il Prof. CARLO JOVINE – neurologo, quale coordinatore. Al termine si è svolto un serrato dibattito con la partecipazione del pubblico presente in sala.

Nella sua introduzione il Prof. CARLO JOVINE – Dirigente dell’Ospedale San Giovanni Battista (S.M.O.M.), Consulente medico del Tribunale di Roma e del Supremo Tribunale della Signatura Apostolica – ha ricordato come 20 anni fa un Pontefice, esattamente il I° maggio 1991, aveva scritto che lo sviluppo non deve riguardare solo obiettivi economici, ma soprattutto umani. Non è infatti lecito disattendere la natura dell’uomo …. e la Chiesa, pur riconoscendo la positività del mercato, ritiene che questo deve essere indirizzato verso il bene comune, senza secondi fini, speculazioni e rotture irreparabili col mondo del lavoro. Questo in particolare deve dare all’uomo sicurezza e libertà e l’economia deve essere indirizzata non al soddisfacimento dei puri egoismi personali, ma sempre verso il bene comune. Quel grande Papa era GIOVANNI PAOLO II. (*1)

Il Prof. ANTONIO SACCA’ ha iniziato il suo intervento con una disamina della trascorsa e dell’attuale situazione economica e finanziaria mondiale, in particolar modo vagliando, quindi, la crisi del capitalismo.   A suo parere, occorrono contemporaneamente analisi etiche ed economiche. Nel suo duro confronto con l’economia, l’etica è risultata spesso soccombente, in quanto, nei regimi capitalistici, il profitto non sempre corrisponde al bene comune.  Esiste, per Saccà, una “malattia” all’interno del capitalismo, il quale tende alla massimazione del profitto, per ottenerlo comprime i costi, razionalizza il lavoro, investe per modernizzarsi, produce e cerca di vendere, di far consumare enormemente. Tali obiettivi furono raggiunti dal capitalismo che perciò riuscì ad imporsi, in diversi tempi, sia sul feudalesimo, sia sul socialismo; prima della nascita del capitalismo, infatti, l’uomo non conosceva i consumi ed il consumismo, il cui avvento cambiò in pratica tutta una mentalità consolidata nei secoli.  Il capitalismo tende ad espandersi ovunque, a dominare e a colonizzare; quest’ultima caratteristica non è esclusiva del capitalismo.  Il capitalismo fino a poco tempo addietro si avvaleva delle materie prime provenienti da tutto il mondo per lavorarle e trasformarle; dal XVIII secolo il capitalismo ebbe un’espansione inaudita, causando un notevole impoverimento ed arretratezza in paesi precedentemente molto potenti come la Cina e l’Impero Ottomano. La produzione raggiunta dai paesi europei tra Settecento e Ottocento fu infatti straordinaria, per la prima volta la scienza e la tecnica si applicarono all’economia vistosamente, limitando ma potenziando, attraverso l’introduzione delle macchine, il lavoro dell’uomo.

All’interno del capitalismo, però, ad ogni mutamentio tecnologico, si registra anche una crisi, dato che le innovazioni gettano fuori mercato chi non le adotta immediatamente, creando disoccupazione ricorrente, in passato riasorbita con il bisogno di lavoratori richiesto dalle aggiornate tecniche. Questo sistema sembrò, a molti, il migliore, il più produttivo, il più produttivo, il più socialmente vantaggioso. Produrre, consumare, produrre maggiormente, occupare, produrre maggiormente, occupare, consumare, accrescere ……. Successivamente alcuni sociologi ed economisti ed altri (Proudhon, Comte, Lassalle, Sismondi, Saint-Simon) iniziarono a formularsi critiche nei confronti del capitalismo, rilevandone le periodiche crisi e le disuguaglianze, elaborando tentativi per sistemi alternativi. Chi più di ogni altro mise in discussione il capitalismo fu Karl Marx,  pur considerandolo, per la intrinseca ed oggettiva efficienza, il miglior sistema economico mai esistito.  Marx però – secondo Saccà –  con maggior certezza di chiunque ritiene di individuare il punto debole di tale sistema: per Marx i capitalisti, raggiungendo i loro obiettivi di massimo profitto in periodo medio/ breve, in tempi lunghi raggiungeranno risultati opposti a quelli previsti. Il sistema capitalista, sempre per Marx, nel lungo periodo agevolerà sopratutto grandissime imprese che dispongono di possenti e particolari tecnologie (e soltanto le grandi imprese avranno i capitali per questi fini), cagionando necessariamente disoccupazione, crollo delle piccole e medie imprese. La disoccupazione fermerà i consumi, il capitalismo avrà a sua disposizione enormi capitali che poi non saprà come investire utilmente… da ciò la crisiinevitabile del capitalismo: le macchine sostituiscono i lavoratori, la massa dei disoccupati non consumerà, le piccole e medie imprese non reggono, i consumi sminuiscono, la produzione e i capitali non trovano impiego……….Questa la diagnosi di Marx. A rimedio Marx, continua Saccà, ipotizza che il proletariato assuma la direzione dell’economia, collettivizzandola, e stabilendo un rapporto equilibrato tra potenza del sistema produttivo, occupazione e salari, evitando che sia il profitto a dominare, con la conseguente disoccupazione, giacchè il capitalista utilizza gli operai molte ore e adotta il licenziamento, invece di ridurre l’orario per occupare un maggior nuimero.

Questa tesi di Marx sino ad oggi è fallita per la notevole crescita della classe media, che Marx considerava schiaciata dalla grossa borghesia. La classe Media riuscì a bloccare, insieme alla borghesia, sul sorgere  tutte le rivoluzioni che a suo tempo Marx aveva ipotizzato; la “rivoluzione” riuscì ad avere successo solo in Russia, ove non esisteva ancora una forte classe media, ma il suo esito finale sul popolo russo fu terrificante. Da una parte, grazie al lavoro forzato e schiavistico della popolazione sovietica, il comunismo riuscì a modernizzare la Russia e a vincere la Seconda Guerra Mondiale, ma alla lunga non riuscì a vincere sul fronte dell’ economia la sfida al capitalismo.  Il comunismo sovietico, ispirato a Marx, non ebbe fortuna e finì nel nulla.

Il capitalismo vinceva ovunque sia perché si rinnovava continuamente, sia perché gli uomini inseguivano (ed inseguono tuttora) spesso il profitto e l’utile, più del bene comune. Del resto, secondo Adam Smith, il capitalista, oltre ai propri diretti interessi, persegue anche gli interessi della società, dato che in fondo esso è una variante capovolta del cristianesimo che concepisce invece l’impegno esplicito al bene comune. Secondo Smith, il capitalista  mirando al personale profitto sviluppa l’occupazione e l’impresa, consentendoci benessere collettivo, pur non proponendoselo. Questo è l’assioma etico del capitalismo che, se crolla,fa venire meno il suo fondamento stesso. Con gli anni, e dopo molti anni, con le fenomenali lotte dei salariati si ebbero conquiste sociali rilevantissime: vacanze garantite, la opportunità di acquisire la casa col mutuo garantito dal lavoro meglio retribuito e durevole, la cura la salute popolare col servizio sanitario nazionale.  Abbiamo quindi, dopo decenni di lotte sindacali, il “il Welfare State”, ove il salariato e l’impiegato potevano rincorrere il consumo, anche ratealmente, giacchè non dovevano spendere per la salute, essendo l’occupazione stabile e duratura; le sole controindicazioni potevano venire da un eccessivo indebitamento, nel caso del passo più lungo della gamba. La società dei consumi risolse dunque (o sembrò poter risolvere quasi ovunque) il problema dell’occupazione, in quanto più si consumava, più c’era occupazione. Però i capitalisti “scoprirono”, sempre cercando il massimo profitto, i i paesi ove il basso costo del lavoro creava altissimi guadagni, come in Cina e in altre nazioni cosiddette arretrate, paesi dell’Est Europeo dopo la fine del comunismo. Era stata inventata la globalizzazione, con merci, servizi e mano d’opera a bassissimo costo che permettevano altissimi profitti, grazie agli spostamenti facili del capitale all’estero. In seguito però la Cina ha stravolto tutto questo con una contro-globalizzazione, il che spiega in poche parole la crisi odierna dell’Occidente industrializzato nei confronti dei paesi cosiddetti emergenti. Con questi paesi oggi l’Europa non può più competere sul versante del costo del lavoro e della produttività, nonostante “tentativi” riparatori impostati dai governi occidentali.

Oramai, secondo Saccà, siamo sull’orlo del baratro poiché le nostre economie, non essendo più competitive, non potranno mai risollevarsi completamente; per questo si è cercato il profitto soprattutto tramite  “espedienti”, aiuti, sovvenzioni o manovre finanziarie, inondando le banche di denaro, con il conseguente acquisto da parte delle banche centrali di buoni del tesoro, senza però creare nè occupazione, oltretutto falcidiata dalle nuove tecnologie e dagli alti costi d produzione, nè produttività, lasciando colpiti i pensionati, i dipendenti salariati e le classi giovanili, come base sociale da cui estorcere denaro a fovore del sistema bancario e imprenditoriale. L’Occidente quindi, incapace di contrastare oramai le economie asiatiche, spreme i propri cittadini dei ceti medio bassi, per consentire alla borghesia di strato superiore a mantenersi ricca.  In futuro ci saranno solo pochi gruppi ricchi o ricchissimi a confronto di una massa di poveri o poverissimi, in modo da consentire ai primi il mantenimento di profitti che non saprebbero conseguire nell’ambito di un confronto concorrenziale internazionale. Trattasi di una vera “estorsione in casa propria” – afferma Saccà – che potrebbe portare a disordini sociali e a probabile ricorso a sistemi autoritari. In ogni caso i sacrifici imposti alla popolazione per sanare i bilanci debilitati (…si dice) da Welfare, non ci renderanno nè competitivi, nè creeranno nuova occupazione. Avremo quindi sacrifici ed impoverimento a fondo perduto.  La piccola impresa da parte sua non avrà più possibilità di competere seriamente in campo internazionale e verrà comprata dai grandi gruppi multinazionali. e si verificherà un ulteriore crollo delle classi medie. Tra l’altro i ceti più ricchi non hanno nessuna intenzione di sacrificarsi per salvare il paese. Negli ultimi anni il trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi è cresciuto ovunque in maniera mai accaduta e, d’altra parte, le misure prese finora non serviranno a niente e avranno il solo risultato di distruggere i consumi e di impoverire ulteriormente quelli che già oggi sono poveri o debilitare i ceti medio-bassi, mentre le banche preferiscono impegnarsi in speculazioni finanziarie, anzichè sostenere le imprese. Il profitto oramai, se spinto all’eccesso, – concludeva Saccà – può divenire al limite antisociiale  e non coniugativo di vantaggio personale e vantaggio sociale, come sosteneva Smith in altri tempi.

A chiusura dell’intervento di Saccà, interveniva CARLO JOVINE, quale coordinatore, per evidenziare come già oggi la Coca-Cola o la Philip Morris, tanto per fare alcuni esempi, conseguono ricavi comparabili con quelli di alcuni Stati; il capitalismo, d’altronde, non ha anima, né patria e bada solo all’interesse immediato. D’altra parte l’Europa ed i propri Stati Nazionali non possono subire una politica di auto-annientamento e quindi è necessario  riacquisire una  propria dignità e non farsi dominare dai poteri forti. Occorrerebbe in altre parole rinegoziare il debito con le banche; la situazione è molto grave ma, noi come Italiani, già spesso in passato siamo ripartiti dal nulla, riuscendo incredibilmente a risorgere grazie alle nostre innate risorse.

La parola passava quindi a CLAUDIO TEDESCHI – Direttore de ”Il Borghese”- che dissentiva parzialmente dalle tesi di Saccà sulla crisi del capitalismo, precisando che lo stesso bolscevismo era stata un’arma usata dai tedeschi nel corso della prima guerra mondiale per sconfiggere una pericolosa rivale come la Russia. D’altronde il capitalismo nasce con l’uomo, dato che per coltivare, allevare bestiame e quant’altro occorreva denaro, che presto divenne l’elemento fondamentale dell’economia: nasceva così la figura del banchiere, in parallelo con lo sviluppo della produzione. Oggi noi stiamo attraversando una fase di grave stagnazione, ma non si può ignorare come le guerre abbiano sempre fatto da volano al capitalismo; d’altronde il denaro deve girare per produrre e il capitalismo ha usato l’industria per produrre denaro. Ma il denaro, da un certo punto in poi,  è divenuto un elemento a sé stante dall’economia, trasformandosi da “mezzo”in “un fine”; il consumatore ha imparato a comprare a rate, ma a un certo punto l’afflusso di denaro si è fermato e quindi sono stati inventati i c.d. “prodotti derivati”, i quali sono stati sempre più sopravvalutati per guadagnare più denaro, con un sempre maggiore indebitamento. Tuttavia, i debiti dei vari paesi non sono debiti reali, in quanto non sono stati contratti con paesi esteri, ma nei confronti del sistema bancario e finanziario. Va inoltre considerato che la maggior parte del denaro oggi è elettronico, non esiste che sulla carta e, pertanto, ci stiamo sempre più indebitando con un “denaro virtuale”, forse inesistente, se non  addirittura falso.  Pochi anni fa l’Argentina, che aveva a suo tempo agganciato la propria moneta al dollaro, si è trovata pressappoco come oggi ci ritroviamo noi con l’euro, ma il paese sudamericano alla fine si è staccato dal dollaro e dopo due anni di crisi si è ripreso alla grande. La Grecia a sua volta ha provato a staccarsi dall’euro, comprando ad esempio petrolio dall’Iran, ma la risposta della grande finanza, per scongiurare una crisi forse potenziale, è stata quella di  un attacco bellico alla Libia, con la quale fino a poco tempo prima si erano fatti grandi affari. La soluzione è quindi quella di uscire dall’euro e rinunciare orgogliosamente alle tutele sovranazionali dei “poteri forti”: va ricordato che lo stesso Monti è un ex commissario europeo e da sempre molto vicino alla grande finanza internazionale. In nome del dio denaro si è così sospesa in Italia la democrazia e sia in Italia, sia in Europa, sia altrove, pesanti responsabilità sono esclusivamente dei banchieri e della Finanza Internazionale (*2).

Come coordinatore Carlo Jovine, dopo aver chiarito – secondo il suo punto di vista – che una politica come auspicata da Claudio Tedeschi  può essere attuata solo con uno Stato forte, introduceva quindi l’intervento di ENEA FRANZA, il quale dichiarava di non concordare con quanto esposto dai precedenti Relatori, poichè sia Saccà, sia Tedeschi – a suo giudizio – risulterebbero avere una visione notevolmente ideologizzata e, forse, anche una inadeguata conoscenza del fenomeno. Da economista, Enea Franza esprimeva quindi la “non opportunità” di abbandonare od uscire dall’€uro, come si propone da parte di alcuni, varando due diversi euro, uno latino e uno tedesco. Infatti la differenza dei tassi di interesse dei titoli tra Italia e Germania (spread) è oggi molto forte. per cui chi possiede titoli o azioni ha in pratica il 50% in meno del loro valore e la maggior necessità di ricorrere all’estero, in un contesto di stagnazione, crea miseria.  I principali errori del passato sono stati l’adesione della Cina, del Brasile e in parte della Russia al mercato comune WTO, all’epoca auspicata dal presidente Clinton, il quale riteneva di risolvere i problemi mondiali grazie al libero commercio. Secondo Franza i modi di superare le attuali difficoltà non sono perseguibili se non supportati da un discorso di forza politica. Infatti i beni e i servizi tedeschi al 70% sono venduti in Europa, mentre la Francia ha problemi di rientro dal suo debito ancor più elevati dei nostri, perché ha gravi problemi bancari. Il capitalismo in definitiva oggi sta soffrendo, ma le critiche non tengono conto della sua gestione finanziaria, dello scollegamento tra finanza ed economia, dato che le imprese e le banche sono infatti due entità ben distinte e, finora, in breve sono mancate le opportune garanzie. Con tassi di interessi bassi in America, i parametri bancari sono completamente saltati. Con la globalizzazione si è poi guadagnato denaro sul denaro invece che dall’attività economica; le banche infatti oggi introitano molti guadagni in genere dalle commissioni; si sposta denaro assai facilmente ma, se non si restituiscono i prestiti,  alla fine la situazione andrà sempre peggiorando

Interviene nuovamente ANTONIO SACCA’, dichiarando di non essere personalmente favorevole ad una  uscita dall’euro, ma a suo parere la maggior parte dei problemi dell’Europa dipendono dalla prepotente ascesa economica della Cina. Il Presidente Clinton volle a suo tempo estendere la globalizzazione alla Cina, ma tale progetto, alla fine, gli si è ritorto contro; in altre parole l’Occidente, pur di incrementare i profitti, si è rovinato con le proprie mani. I cinesi infatti ormai hanno invaso il mondo coi loro bassi salari e la crisi non deriva solamente dal mondo della finanza, ma nasce da un’esuberanza di capitalismo che non si sa come reimpiegare e, impiegato in Cina, si è sviluppato contro il mondo occidentale.  D’altronde il profitto è la molla del capitalismo stesso ma, quando il capitale stenta a produrre ulteriori profitti, si richiedono di fatto aiuti allo Stato, allungando l’età pensionabile, tagliando il welfare, creando il lavoro precario e il licenziamento facile. L’unica alternativa possibile per opporsi al fallimento del sistema capitalistico, secondo Antonino Saccà  è affidare l’impresa agli stessi lavoratori, che si dovranno amministrare da sé, senza interventi da parte del capitalista di turno. Essi saranno lavoratori-imprenditori e dovranno crearsi un proprio ruolo e spazio occupazionale, lavorerebbero il necessario per mantenere competitiva l’impresa, senza avere come scopo principale il profitto, ovviamente non si autolicenzierebbero e potrebbero stipendiare uno o più manager; una impresa di tal genere priveleggerebbe pertanto l’occupazione(*3).   Al momento di concludere il secondo intervento, è lo stesso relatore che, prevedendo una gravissima crisi del lavoro in un prossimo futuro, pone a se medesimo e all’auditorio tutto un provocatorio interrogativo:  la crisi stessa ha una propria finalità ? Essa serve ad abbattere anche da noi il costo del lavoro, i diritti sindacali, i salari, gli stipendi, le pensioni e le garanzie con il motivo dei “sacrifici” indispensabili ? Saccà rispondeva affermativamente sull’esistenza della crisi, ma che altresì il capitalismo cavalcherebbe la crisi per avere bassi salari ed incrementare solamente il profitto. Da un punto di vista “politico” la problematica della crisi sarebbe all’interno e all’esterno del capitalismo: all’interno a causa della stenua rivalità tra Europa ed U.S.A., il cui fine ultimo sembrerebbe ora quello di abbattere l’€uro e l’Europa; all’esterno è tra Occidente e Cina ed anche Russia, almeno da parte degli U.S.A. e della Gran Bretagna.

= Al termine si è aperto un interessante dibattito, con numerosi interventi da parte dell’auditorio, ove sono emerse tesi anche contraddittorie tra chi preferiva un ritorno alle singole sovranità nazionali e chi auspicava un efficiente “governo mondiale” per gestire al meglio questi problemi. Da parte di altri veniva evidenziata una crisi culturale di tutto l’Occidente che non era riuscito adistinguere l’utile dal futile, cioè l’importante ed il necessario dal superfluo e dal pleonastico. Infine c’è stato anche chi si è chiesto se la sovranità appartiene ancora al popolo, dato che il potere decisionale non è più nelle mani del popolo stesso ma dei poteri forti, delle banche, delle lobby. Tutto ciò non è certo democrazia (*4) e sarebbe opportuno conoscere chi dunque chi manovra i mercati, come sarebbe giusto e doveroso condannare chi ha inizialmente causato la crisi e chi successivamente ne ha consentito l’attuale degenerazione.

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(*1) Unitamente al Grande Pontefice GIOVANNI PAOLO II, credo si debba citare anche BENEDETTO XVI che, oltre con le Encicliche, più volte è intervenuto con propri discorsi e messaggi a favore dell’Uomo, inteso come soggetto della Società, come artefice e protagonista del Lavoro, con cui realizzare il “Bene Comune”.

(*2)  A favore del Prof. MARIO MONTI, attuale Presidente del Consiglio, va comunque ricordato come – nel suo campo di competenze – sia un un esperto di indiscusso valore, oltre a poter vantare una vasta cultura anche umanistica e che, come Commissario della U.E., si sia a suo tempo schierato contro gli interessi monopolistici della Coca-Cola e della MycroSoft, scontran-dosi anche con la Presidenza USA della Casa Bianca. Ma certo non possono essere visti  con simpatia i suoi collegamenti con la Bildeberg, la Trilateral, nonché la Moody’s – l’Agenzia di Rating che in ottobre ha declassato il nostro Paese.   Più volte da parte della CONSUL PRESS (e da me personalmente, anche su altri organi di stampa, in particolare su “Rinascita” e su “Il Borghese”) sono state prese posizioni fortemente critiche sia contro il mondo delle banche, della finanza e della usurocrazia, sia contro il signoraggio; sono sempre state condivise le teorie del Prof. Giacinto Auriti, sulla proprietà popolare della moneta; è sempre stato ritenuto indiscutibile il primato della Politica (quella con la “P maiuscola”) nei confronti dell’economia. E proprio su tale argomento è doveroso riproporre una citazione di OSWALD SPLENGER: “Politica ed Economia non possono risultare separate nella vita delle Nazioni. Esse – lo ripeterò sempre – sono due aspetti della medesima realtà di vita, ma stanno fra di loro come il governo di una nave sta alla destinazione della merce trasportata. A bordo la figura principale è del capitano, non del mercante a cui appartiene il carico.

 (*3)  Tale argomento più volte è stato affrontato dal Prof. Antonio Saccà, nel corso di dibattiti   e Tavole Rotonde, a cui ho personalmente assistito presso alcuni incontri sia presso i Seniores, sia presso l’Associazione Libraria L’Universale. Tali tematiche sono state trattate anche dal Prof. GIUSEPPE CIAMMARUCONI, con alcuni saggi pubblicati dall’Istituto Studi Corporativi.   l 

 (*4)  A proposito di “Democrazia”, come sistema politico, non è può essere certamente definita come il “Bene Assoluto”, anche se a criticarla si rischia di essere incriminati per “Lesa Maestà” e comunque reputo utile consigliare la lettura di un agile libro “Perché non sono democratico” scritto da Nicola Cospito, dedicato dall’autore ai suoi studenti liceali e ai suoi figli.   

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 INTERVISTA al PROFESSOR ANTONIO SACCA’   a cura di Riccardo Abbamonte

D. Professor Saccà, lei è il protagonista di questa serata. Si presenti da solo per coloro che ancora non la conoscono.

R. Sono stato docente di Sociologia delle Forme Espressive presso la Scuola di Perfezionamento in sociologia e ricerca sociale,all’Università La Sapienza di Roma. Oltre all’attività accademica ho scritto svariati libri e da tempo valuto la crisi del capitalismo, sulla quale ho una mia particolare interpretazione. Per me la crisi del capitalismo è una crisi strutturale e non contingente, e purtroppo non sarà facile uscirne.

D. Professor Saccà, questa sua attività di conferenziere, se si può dire così, è da considerarsi continuativa oppure vi si dedica una tantum, giusto quando il tempo e i suoi impegni di lavoro e di studio glielo consentono?

R. Naturalmente questa non è un’attività continuativa, ma da alcuni anni, almeno da quando è scoppiata la crisi attuale, sto portando avanti in varie sedi le mie idee sull’argomento, come ho fatto in precedenza anche qui al Caffè Letterario.

D. Ci ricordi i suoi trascorsi al Caffè Lettario sull’argomento.

R. Ad esempio nel febbraio del 2010, sempre qui al Caffè Letterario, ho tenuto un dibattito intitolato: “Dalla crisi del comunismo alla crisi del capitalismo. Diagnosi e prospettive”.

D. Cosa disse in particolare in quell’occasione?

R. In quell’occasione ho dedicato una particolare riflessione sulle conseguenze di una concorrenza squilibrata che avvantaggiava paesi come l’India e la Cina, che avevano alle spalle bassissimi costi di produzione rispetto ai nostri. In quella sede ho affrontato anche il tema del che fare per una eventuale uscita dalla crisi.

D. Ma i suoi interventi hanno solo una componente storica ed economica o rivestono un più ampio respiro?

R. Naturalmente cercano di avere un più ampio respiro. Infatti la crisi economica si traduce anche in una corrispondente crisi di natura esistenziale e morale, che pone una serie di interrogativi sull’uomo contemporaneo.

D. Altri suoi interventi al Caffè Letterario…

R. Il tema del capitalismo e dell’impresa è stato già da me affrontato nell ibro “Il Lavoratore-Imprenditore”, mentre nel novembre 2009, sempre al Caffè Letterario, ho presentato il mio libro “Il padre di Dio” (2009, Edizioni Bietti Media).

D. Il suo saggio ha destato molto interesse per la complessità dell’argomento trattato e per l’originalità dell’approccio intellettuale, che approfondiva il grande tema della religione, tra attualità, teologia e storia, con una particolare attenzione alla dimensione artistica e creativa della religione. Così almeno, se ben ricordo, dissero allora i media. Ma tornando al suo discorso sul capitalismo, lei ha parlato a titolo individuale o dietro impulso di un interesse politico particolare, che magari in un prossimo futuro potrebbe anche portarlo a candidarsi alle elezioni politiche?

R. Ho espresso semplicemente il mio pensiero personale e dietro di me non vi è interesse politico di partito. Voglio accennare che a mio giudizio soltanto se i lavoratori fanno impresa riusciremo a sottrarci alla crisi, giacchè il capitalismo odierno fa profitto contro i lavoratori e l’occupazione. Un cenno. Nella conferenza ho svolto l’argomento.

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