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A Favore del “SI”

Una “Costituzione” che non merita essere difesa !

RECITA L’ ART. 1 – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul Lavoro  … “   – In effetti, questa è una affermazione che può significare tutto e, pariteticamente, idonea a non spiegare nulla.

Mi ricordo che, quando ero ancora studente diplomando (Roma 1961, V° anno nel blasonato Istituto “Duca degli Abruzzi”, nella allora “mitica sezione A”), il nostro Docente di materie giuridiche ed economiche – Prof. Salvatore Marino – durante una lezione di diritto pubblico, commentando sarcasticamente tale enunciazione della Costituzione, ci fece osservare come uno Stato non potesse, ovviamente, “fondarsi sull’ Ozio”.

Tra l’altro il “Lavoro”, probabilmente inteso come un “Valore” ed esaltato in tale enunciazione quasi agiografica della Costituzione, è stato successivamente più volte vilipeso ed umiliato nei suoi intrinseci contenuti dalla stessa Repubblica Italiana, con i comportamenti dei propri notabili e boiardi, ininterrottamente ai vertici delle istituzioni e dei centri di potere.   Infatti, sia il concetto di nobiltà del lavoro, sia il suo umanesimo – quest’ultimo idealizzato da un Filosofo Fascista e recentemente rievocato da un Pontefice forse filo Peronista – sono stati oramai da oltre mezzo secolo obliati.   Un oblio che, a mio avviso, terminati gli anni epici della c.d. ricostruzione, è iniziato con la 2^ metà degli anni ’60, dopo la celebrazione delle meravigliose Olimpiadi a Roma, uniche ed irripetibili per la loro “dimensione umana”. Da allora in poi abbiamo assistito successivamente solo a degradanti spettacoli di corruzione, ad ininterrotte tangentopoli, a fiumi di finanziamenti leciti ed illeciti ai partiti politici, nonché alla edificazione di nuovi Quartierini, popolati da “furbetti” e furbastri.

Nel corso di oltre mezzo secolo, il Lavoro è stato così distrutto – salvo rare eccezioni – dagli stessi lavoratori che, nella maggior parte, andavano via via smarrendo il “senso di appartenenza” (verso uno Stato o una Nazione), così come da gran parte degli stessi imprenditori che, via via, preferivano privilegiare solo i loro ricavi aziendali, senza più credere in una “missione d’impresa”. A ciò aggiungasi anche le pesanti colpe dei sindacati per le loro incapacità progettuali, nonché le responsabilità di una classe politica professionalmente non preparata e spesso non all’altezza di operare le necessarie scelte strategiche ed etiche.

E mentre il lavoro veniva così distrutto, la Costituzione restava una icona intoccabile, mentre le caste dominanti dei politici, dei magistrati e dei grandi boiardi di Stato diventavano, a loro volta, sempre più potenti, arroganti ed autoreferenziali.

E su questo argomento l’ ANPI, che pur si erge a “Vestale” della Costituzione, non ha mai avuto nulla da obiettare. Questa anacronistica Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che conta circa 120/mila iscritti, la cui stragrande maggioranza la “Resistenza” non l’ha mai vissuta (per semplici motivi anagrafici), adulata dalle Istituzioni, coccolata dai vari Presidenti della Repubblica che l’un dopo l’altro soggiornano al Quirinale, protetta quasi para-militarmente dagli adepti dei Centri Sociali, introita ancora oggi cospicui contributi e finanziamenti dallo Stato per non ben conosciute finalità.

 Ma lasciamo l’ANPI e torniamo alla Costituzione, per notare che anche alcune successive affermazioni (vds. art. 3) sulla “pari dignità sociale ed uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, senza distinzione di opinioni politiche”, vengono poi annullate democraticamente con discriminanti leggi ad hoc, per cui non solo non è lecito parlar male della “Resistenza”, ma nemmeno discutere sulle sacre istituzioni dell’attuale establishment, senza incorrere in rappresaglie giudiziarie e …. non solo !  E se il “Ministro” Maria Elena Boschi (e non “Ministra” secondo le terminologia boldriniana) permette sottolineare che all’ interno dell’ ANPI  ci sono anche molti “veri partigiani” propensi a votare per il “Si”, ecco intervenire Pier Luigi Bersani minacciando Fuoco e Fiamme, color sangue o rosso Lambrusco.

In tal contendere, una particolare attenzione merita anche Renato Brunetta, da  sempre apprezzato come effervescente accademico ed economista, attualmente schierato per la intoccabilità della sacra carta, ma che in tempi relativamente recenti, precisamente ad inizio del 2010, auspicava invece una opportuna riforma costituzionale. Infatti Brunetta, allora Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, aveva avviato uno stimolante dibattito negli schieramenti parlamentari, coinvolgendo trasversalmente sia il mondo politico, sia i principali organi d’ informazione.brunetta

Ricordo quasi con precisione un’ intervista radiofonica in cui il Ministro Brunetta, inizialmente, evidenziava saggiamente che il “lavoro”, citato sempre nella Costituzione come valore astratto, non veniva mai concretamente relazionato ai parametri di produttività, meritocrazia e solidarietà; poi, successivamente, deduceva brillantemente ed intelligentemente come la dizione dell’art.1 – dato il periodo storico della sua formulazione – fosse stato la risultanza di un compromesso, onde evitare di definire l’Italia una “Repubblica Democratica dei Lavoratori”, terminologia troppo sovietizzante ed imbarazzante per il Governo nei confronti degli “Alleati U.S.A”.   (….. Dopo gli accordi inter-atlantici di YALTA, ecco il “primo compromesso storico” di Casa Nostra  tra la D.C. ed il P.C.I. !)

A prescindere comunque che spesso il nostro rapporto di alleanza con gli USA, da De Gasperi in poi, è spesso sconfinato in un rapporto di supina “sudditanza” – eccezione fatta per il Governo CRAXI – va altresì rilevato che questa Costituzione viene ancora oggi ingiustificatamente venerata come una sacra reliquia, nei confronti della quale ogni tentativo di riforma pur trasversale sembrerebbe sempre destinato a fallire, o quasi sul nascere, o dopo infinite e logorroiche tavole di confronto.  A suffragio di tale constatazione, basta ricordare le varie commissioni bicamerali condotte di volta in volta da Aldo Bozzi, da Ciriaco De Mita, da Massimo D’Alema e da Silvio Berlusconi, nonché quelle leggermente più segrete architettate da qualche Venerabile Gran Maestro.

Oggi finalmente, ci troviamo di fronte ad un nuovo tentativo – già approvato dal  Parlamento – e che dovrà essere sottoposto ad un  referendum popolare.

A me personalmente, la riforma ipotizzata da Matteo Renzi non entusiasma in modo eclatante, perché in più punti è mancata una buona dose di coraggio e di intelligenza, ma da un tale governo non si può pretendere di più, specie se alla guida dello stesso c’è un fiorentino – pur se a volte simpatico ed intraprendente – ma con la tara di essere stato, da ragazzetto, un boy-scout.

A mio giudizio, certamente il Senato doveva essere completamente abolito e non mummificato; ma almeno con questa parziale riforma, oltre a ridurre il numero dei parlamentari, si pone fine ad un “perfetto” ma alienante bicameralismo, ove gli addetti ai lavori sino ad ora giocavano a ping pong con le leggi, rimbalzandole dall’Aula di Palazzo Montecitorio a quella di Palazzo Madama e viceversa. Sempre a mio giudizio, certamente anziché abolire le Province, sarebbe stato più razionale ed efficiente cancellare le Regioni, veri e propri “centri di potere mafioso e clientelare”. Infine, sarebbe stato opportuno regolamentare con precisione anche status giuridico, attività e funzionalità sia dei Partiti Politici, sia delle Organizzazioni Sindacali, attualmente indefinibili soggetti ectoplasmatici a cui tutto sembra consentito e nulla vietato, purché si ispirino a determinati sacri ed inviolabili principi del “politicamente corretto”.

Ma tra il non fare nulla – a cui sono approdate le precedenti commissioni bicamerali e  su cui è ora arroccato il “Fronte del No” – ed il fare qualche cosa, ritengo sia sempre più opportuno optare per questa 2^ soluzione.

E a tal punto mi piace ricordare un mio precedente intervento “ETICA e POLITICA” pubblicato anche sulla Consul Press, abbastanza elogiativo nei confronti di Matteo Renzi, proprio per quel suo positivo pragmatismo verso la “Politica de Fare”, solo a parole rivendicata dall’ oramai tramontato Popolo della Libertà ma, nella pratica, costantemente perseguita dall’ attuale Premier, anche se con alterni e discontinui risultati.

Al termine del mio precedente intervento, datato settembre 2014, mi permettevo suggerire al Premier di leggere alcuni scritti di un illustre fiorentino di nome BERTO RICCI, invito che torno – ora maggio 2016 – a riproporre. Ma sono convinto purtroppo che Matteo Renzi, essendo un ex boy-scout (e, quindi, poco affidabile) non solo non abbia allora letto nulla di Berto Ricci, ma neanche oggi sappia chi Costui sia stato e cosa abbia mai scritto o detto tale suo insigne predecessore toscano.

GIULIANO MARCHETTI

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Giuliano Marchetti

Direttore Editoriale di Consulpress, Commercialista e Revisore Contabile.