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Un Premier e un Parlamento

Un premier autocratico ed un parlamento di incapaci ___________di Torquato CARDILLI 

Il premier autocratico, gaffeur e indisponente, attaccato dai gufi, dai rosiconi, dai professoroni, dai sindacati, dai pubblici dipendenti, parvenu che ha scoperto l’aereo di Stato, per ora sta bene al parlamento composto da allegri festaioli (lavorano al massimo tre giorni alla settimana) incapaci di occuparsi del benessere del popolo. Hanno votato in prima lettura, su ordine di scuderia, senza colpo ferire, la riforma della legge elettorale e la riforma della Costituzione. Si tratta di due leggi mostruose: la prima non elimina affatto i vizi di incostituzionalità rilevati dalla Corte Costituzionale contenuti nella legge elettorale vigente, cosiddetta porcellum, mentre la seconda svilisce il Senato a rango di dopolavoro di sindaci e consiglieri regionali (ai quali viene riconosciuta però l’immunità parlamentare) che ovviamente in questi anni si sono distinti per ruberie, uso privato e sperpero di fondi pubblici.

Nell’uno e nell’altro caso i conati di reazione da parte del gruppetto dei cosiddetti dissidenti del PD, non ha prodotto gran sugo; alla faccia della previsione costituzionale che statuisce per i parlamentari “l’assenza del vincolo di mandato” sono stati richiamati all’obbedienza; dopo tante grida e mugugni non hanno fatto nessuno dei minacciati sfracelli. Il play maker della situazione, checché ne dica il premier o le ministre Boschi e Madia, icone della banalità, è stato il condannato con sentenza definitiva per frode fiscale Berlusconi assistito dal consigliere plurinquisito per bancarotta fraudolenta Verdini.

I partiti della maggioranza di governo e della maggioranza del Nazareno, poco più di un anno e mezzo fa, in occasione della campagna elettorale, avevano promesso di restituire ai cittadini il potere di scegliere i propri rappresentanti, ora hanno aggiunto al danno la beffa; avevano promesso la soppressione delle provincie, ma gli hanno solamente cambiato nome moltiplicando le poltrone senza l’elezione popolare; avevano promesso la crescita economica ma hanno fatto aumentare la povertà; avevano promesso la riduzione della spesa pubblica ma hanno solo tagliato i servizi ai cittadini; avevano promesso l’abolizione del finanziamento dei partiti, ma l’hanno solamente diluito. Insomma ce n’è abbastanza per dire che hanno tradito le promesse e le aspettative. Come se tutto questo non bastasse non c’è giorno che la Costituzione repubblicana non venga picconata, aggirata, violentata, con il beneplacito di chi per istituto deve garantirne invece il rispetto rigoroso.

Tra i tanti episodi che hanno costellato questo scorcio di legislatura, vorrei citarne alcuni che hanno a che fare con la tutela dei cittadini.  Lasciamo perdere l’articolo 1 della Costituzione, morto e sepolto da un pezzo (l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro)che viene citato ipocritamente a sproposito in ogni occasione, ma almeno dovremmo ricordare l’articolo 35 (la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni) e domandarci quale senso abbia, soprattutto in queste circostanze di drammatica crisi economica, l’inutile discussione sull’abolizione dell’art.18 dello statuto dei lavoratori. Inoltre l’articolo 47 della Costituzione protegge la più importante attività economica dell’uomo: il risparmio (la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme). E vi pare che le nuove idee sull’uso anticipato del TFR siano la protezione del risparmio o non invece la sua legale dilapidazione? Che modo è quello di dire ti aumento la busta paga invitandoti a ritirare il TFR per farti spendere di più, così a fine vita di  lavoro non ti troverai più il tesoretto del risparmio? Il TFR sono soldi del lavoratore e lo Stato non può incitare il cittadino a non risparmiare, né può obbligare le piccole e medie imprese, che usano quel circolante per sopravvivere, ad un ulteriore salasso economico. E dove finisce l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge se questo ipotetico prelievo del TFR non si applica ai dipendenti pubblici perché lo Stato non ha i soldi?

Passiamo alla credibilità internazionale. Lo spettacolo che il parlamento offre da parecchie settimane sulla questione della elezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale è da un lato avvilente e dall’altro trascina nel disprezzo della pubblica opinione anche le alte cariche che cercano di imporre non solo nomi sgraditi, non imparziali, ma addirittura privi dei requisiti di legge. L’articolo 104 della Costituzione prescrive che i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, eletti dal Parlamento, debbano essere scelti tra i professori ordinari di Università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio.  Eravamo abituati a tutto ma non certo a subire di fronte agli occhi degli osservatori stranieri l’umiliazione di vedere espulsa dal CSM, il primo giorno di riunione del Plenum, la dottoressa Teresa Bene (già consigliera del Ministro Orlando, ma guarda un po’ l’attuale ministro della Giustizia!) sponsorizzata dal PD perché priva dei requisiti di legge.

Per l’elezione alla Corte Costituzionale non è che le cose siano andate meglio. Anzi. L’accordo FI-PD ha previsto il ticket Catricalà-Violante. Il primo ha pensato bene di rinunciare dopo una decina di tentativi andati a vuoto. Al suo posto è subentrato Bruno, ma anche questo è stato azzoppato nel segreto dell’urna, quindi anche il terzo candidato della destra Caramazza ha conosciuto l’insuccesso di non aver raggiunto il quorum. L’esponente designato dalla sinistra Violante invece, ha resistito impassibile con faccia di bronzo tetragono nel rifiutare di ritirarsi nonostante che il parlamento gli abbia rifiutato la fiducia per 17 volte. Lo si deve all’iniziativa dei deputati del M5S se è stato passato al vaglio il suo curriculum per la verifica del possesso dei requisiti di legge, nel silenzio assoluto dei partiti, dei media, dei politologi. Secondo l’articolo 135 della Costituzione un terzo dei componenti della Corte è nominato dal parlamento in seduta comune, scelti tra i magistrati, anche a riposo, delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative (Corte di Cassazione e Consiglio di Stato), i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio.

Violante, fortemente voluto dal PD e da chi lo protegge dall’alto colle, non è magistrato (neanche a riposo) delle giurisdizioni superiori, non ha mai esercitato la professione di avvocato e non è più professore ordinario in alcuna Università da almeno cinque anni (né ha mai svolto attività accademica a tempo pieno da quando è in politica). Insomma non ha nessuno dei requisiti previsti: è solo un  politico di professione, per trenta anni (otto legislature) membro del parlamento prima col PCI, poi con il PDS, DS, PD, cioè proprio la caratteristica che la Costituzione aveva previsto non potesse essere posseduta da un supremo magistrato costituzionale, super partes, garante della legittimità legislativa.

Ma chi è davvero Violante? E’ lo stesso personaggio, comunista integralista, che da PM, prima di entrare in politica nel 1979, istruì il processo contro la medaglia d’oro Edgardo Sogno imputato di colpo di Stato, poi assolto da ogni accusa. Già Presidente della Camera dei Deputati, è uscito dal parlamento nel 2008 con il corposo assegno di reinserimento  nella società civile di 278 mila euro di liquidazione esentasse e percepisce un vitalizio di 9.363 euro mensili, mentre continua a godere di tutti i privilegi previsti per gli ex presidenti di Monte Citorio.

E poi il Premier va a dire in giro che l’Italia tornerà ad essere grande!