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Alla base della crisi dei partiti c’è l’Europa?

Il prossimo  17 maggio Calise, Diamanti, Fabbrini, Morlino e Panebianco presentano “Governare il vuoto”

In anteprima nazionale alla Luiss il libro del grande politologo che preconizzò la fine della democrazia rappresentativa

Sarà presentato il 17 maggio alla School of Government della Luiss Guido Carli di Roma (Via di Villa Emiliani 14) il libro del politologo Peter Mair (1951-2011) “Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti”, testo considerato da più parti un saggio fondamentale per comprendere l’attuale crisi della politica rappresentativa in Italia e in Europa.
A discutere del libro ci sarà un parterre d’eccezione composto da Mauro Calise, Ilvo Diamanti, Sergio Fabbrini, Leonardo Morlino e Angelo Panebianco, coordinati da Marco Damilano.

Il libro analizza a fondo le ragioni della crisi dei partiti politici e il conseguente emergere del populismo. Secondo Mair, da un lato i partiti hanno perso il loro proverbiale radicamento all’interno della società; dall’altra, in conseguenza di questo, venute meno le funzioni rappresentative dei partiti (funzioni spesso assorbite da altre agenzie) questi ultimi hanno finito per diventare auto-referenziali, focalizzati principalmente sull’efficiente ed efficace gestione della politica. Le funzioni svolte dai partiti, e che ci si aspetta debbano svolgere, sono dunque cambiate passando da una combinazione di ruoli rappresentativi e governativi ad un ruolo quasi esclusivamente governativo. Questo è il passaggio che segna la fine del tradizionale partito di massa.
Il risultato è l’inizio di una nuova forma di democrazia, in cui i cittadini rimangono a casa mentre i partiti vanno a governare.
Ci si trova così di fronte al paradosso: le elezioni e gli altri elementi della democrazia popolare continuano ad essere importanti ma non sono più considerati garanti assoluti della legittimità. Al contrario, l’impressione è che ora le strutture del potere e del processo decisionale necessitino a volte di essere protette dall’azione popolare e dai suoi “input” eccessivi.
È quello che accade all’interno dello spazio politico dell’Unione Europea, una istituzione il cui deficit democratico è sempre più evidente.

Ed è proprio sul ruolo giocato dall’UE in questo processo che si basa la grande intuizione di Mair. Secondo Mair lo sviluppo di un processo decisionale a livello europeo (europeizzazione) ha giocato un ruolo cardine nel ridimensionamento della competizione politica tra partiti a livello nazionale (depoliticizzazione). Questo è avvenuto perché da un lato il potere decisionale si è spostato da un livello nazionale a uno sovranazionale nel quale contano le istituzioni non legate ai partiti (la Banca Europea, l’Europol ecc.), dall’altro perché la discussione delle politiche non avviene più tra partiti nazionali ma a livello sovranazionale tra i diversi governi nazionali. Sparisce dunque la dialettica maggioranza/opposizione.
Questa traslazione verso l’alto della funzione decisionale fa sì che se da un lato è in qualche modo garantita la rappresentatività dei cittadini (anche se è difficile comprendere come ciò avvenga in maniera efficace) dall’altra è, di fatto, impedita la possibilità della formazione di una forza di opposizione all’interno del sistema di governo. Ciò favorisce la nascita a livello nazionale di forze populiste euroscettiche se non del tutto antieuropee.

Peter Mair (1951-2011), irlandese, è stato uno dei principali protagonisti della scienza politica contemporanea. Ha insegnato Politica comparata nell’Università di Leiden e presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, specializzandosi nello studio dei partiti e dei sistemi di partito, con particolare attenzione alle patologie della rappresentanza democratica come la disaffezione degli elettori dalla politica e la costante avanzata dei populismi.

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