A proposito di “Referendum”
Un Referendum “archiviato “, ove il “SI” pur vincendo è stato sconfitto per il Quorum non raggiunto
Un Referendum Costituzionale, ove deve prevalere il “NO”
di Stelio W. Venceslai
I risultati del referendum svoltosi il 17 aprile sulle trivellazioni sono noti: non si è raggiunto il quorum. Gli elettori non si sono dimostrati interessati e sono anche stati mal consigliati da chi, invece, aveva il dovere di tacere. Conclusione: 300 milioni di euro sono stati inutilmente spesi per fare del Presidente Emiliano il principale oppositore politico di Renzi nel PD.
Vorrei fare alcune considerazioni generali:
1 – i referendum devono essere capiti, con quesiti semplici e comprensibili, su temi di portata generale e non tecnici (tipo: divorzio sì, divorzio no, aborto sì, aborto no, nucleare sì, nucleare no);
2 – non si può chiedere al popolo di pronunciarsi su questioni tecniche, spesso anche mal poste (tipo: si modifica la 2° parte dell’art. 6, comma 4, della legge xy, modificata con decreto n. tot e successive modifiche, recante …);
3 – la logica vorrebbe che chi è favorevole dica Sì e chi è contrario dica No. Insistere sull’ambiguità attuale delle risposte non fa onore a nessuno, e tantomeno alla chiarezza;
4 – i referendum non devono essere traditi, altrimenti l’elettore si sente preso in giro (soppresso il Ministero dell’agricoltura, lo stesso è risorto come Ministero delle risorse agricole; soppresso il finanziamento pubblico dei partiti, si è ricominciato da capo, con norme analoghe e nomi diversi);
5 – nei referendum si chiede al popolo di esprimere la propria opinione. La politica dei partiti a questo punto non c’entra più. Il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio sono cittadini elettori come tutti gli altri, ma devono astenersi dall’influenzare l’opinione pubblica.
Ciò detto, ci accingiamo ad un nuovo e ben più importante appuntamento referendario, quello che ci sarà ad ottobre prossimo, sulle modifiche costituzionali varate dal Parlamento. Sarà un referendum consultivo sulle modifiche costituzionali approvate dal Parlamento ed il Premier ha legato al successo del referendum il giudizio sulla sua politica, promettendo che si dimetterà se il referendum avrà un risultato negativo. In sostanza, sarà un referendum consultivo sulla nuova Costituzione e su Renzi. Un gioco pericoloso.
Già da alcune parti si stanno costituendo dei Comitati per il NO. La posta è molto importante, oserei dire, fondamentale per l’avvenire della nostra fragile democrazia. A prescindere dalle opinioni di ognuno, sarà necessario riflettere seriamente più sul futuro della nostra Repubblica che su quello di Renzi.
Da un canto, ci sono gli innovatori, i revisionisti della Costituzione, che auspicano un sistema molto diverso da quello cui siamo abituati. Dall’altro, ci sono i sostenitori di un sistema che dal 1948 governa il nostro Stato, che certamente ha necessità di adeguamenti importanti, ma non d’essere totalmente sovvertito a vantaggio di una sola forza politica.
Gli elettori italiani sono sempre meno interessati e sempre più delusi dalla politica. Non si può loro dar torto, ma se le cose vanno male e la classe politica è quella che è, e cioè pessima, è anche colpa loro. L’astensionismo sfiora quasi il 50% dell’elettorato. Le prossime consultazioni elettorali si faranno sulla metà circa degli elettori, il che significa che basta poco per ottenere una maggioranza relativa. Se a questa maggioranza relativa (ad es.: il 20%), si regala un premio del 60% di deputati nominati e non eletti, la maggioranza diventa massiccia ma la democrazia va a farsi friggere. La nuova legge elettorale, l’Italicum, va in questa direzione.
Le modifiche costituzionali introdotte dal Parlamento e fortemente volute da Renzi, in combinazione con l’Italicum, sollevano numerose perplessità. L’opportunità di rivedere la nostra Carta costituzionale è troppo importante per non risolvere alcune questioni fondamentali rimaste insolute o che, nel tempo, si sono rivelate negative per il Paese. Nelle modifiche approvate le questioni mancanti sono molte, e vorrei citarne qualcuna, perché sfuggite all’ansia revisionista del Governo:
1 – La soppressione dello Statuto speciale per le Regioni Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Friuli e Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige (salvo il rispetto degli accordi De Gasperi- Gruber);
2 – La soppressione delle Regioni o, almeno, la riformulazione degli Statuti regionali, considerata l’esperienza nefasta che l’introduzione delle Regioni ha avuto per il bilancio pubblico;
3 – La definizione del ruolo dei partiti e dei sindacati in uno Stato moderno. La previsione costituzionale del 1948 è andata completamente disattesa, mentre i partiti ed i sindacati, in taluni momenti, hanno assunto un ruolo istituzionale non disciplinato da alcuna norma.
4 – La revisione del principio della nomina governativa nel Consiglio superiore della Magistratura ed in altri organi similari;
5 – La statuizione costituzionale del principio della privacy e della non interferenza del potere pubblico sui cittadini.
Ho ricevuto da una persona che non conosco fisicamente, ma con la quale da poco ho una certa corrispondenza, Ettore Bonalberti, un documento importante nel quale sono indicate le ragioni per le quali si dovrebbe votare No alle proposte di modifica costituzionale. Contrariamente alle mie abitudini, allego questo documento, da me leggermente rivisto ed alleggerito di taluni toni polemici, per chi avesse la pazienza e l’interesse di leggerlo. Potrà essere utile quando si andrà a votare. Queste considerazioni critiche mi sembrano in gran parte ragionevoli. Per democratico principio di equità, sarei lieto di ricevere un documento analogo dai fautori del Sì, documento che diffonderei egualmente.
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A SEGUIRE
Le ragioni per dire NO al Referendum
1 – L’art. 138 della Costituzione prevede che il Parlamento approvi singole leggi di “revisione” della Costituzione per cui le “modifiche” che s’intendono apportare devono essere sempre limitate e riferite a singole norme, com’è stato costantemente riconosciuto dalla dottrina.
La proposta di modifica costituzionale del Governo Renzi, già approvata nelle quattro “letture” al Parlamento, non “rivede” singole norme, ma modifica l’assetto costituzionale, riscrivendo totalmente più di 40 articoli della Costituzione. L’art. 138 non autorizza a scrivere una nuova Costituzione e in ogni caso questo compito non può essere attribuito ad un Parlamento eletto con un sistema elettorale riconosciuto incostituzionale dalla Corte Costituzionale che delegittima i deputati. L’ampiezza delle modifiche apportate dalla riforma sottoposta a referendum fa dubitare dell’ammissibilità di un’unica votazione d’approvazione di un complesso così ampio ed articolato d’innovazioni, sulle quali si possono avere valutazioni diverse e anche contrastanti. Si tratta di norme che fanno riferimento ad una generica visione semplificatrice di risparmio nel bilancio dello Stato, con un “nuovo Senato” e con l’abolizione del CNEL. Ma sul possibile risparmio ci sono legittimi dubbi.
2 – La riforma del Senato parte dalla premessa di eliminare il cosiddetto bicameralismo paritario (l’approvazione delle leggi da parte sia della Camera dei Deputati sia del Senato), per accelerare il processo legislativo,
Nel testo della riforma si prevedono molte eccezioni alla previsione di far approvare le leggi da una sola Camera, creando incertezze ed equivoci non compatibili con una legge costituzionale. L’unica norma chiara è quella che attribuirebbe alla Camera dei Deputati una competenza esclusiva per quanto riguarda la fiducia al Governo. Per molte altre ipotesi si prevede ancora la doppia lettura dei progetti di legge, con una valutazione discrezionale e politica demandata ai nuovi “senatori” o ai Presidenti delle Assemblee. In tal modo si avrebbe un “bicameralismo imperfetto”, non avendo il coraggio di attribuire il potere legislativo alla sola Camera dei Deputati e di abolire il Senato. La riforma approvata, dunque, non elimina il Senato, e il bicameralismo continuerebbe ad esistere per molte leggi, e in modo né chiaro né preciso.
3 – Il “Senato” continuerebbe ad esistere con tutte le sue strutture e la sua complessa organizzazione, certamente costosa, ma i nuovi “Senatori” non rappresenterebbero più il popolo italiano ma la struttura di vertice delle Regioni, senza compiti precisi e funzioni definite.
Un “Senato” formato da rappresentanti delle Regioni (con un sistema elettorale ancora da definire) porterebbe ad un dualismo parlamentare tra le stesse Regioni e lo Stato: i nuovi Senatori, non eletti ma indicati dalle Regioni, sarebbero inevitabilmente portati a difendere le “competenze concorrenti” con lo Stato e, quindi, a far prevalere criteri parziali e settoriali e non rigide regole costituzionali. Il nuovo Senato avrebbe funzioni addirittura più complesse di quelle attuali, ma incerte e confuse. Infatti:
- avrebbe funzioni legislative, d’iniziativa legislativa e d‘impulso legislativo (ma senza poteri deliberanti) per la conversione dei decreti legge;
- sarebbe destinatario di tutti i disegni di legge approvati dalla Camera, per i quali, entro termini brevissimi, potrebbe formulare proposte di modifica del testo, modifiche che, però, la Camera potrebbe disattendere;
- sarebbe un organo consultivo, di rappresentanza delle istituzioni territoriali e di verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori regionali.
4 – Le consistenti “modifiche” costituzionali configurerebbero un diverso ruolo delle autonomie locali e delle Regioni, come disciplinate dalla Costituzione, ed incidono sulla rappresentanza democratica e sull’unicità della Repubblica parlamentare che, in base all’art. 139 della Costituzione, “non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
Il nuovo “Senato”, escluso dal rapporto di fiducia con il Governo, sarebbe “il rappresentante delle istituzioni territoriali” ed avrebbe funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri Enti costitutivi della Repubblica e tra questi ultimi e l’Unione Europea, in netto contrasto con quanto stabilito dall’art. 5 della Costituzione (“la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali“), che non è stato modificato. La mancanza da parte del nuovo “Senato” di qualsiasi rapporto fiduciario con il Governo configura una situazione di alterità rispetto allo Stato di cui incrina l’unitarietà. Se, infatti, il “nuovo Senato” rappresenta le istituzioni territoriali e opera una funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costituzionali e le autonomie locali nel loro complesso, non è più integrato nell’unità dello Stato come la Costituzione prevede. L’indeterminatezza delle norme e la mancanza di un preciso rapporto tra Stato, Regioni e Senato, incide sul principio dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica, per cui le autonomie locali diventerebbero interlocutrici dello Stato in modo paritario in molti settori, ivi compresi i rapporti con l’Unione Europea. La prospettata riforma è in palese violazione dell’art. 139 della Costituzione, per cui le disposizioni di riforma del Senato non potrebbero neanche esser ammesse al referendum.
5 – Circa il sistema elettorale, gli elettori perderebbero il potere di eleggere i nuovi Senatori, che sarebbero, invece, espressione di vertice dei Consigli Regionali.
Il meccanismo di elezione previsto configurerebbe una sorta di mandato indiretto da parte degli elettori che voterebbero per i Consiglieri regionali o comunali i quali sarebbero, allo stesso tempo, rappresentanti dei territori e “senatori”: una doppia figura non in armonia con la funzione e il significato che la Costituzione dà degli Enti locali all’art. 5. Le nuove norme oggetto di verifica referendaria modificano radicalmente l’impianto delle Istituzioni democratiche previste dai Padri costituenti, alterando il principio dell’equilibrio dei poteri, e non definiscono i compiti dei senatori. Questa riforma pretende di essere una sorta di rifondazione repubblicana ma è confusa ed incerta, e altera il rapporto tra ente locale e governo, tra periferia e centro, stravolgendo la caratteristica peculiare del modello italiano di pluralismo istituzionale nell’ambito dell’unità della Repubblica.
6 – La Carta Costituzionale del 1948 fu scritta dai gruppi politici presenti in Parlamento che risentivano delle culture democratiche dopo il ventennio fascista e dopo il 2° conflitto mondiale. Le modifiche introdotte sostituiscono l’attuale Senato con un altro dalle funzioni non chiare ed imprecise, palese dimostrazione dell’improvvisazione e della mancanza di partecipazione del Parlamento nel suo complesso e dell’assenza di un valido supporto della cultura costituzionale e giuridica del nostro Paese.
Se non si è riusciti dal 1948 fino ad oggi a varare modifiche consistenti alla Costituzione è perché le grandi trasformazioni che si sono verificate in questi anni e le grandi contraddizioni presenti nella società non hanno consentito l’elaborazione di norme valide e condivise. I giuristi del secolo scorso hanno spiegato che le grandi codificazioni si possono ottenere nei periodi di pace sociale e di relativa stabilità, quando i valori ed i costumi determinanti sono consolidati e condivisi nella società, oppure dopo particolari sconvolgimenti, come i conflitti bellici, che consentono d’individuare un nuovo assetto di società e di Stato. Nel testo costituzionale sottoposto a referendum è assente qualunque disegno e qualunque modello di Stato e società civile. Si esalta soltanto l’eliminazione di una classe politica di 300 senatori con le relative indennità. Con la nuova Costituzione proposta, invece, non si ridurranno i costi della politica. I deputati restano 630, le spese delle province ricadranno su altri enti, il Senato rimane a gravare sul bilancio pubblico con tutto il suo apparato, anche se ridotto ad un club per consiglieri regionali e sindaci che passeranno a Roma qualche giorno alla settimana a spese del contribuente.
7 – Una Carta costituzionale non chiara mette in crisi la democrazia, e modifiche così ampie e non tra loro coordinate mettono in crisi la Repubblica parlamentare.
Nel caso che il referendum approvasse la riforma, non avremmo né una Repubblica parlamentare né una Repubblica presidenziale, modelli ricorrenti nelle democrazie moderne, ma un sistema ibrido e confuso che non esiste in nessun Paese di tradizione democratica. La Repubblica parlamentare ha le sue regole e trova il suo equilibrio in virtù norme che ne garantiscono la funzionalità e l’organicità; egualmente la Repubblica presidenziale ha le sue regole e le sue prerogative diverse, ma funzionali e coerenti. L’attuale Governo parlamentare si trasformerebbe in un Governo del Primo Ministro.
8 – La Costituzione del 1948 disegna una Repubblica parlamentare con le sue peculiarità, con i pesi e contrappesi che hanno determinato dal 1948 ad oggi un sostanziale equilibrio dei poteri, con un Presidente della Repubblica garante dell’unità del Paese.
La Repubblica presidenziale, che ha le sue regole peculiari e certamente democratiche, risponde ad altre logiche e presuppone un Presidente eletto dal popolo. Il Presidente della Repubblica che nelle proposte di modifica sarebbe eletto dalla Camera dei Deputati e dal Senato delle autonomie locali, con una maggioranza dei 3/5 dei votanti, e non dei componenti dell’assemblea, non ha una forte legislazione che lo metta al di sopra delle parti e ha poteri ridotti perché non potrebbe, nei casi previsti dalla stessa Costituzione, “sciogliere” il “nuovo” Senato. Inoltre, vedrebbe affievolito il suo potere di rinvio alla Camera delle leggi, perché si scontrerebbe con la posizione dominante del Presidente del Consiglio.
9 – La legge elettorale detta “Italicum”, già approvata dal Parlamento, attribuisce al partito che ha il maggior numero di voti un premio di maggioranza sproporzionato e fuori da ogni buon senso, rafforzando il potere del Presidente del Consiglio il quale “risponde” appunto solo al “suo” partito, in grande maggioranza nella Camera dei Deputati, anche se è pur sempre espressione di una parte minoritaria del corpo elettorale!
Il Presidente del Consiglio governa con il “suo” partito la Camera dei Deputati ed ha il “controllo” della maggioranza dei deputati del “suo” partito. La legge elettorale in questione ha chiari elementi d’incostituzionalità perché non rispetta la sentenza della Corte Costituzionale. Collegata alle modifiche costituzionali di cui sopra, trasformerebbe la Camera dei Deputati in uno strumento del partito che vincesse le elezioni con la maggioranza relativa dei voti, acquistando uno sproporzionato premio di maggioranza.
10 – I cittadini che invocano sempre maggiori controlli e verifiche sull’attività delle Istituzioni e dei rappresentanti, dirigenti e funzionari, si trovano di fronte a una riforma costituzionale che elimina ogni possibilità di sindacato ispettivo sostanziale e lascia il Paese al libero arbitrio del partito di maggioranza e, soprattutto, del Presidente del Consiglio che lo rappresenterà.
Questa riforma, secondo i suoi sostenitori, dovrebbe permettere quelle innovazioni e quegli adeguamenti che sono richiesti dalle nuove esigenze della vita moderna. In realtà, non tiene conto in alcun modo della realtà costituzionale che si è andata configurando negli ultimi sessanta anni di vita repubblicana e, in particolare, del ruolo dei partiti, mai definito, ma che sono stati il vero collante del sistema.
11 – La riforma proposta è una “costruzione” intorno al Premier che, assieme alla riforma elettorale, mette in discussione gli stessi principi e gli stessi valori indicati dalla prima parte della Costituzione, sino ad ora considerati immodificabili. Il Governo, e per esso il Presidente del Consiglio, assume poteri forti ed esclusivi senza controlli e contrappesi.
La sindrome presidenzialista, determinata dalla liquefazione dei partiti politici nella seconda fase della nostra storia repubblicana, deriva da interessi personali di alcuni degli attori politici presenti nell’ordinamento, per cui è necessaria una valutazione “fredda” dei pericoli potenziali derivanti da questa riforma accentratrice.
12 – L’impianto della riforma poggia essenzialmente sulla previsione di un sistema elettorale maggioritario per l’elezione della Camera dei deputati. Grazie all’Italicum, il rapporto tra legge costituzionale e legge elettorale è stato invertito. È la riforma elettorale “Italicum”, approvata per prima, ad individuare il vero obiettivo del combinato “legge costituzionale – legge elettorale” e, cioè, a “verticalizzare il potere per gestirlo senza ostacoli e limiti da parte di nessuno, cittadini compresi.”
Poiché il sistema elettorale potrebbe essere modificato in ogni momento, una legge elettorale diversa potrebbe alterare profondamente i rapporti tra le due Camere, incidendo pesantemente sulla funzionalità del sistema.
13 – La riforma costituzionale e la collegata riforma elettorale potrebbero essere utilizzate da formazioni antisistema e da leaders populisti, con conseguenze facilmente immaginabili per l’assetto democratico del Paese.
Le nuove norme, infatti, non sono coerenti con le norme non modificate della Costituzione, e questo determina una disarmonia pericolosa per la funzionalità del sistema.
14 – L’attuale crisi dei partiti e della loro rappresentanza politica ha portato ad una forte personalizzazione della leadership, sostitutiva del ruolo dei partiti tradizionali.
Si è in presenza di un progetto messo in atto per il passaggio da un presidenzialismo di fatto e approssimativo, quale quello praticato dall’attuale Presidente del Consiglio, ad un presidenzialismo formale, ma anomalo. Non si possono modificare le istituzioni in maniera pasticciata, come non si possono alterare i principi fondamentali e fondanti senza una generale e maturata condivisione.
15 – Le modifiche costituzionali per le quali ci sarà il referendum non preparano il futuro, ma ripropongono un lontano passato, quando si è preferito affidare il potere ad un solo uomo, pensando che potesse garantire stabilità ed efficienza.
L’Italia e l’Europa ben conoscono le conseguenze di questo tragica illusione.
16 – Contrastare queste modifiche costituzionali improvvisate significa essere consapevoli del fatto che solo mantenendo l’insieme delle norme che hanno garantito la democrazia e la pluralità istituzionale, si può costruire un nuovo sistema, adeguato socialmente e giuridicamente ad una società che è profondamente cambiata dal 1948.
17 – Il Presidente del Consiglio ha esplicitamente detto che il referendum è un test per la sua permanenza al Governo. Una siffatta dichiarazione è molto pericolosa. Conferma una deriva autoritaria e dispregio della dialettica costituzionale.
Il processo costituente è materia del Parlamento, non del Governo. Il Governo se non è sfiduciato, ha il dovere di governare per il bene comune dei cittadini. Non si possono sfidare gli elettori sul piano “personale”, affermando che, in caso di voto negativo, il Presidente del Consiglio si dimette. Il principio dell’estraneità del governo alle revisioni costituzionali, funzionale ad un regime parlamentare come il nostro, è stato rispettato per 47 anni (quando si è discusso di riforme costituzionali i banchi del Governo sono rimasti sempre vuoti per rispetto del Parlamento). Al contrario, la riforma Renzi è un atto d’indirizzo politico di maggioranza in contrasto con i principi di cui sopra.
18 – La “riforma”, fortemente voluta dal Presidente del Consiglio, non si propone la modifica, ma la revisione della nostra Repubblica parlamentare. Per il suo effetto congiunto alla nuova legge elettorale, il Parlamento ed il Paese rischiano di essere governati da una minoranza, che per la “magia” delle modifiche proposte, si trasformerebbe in una maggioranza fittizia, funzionale al Capo del Governo.
19 – Il Presidente del Consiglio ha fatto della riforma un problema personale, con un uso scorretto della nostra Costituzione, stravolgendone i principi fondamentali con norme disarticolate.
20 – E’ necessaria una battaglia referendaria per dire chiaramente NO a questa riforma costituzionale, ed implicitamente alla legge elettorale, che sarà sottoposta ad uno specifico referendum dopo la raccolta delle firme. È un dovere per ogni cittadino italiano che abbia a cuore il valore della “rappresentanza democratica” nella nostra Repubblica parlamentare.