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CNEL – Analisi suI Lavoro Femminile

CNEL: STATI GENERALI SUL LAVORO DELLE DONNE IN ITALIA

Laicità e pazienza; nuove voci da inserire nel cv.

di Adelfia FRANCHI

cnel

Il secondo appuntamento degli “Stati generali sul lavoro delle donne in Italia”, organizzato dalla Consulta per le pari opportunità il 10-11 aprile nella sede del CNEL, sala del Parlamentino a Villa Borghese, ha dato il “via” ad una serie di riflessioni sulle numerose riforme varate da novembre 2011 a novembre 2012. Le più significative, che hanno inciso profondamente sulla vita degli italiani dal punto di vista sociale, riguardano il mercato del lavoro, gli ammortizzatori sociali, la previdenza, il welfare sia statale che locale. Tali riforme hanno modificato il mercato del lavoro, incidendo su una popolazione lavorativa in posizione di minor favore, su una popolazione femminile, che sono chiamate a sopperire, con il lavoro familiare gratuito, alla carenza di servizi pubblici per le categorie deboli. Il convegno ha rilevato un universo fragile; in un tempo molto breve per le donne ci sarà un pericoloso ritorno al passato. Il ritorno a casa delle donne potrà essere una trappola, con una divisione sociale e familiare vecchio modello “donne a casa uomini a lavoro”. Molte donne hanno già  fatto questa scelta, ma vorrebbero lavorare, patiscono la dipendenza economica. Le moltissime lavoratrici, che hanno dato le dimissioni volontarie, non hanno diritto agli ammortizzatori sociali. Ancora oggi, a differenza degli altri stati europei, in Italia non si dà valore al mondo delle donne nel lavoro (ove esiste una disparità di salario a nostro danno del 19% rispetto agli uomini) ed il periodo non aiuta. La conferenza delle Nazioni Unite ha fatto notare che ”in un periodo dove la povertà avanza in modo molto veloce” ci saranno molte conseguenze negative per le donne. In questo momento l’unica cosa positiva per l’universo in rosaè che, mentre il lavoro maschile crolla, risale il “femminile”. Gli effetti sono: livellamento verso il basso, rilevanza  crescente del par-time involontario, rilevanza del tournover  femminile. Le virtù necessarie per sopravvivere sono laicità e pazienza (nel corso del convegno questo è stato ripetuto più volte). Le donne buttate fuori dal mercato del lavoro hanno enorme difficoltà a rientrare (45-50 anni), molte sono talmente scoraggiate che smettono di cercare una nuova occupazione, galleggiano a metà strada fra la condizione della donna liberata, alla condizione di madre, figlia, moglie mantenuta dall’uomo – che la ricatta economicamente – ad una strada di dipendenza, in cui troviamo anche la violenza sulle donne. Nel frattempo, in tutte le statistiche, si continua a dire che sono contente. Un ritornello che è diventato un “must” in tutti i convegni sul lavoro delle donne e gli amanti del genere. Il tutto enfatizza un mondo dove la povertà esiste e nessuno la vuole vedere. Quale musica ascoltare? Chi è alla regia di questa programmazione per “il non lavoro delle donne”?  Pari opportunità, promesse mantenute, questo è il ritornello più amato da alcuni relatori del governo. Nessuno si prende la responsabilità del fallimento della “riforma Fornero”: si dice che la riforma si è fatta carico del lavoro delle donne, doveva correggere le storture,  doveva incidere (causa le risorse limitate) dove i bisogni erano più urgenti, con provvedimenti  fiscali e assistenziali. Non si è tenuto conto dei bisogni della popolazione femminile, che penalizzata sul piano sociale, ha una carriera a singhiozzo e questo certo non aiuta; tutte queste condizioni non appaiono migliorate da questa legge. In questo momento cosi drammatico i nostri politici si sono dimenticati di noi e dei problemi del paese; si parlano fra di loro per i famosi 8 punti, mentre le imprese chiudono e il momento è tragico, tutto si sta aggravando, abbiamo bisogno di sviluppo, altrimenti l’impoverimento sarà irreversibile e il rischio è tutto per i nostri figli e nipoti che non possono prendere l’ascensore sociale che abbiamo costruito e per cui ci siamo battuti…. in questo momento stiamo tagliando loro tutte le possibilità. L’impatto della riforma ha fatto incrementare le cessazioni di tutti i contratti del lavoro intermittente, la legge mette ostacoli, impone l’obbligo di comunicazione per  ciascuna chiamata, sono diminuite le assunzioni, i contratti  aperti sono stati tutti chiusi; solo nel Veneto da 30 mila a 40 mila cessazioni, i rioccupati sono passati da un 14% al 30%, ma con un contratto a tempo parziale, la legge sull’apprendistato non ha prodotto i miglioramenti sperati, solo il 60% sono riassunti, le attivazioni sono passate da 226.000 unità a 144.000 (secondo il relatore il mercato ha tenuto), le preassunzioni da 34 mila a 14 mila, gli stranieri da 14 mila a 6mila, provenienti da altre imprese da 99 mila a 67 mila, nelle PMI da 79 mila a 75 mila. In queste condizioni è impossibile valutare la legge 92/2012, mancano i decreti attuativi e le direttive, domina in questi ultimi anni la frammentazione e l’ineguaglianza dei diritti e dell’accesso, il dualismo è cresciuto in modo drammatico solo a sfavore delle donne. Bisogna abbassare il cuneo fiscale, cambiare le motivazioni degli imprenditori. Se non c’è legge che crea occupazione, perché farle? Le aree d’interventi della recente riforma hanno inciso sui rapporti di lavoro, l’obbiettivo sembra che sia evitarne l’utilizzo improprio. Dalla relazione di Fatima Mannino (UIL) emerge che: nell’ultimo  anno  le dimissione accertate dagli ispettori del lavoro  a  livello nazionale sono state oltre 13.000 per le donne e circa 800 per gli uomini. Le cause sono sempre le stesse: incompatibilità  tra occupazione  lavorativa e assistenza alla famiglia (neonati per mancato accoglimento al nido, assenza di parenti di supporto). Ci sono dati preoccupanti  sulla disoccupazione giovanile, ne abbiamo altrettanti su quella di donne e uomini over 45, usciti dal mercato del lavoro per la chiusura di aziende letteralmente strozzate da una pressione fiscale oltre i limiti. La crisi (e non lo dicono solo i Sindacati Italiani o la CONFINDUSTRIA, ma ci fa eco il Sindacato Europeo e l’UNICE) si risolve soltanto con il riavvio  dell’occupazione e la diminuzione delle tasse sul lavoro  e non certamente con il salvataggio delle banche. Nel nostro paese mancano politiche attive per le donne e per l’occupazione. Ritorno alla legge Fornero per trarre delle conclusioni: ha cambiato poco e in peggio, secondo lei l’unico contratto normale è quello a tempo indeterminato…. Questo ha portato molti lavoratori con altri contratti, soprattutto donne e giovani (per paura) ad abbassare la testa, accettare qualsiasi retribuzione, non fanno valere i propri diritti, in questo momento abbiamo 3 milioni  di persone senza lavoro, 3,3 milioni di precari, 400 mila casi di partite iva false (su un totale di 8,8 milioni aperte, solo 6,5 milioni sono attive). Solo tra gennaio e marzo sono stati registrati 80 mila dipendenti in meno rispetto ai primi mesi del 2012. Le imprese imputano il calo di assunzioni, oltre che all’aggravarsi della crisi, anche alle restrizioni della legge Fornero che, a suo tempo accusò i giovani, ma anche altri lavoratori “schizzinosi”. Abbiamo, sul totale della popolazione attiva l’11,7% di tasso nazionale di disoccupazione. Questo convegno è stato senza dubbio una grossa sorpresa, perché ha fatto emergere tutto e il contrario di tutto, un arrivo inaspettato nel brusio del mainstream.

In attesa di tempi migliori rivalutiamo le nostre relazioni laiche che,  tradotto, sembra voglia dire” senza pregiudizi”.

N.B. nella sezione Comunicati Istituzionali è pubblicata una relazione svolta dal Maria Cristina Bertellini – Vice Presidente Piccola Industria di Confindustria

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