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La politica del non disarmo

IL DISARMO della POLITICA ESTERA e non la politica estera del disarmo ____________________di Torquato CARDILLI

Per gentile concessione dell’ autore –  già pubblicato su “L’ITALIANO” – www.litaliano.it – quotidiano on line      

 

In politica estera vale il principio della continuità dello Stato per cui il Governo in carica, quale che esso sia, deve prioritariamente perseguire gli interessi nazionali e poi, solo se possibile, anche quelli dell’alleanza a cui appartiene, che spesso sono divergenti. Noi, purtroppo, abbiamo fatto storicamente il contrario. Le recenti guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, e da ultimo Ucraina, ci hanno visto partecipare, soffrirne gravi conseguenze senza trarne nessun vantaggio, a differenza di altri paesi. Abbiamo semplicemente obbedito agli ordini, forzando e contorcendo la nostra costituzione con l’avallo di un parlamento ignorante e succube di fronte ad un premier ed un presidente inclini alle prove di forza, alle vanterie verso l’alleato maggiore, desiderosi di non sfigurare, pronti a correre pericoli pur di sedere al tavolo dei grandi senza renderci conto che a noi era riservato lo strapuntino (ed a volte nemmeno quello).

Quanto accade (non solo oggi, ma da vari anni) sulla sponda sud del Mediterraneo, dimostra che la politica estera dell’Italia conta quanto una scartina, come aveva rivelato anni fa, a più riprese, la gola profonda di wikileaks.
Nessuno dei nostri Governi nell’ultimo decennio (Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) ha avuto la minima idea sul come fronteggiare le varie crisi, controllarle e volgerle nel senso a noi meno sfavorevole, coordinarsi (senza ubbidire solamente) con i partner europei ed atlantici, elaborare una strategia politica che salvaguardasse l’interesse dell’Italia.
Il sito elettronico del Ministero degli Esteri cita come suo compito quello di “assicurare la coerenza delle attività internazionali ed europee delle singole amministrazioni con gli obiettivi di politica internazionale”. Bum! E quale Governo ha mai disegnato quali siano gli obiettivi della politica estera italiana? Mistero mai svelato nelle dichiarazioni programmatiche o nei dibattiti parlamentari. E quale è stato lo strumento per rendere coerente ad essi le attività internazionali delle singole amministrazioni? Altro mistero: ogni amministrazione pubblica e ente regionale fa la propria politica estera, l’una ad insaputa dell’altra e soprattutto senza coordinamento.
Ma andiamo avanti: leggendo sempre il sito della Farnesina troviamo una Direzione generale degli affari politici e di sicurezza con un vice direttore generale ed un ufficio ad hoc dedicati al disarmo (ripeto disarmo), controllo degli armamenti e non proliferazione; c’è un’Unità per la Russia, Caucaso, Europa orientale e Asia centrale e poi un’altra unità per l’Afghanistan. Manca del tutto un ufficio specifico per lo studio e contrasto del terrorismo internazionale, fenomeno che dall’anarchismo isolato di un secolo fa è diventato un pericolo epidemico mondiale.
Per carità, di terrorismo internazionale, a sentire le voci interne del palazzo, se ne occupano tutti. Come?  Rimestando la minestra riscaldata delle notizie stampa e delle informative dello spionaggio e del controspionaggio, ma senza un’analisi approfondita di costi e benefici e senza la prospettazione di soluzioni sia nel breve che nel medio termine.
Non è da dubitare che i nostri costosi Servizi di intelligence abbiano avvertito con largo anticipo le autorità politiche di quanto si stava preparando in Siria, Iraq, Gaza, Libia, Afghanistan, Iran, Ucraina. Se non l’hanno fatto vuol dire che sono totalmente inutili (tanto vale licenziarli tutti) oppure che hanno tenuto un comportamento infedele, tenendo nascoste certe notizie, o mentito nel rivelare solo quelle che dettava Washington, con una sudditanza già sperimentata nel caso Abu Omar.
Dando per scontato che i Servizi abbiano fatto il loro dovere vuol dire che le decisioni prese a Roma, anziché provenire da un’elaborazione interna o da un dibattito parlamentare, sono state il frutto di “input” politici provenienti da oltre Atlantico. I nostri governanti hanno sempre anteposto questo tipo di cieca obbedienza all’onestà dovuta nei confronti dei propri cittadini adeguandosi a scelte scellerate che ci hanno ridotto al rango di valletti che pagano il conto.
Basta ricordare l’enorme costo finanziario e il grave tributo di sangue versato dai nostri soldati in Iraq e Afghanistan: la guerra contro Saddam Hussein, accusato falsamente dagli USA di possedere armi di distruzione di massa, non ci è valsa alcunché. Si diceva che serviva alla distruzione di al-Qaida (che non aveva mai messo piede in Iraq), alla stabilità internazionale ed alla pace. Si è visto come questi obiettivi fossero pure fandonie e quali siano stati i risultati in materia di terrorismo e di disfacimento di un paese, in cui i bombardamenti occidentali hanno seppellito non meno di 600 mila persone.
Abbiamo partecipato per 10 anni alla guerra in Afghanistan, propagandata anche nel nostro parlamento come l’unica risorsa per fermare il terrorismo, responsabile dell’attentato alle torri gemelle del 10 settembre 2001. Eppure a New York non agirono i talebani, ma terroristi yemeniti, sauditi ed egiziani.
Anche da Kabul abbiamo rimpatriato troppe bare di soldati senza che all’Italia fosse stato riconosciuto un ruolo nella politica estera mondiale. Non abbiamo ottenuto nulla, nessuna posizione decisiva all’interno delle Nazioni Unite, nessuna riforma del Consiglio di Sicurezza su cui avevamo imbastito il maggiore sforzo diplomatico di politica estera negli anni 1990-2000, nessuna partecipazione al gruppo dei 5+1 (i 5 membri permanenti del CdS + la Germania) dedicato alla questione nucleare iraniana, nessuna consultazione preventiva sulle decisioni più gravi di interventi armati. Non abbiamo ottenuto nei fatti concreti nemmeno la solidarietà atlantica o dell’Unione Europea o dell’ONU nella questione dei due marò la cui vicenda è stata l’apoteosi della nostra pressappocaggine e della mancanza di coraggio nel richiedere a tutti gli alleati di sostenerci pena la cancellazione dei nostri contributi a tutto il sistema ONU e Nato.
Non vale opporre al ragionamento della mancanza di riconoscimenti la contabilità delle perdite subite dagli inglesi e dagli americani di gran lunga maggiori delle nostre, perché questi paesi hanno deciso da soli, trascinati in un’avventura da un presidente cowboy, rieletto con il trucco, ed hanno lucrato miliardi di dollari in petrolio e appalti di ogni genere.
Il presidente Obama, che è stato pure insignito del premio Nobel per la pace, può vantarsi di un solo risultato: di aver ucciso, nascondendone il corpo Bin Laden. Ma non ha mantenuto nessuna promessa in tema di diritti umani (Guantanamo o estradizioni illegali), non ha ottenuto nessun risultato sul terreno militare, né su quello politico o diplomatico; anzi ha approfondito la spaccatura con i più poveri e diseredati nel mondo, ha moltiplicato ovunque l’odio del fanatismo, alimentato da una politica militare muscolare generatrice di catastrofi su catastrofi.
Sempre su ordine americano, incuranti della questione gas, noi ci permettiamo pure di fare la voce grossa con Putin per l’annessione della Crimea e la questione ucraina partecipando entusiasticamente alle sanzioni anti Russia, mentre diamo un’altra botta mortale alla boccheggiante economia italiana soprattutto nei settori dell’agroalimentare di qualità già colpiti dal terremoto e dalle inondazioni.
Il nostro comportamento con la Libia è stato a dir poco pagliaccesco. Prima l’umiliante baciamano pubblico di Berlusconi a Gheddafi ricevuto a Roma con tutti gli onori e contorno di fanciulle, poi nell’esultanza del Ministro degli esteri Frattini, l’abbandono alla sua sorte macabra contro lo spirito del trattato ancora fresco d’inchiostro, senza averne soppesato le conseguenze.
Si capiva da lontano che Stati Uniti, Francia ed Inghilterra fossero desiderosi di scalzare i nostri interessi sugli idrocarburi libici, ma il caos e l’anarchia in cui è stato gettato il paese per causa loro, a noi, che avevamo assistito alle prove di insurrezione con la devastazione del nostro Consolato a Bengasi, e poi all’assalto contro quello americano in cui fu trucidato l’ambasciatore e alcuni agenti spioni, ha causato solo danni: ha tagliato le gambe all’Eni, alle nostre imprese lì impegnate, creditrici di parecchie centinaia di milioni di euro ed alle nostre esportazioni. Da primo partner commerciale della Libia siamo diventati insignificanti sul piano economico, ma destinatari a spese nostre di un esodo biblico su cui prospera la criminalità transnazionale che siamo assolutamente incapaci di contrastare.
E quale è la figura che emerge dallo scatolone di sabbia? Un tale generale Haftar, uomo della Cia, sostenuto dall’America come tanti altri fantocci e quisling già sperimentati con clamorosi insuccessi in Vietnam, in America Latina, in Iraq, in Afghanistan.
Ora il quadro politico e militare è in continua evoluzione verso il peggio: chi avrebbe mai immaginato che nemici storici come USA, Iran, Siria, potessero allearsi in favore dei Curdi? Assad, responsabile di aver ucciso 200 mila suoi cittadini e provocato 8 milioni di rifugiati improvvisamente non è più il dittatore feroce da spazzare via. Stesso discorso per gli sciiti ayatollah iraniani che ora vengono ricercati quali possibili alleati contro i sunniti fanatici. C’è solo da sperare che l’incendio non si propaghi alla Turchia che vede l’indipendenza curda come il fumo negli occhi.
Anche il giovane Renzi, dopo le prove inconsistenti dei suoi predecessori, ha voluto assumere le arie di chi se ne intende. Senza consultare chi sa di Medio Oriente (la Bonino è stata messa da parte e inspiegabilmente sostituita da chi ogni tanto recita luoghi comuni) ha scaldato i motori con qualche inutile giretto in Africa ed ha buttato nell’arena tutto il peso dell’Italia effettuando un viaggio lampo a Baghdad e a Irbil (verrebbe da chiedersi perché a Irbil funzioni un consolato USA, con quali scopi se non quelli propri di una centrale di spionaggio con copertura diplomatica?). Lì ha promesso al dimissionario al Maliki, al successore al Abadi e al capo dei Curdi l’invio di armi, rottami di residuati bellici vecchi di 20 anni, sequestrati durante la guerra di Yugoslavia.
Bel colpo del duo femminile esteri-difesa alla Gianni e Pinotti che hanno convocato in fretta e furia le commissioni parlamentari facendo votare a scatola chiusa, da parlamentari che non sanno cosa sia il Kurdistan e quale problema si apra scoperchiando quel vaso di etnie contrapposte, di scismi religiosi rivali, di aspirazioni indipendentistiche represse da un secolo.
Ma Renzi si è spinto ancora più in là: è arrivato ad affermare di fronte ad un attonito primo ministro iracheno, uomo di mondo passato attraverso mille pericoli, che l’’Europa è presente e che chi ritenga che l’Europa pensi solo allo spread disinteressandosi dei massacri sbaglia semestre. Come? Ah già parlava del semestre di presidenza europea dell’Italia che ha cambiato la musica! Ve ne eravate accorti? Questa dell’Italia non è politica estera del disarmo, ma il disarmo della politica estera!
Il mondo è stato brutalmente scosso dall’orrenda decapitazione in diretta del giornalista americano Foley. Fatto certamente terribile, non dissimile da tanti altri, compreso quello del contractor italiano Quattrocchi, ucciso a sangue freddo di fronte alle telecamere in Iraq dieci anni fa. Ma il nostro connazionale e tante altre vittime incolpevoli non avevano dietro di loro gli Stati Uniti di oggi che hanno mobilitato tutti i mezzi di informazione per aizzare, anche da noi, l’opinione pubblica, ed allarmarla al massimo per poter sfruttare cinicamente l’onda emotiva a fini militari e quindi anche commerciali.
Quale fiammata di sdegno si è sollevata di fronte ai corpi nudi e inanimati di decine di bambini palestinesi bombardati a Gaza nel cortile della scuola delle NU, o di fronte ai brandelli di cadaveri sparsi nei cortili colpiti dai raid israeliani, giustificati ipocritamente come danni collaterali? O di fronte alla disperazione di  migliaia di profughi che hanno visto sbriciolata la loro casa e la loro esistenza?
Qualche nostro deputato (basta pensare al calibro di un Gasparri che aveva salutato l’elezione di Obama come un favore ad al-Qaida!) è persino arrivato ad invocare nuove Crociate, una guerra giusta totale, mettendosi così sullo stesso piano e livello di fanatici assassini nell’imboccare la strada dello sterminio senza fine.
Mentre ovunque emergono argomentazioni ultra religiose e il tema dello Stato teocratico sembra dominare la scena, il mondo arabo musulmano non riesce a tirar fuori dalla propria cultura la parte migliore pacifica e tollerante, quello ebraico non ha ancora rivisitato il concetto di convivenza e di negazione della supremazia razziale, mentre quello occidentale non ha fatto altro che produrre, vendere e contrabbandare armi ed appoggiare nei fatti soluzioni militari.
Come ha detto il papa il mondo è in effetti sull’orlo della terza guerra mondiale combattuta con metodi nuovi, su molti, troppi, fronti. Le stragi quotidiane offuscano la memoria di quelle del passato. Con la scusa di esportare la democrazia si alimenta un fiume di sangue in cui dilagano troppi assassini e torturatori sempre meglio armati, addestrati, finanziati e indirettamente incoraggiati dall’esempio delle torture americane sia in Iraq che in Afghanistan o a Guantanamo.
Nonostante le enormi sofferenze dei feriti, degli sfollati, dei detenuti, di intere famiglie sterminate o scomparse, nessun Governo ha fino ad ora adottato provvedimenti che fermino i flussi di denaro e di armi che alimentano i combattimenti e i crimini. Falcone diceva che per fermare la mafia bastava prosciugare le fonti di denaro. Lo stesso principio vale per il terrorismo.
L’idea che la politica del “wanted” da far west, basata sulla forza bruta per restituire all’Occidente il primato e garantirne la sicurezza è andata in frantumi: ha prodotto solo l’effetto contrario.

 * Già Ambasciatore d’Italia (1991 -2009) in Albania, Tanzania, Arabia Saudita, Angola