Altri mondi: dalla Cina al Canada
Il sogno canadese
Sono sempre più i nuovi ricchi cinesi che si affrettano oltremare, Canada in primis, per permettere ai loro figli di accedere ad un sistema educativo migliore. Ma lo scorso febbraio il governo federale canadese ha annunciato che interromperà l’Immigrant Investor Program. Prima parte dell’articolo pubblicato sul Nanfang Zhoumo.
Il pomeriggio dell’11 febbraio, il governo federale canadese ha annunciato che interromperà l’Immigrant Investor Program, con il risultato che i 66mila applicanti fino ad oggi in attesa si vedranno chiudere la porta in faccia senza alcuna distinzione. Si stima che tra questi 57mila provengano dalla Cina, tre quarti dei quali pare abbiano fatto richiesta di aderire al programma principalmente per assicurare un’istruzione migliore ai propri figli.
I cinesi, che si sono arricchiti per primi, si affrettano oltremare per attingere al sistema educativo. Non soltanto perché la qualità dell’istruzione all’estero è migliore, ma anche perché, a ben vedere, i costi sono più contenuti rispetto a quelli ai quali è necessario far fronte in Cina.
“Se stiamo insieme, sei disposto a seguirmi in Canada?” chiedeva in una puntata del famoso dating show televisivo “You Are the One” una ragazza al concorrente dell’altro sesso. Ora quella domanda sembra non avere più senso: infatti, se quella ragazza ad agosto del 2013 era ancora in lista tra gli applicanti per il programma d’immigrazione canadese, ormai quasi certamente non riuscirà più a espatriare.
Il pomeriggio dell’11 febbraio 2014, il governo di Ottawa ha lanciato un nuovo piano economico per l’anno in corso, che prevede l’interruzione dell’Immigrant Investor Program. I 66mila applicanti ancora in attesa si vedranno chiudere la porta in faccia senza alcuna distinzione. Si stima che tra questi 57mila provengano dalla Cina; il 98 per cento dalla Cina continentale.
Nel 2009 ad aver presentato domanda c’era anche un imprenditore di nome Wang Bin. Nonostante il 9 febbraio Wang avesse già intravisto su QQ la notizia di una possibile modifica del programma, ricevere la conferma ufficiale di una revoca “senza distinzioni” è stato per lui come una coltellata al petto.
Anche Han Lei, 38enne businessman di Nanchino, ha visto tutti i suoi piani naufragare improvvisamente. Voleva lasciare la Cina sopratutto per far studiare il figlio all’estero. Quattro anni di attese e ormai il bambino, che ha compiuto otto anni, frequenta già la scuola elementare. “All’improvviso mi hanno detto che non potevo più andare, ma mio figlio nel frattempo mica smette di crescere!”. Han pensa che il governo canadese gli abbia tirato una fregatura.
Negli ultimi dieci anni è aumentato sempre di più il numero dei cinesi ricchi che, come Wang Bin e Han Lei, hanno deciso di ottenere un’altra nazionalità o la residenza permanete in un altro paese, attraverso programmi di immigrazione per investitori e lavoratori qualificati. Canada, Stati Uniti, Australia e Singapore sono le mete preferite.
Secondo il “Rapporto mondiale sulle migrazioni” pubblicato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel 2013 la diaspora cinese contava già 934,3 milioni di unità, rendendo la Cina il quarto “esportatore” al mondo di migranti.
Perché partire? La risposta è scontata: o per il desiderio di aria pulita e cibo sano, o per trasferire i propri capitali all’estero. Il Southern Weekly ha intervistato alcuni applicanti, le agenzie di immigrazione e i sociologi. La maggior parte di loro ha dato la stessa risposta: “lo facciamo per i figli; perché i nostri figli possano accedere ad un sistema scolastico migliore”. La conferma arriva da un sondaggio sui nuovi ricchi cinesi, secondo il quale il 76,7 per cento dei migranti cinesi lascerebbe gli ormeggi proprio pensando ai propri discendenti.
È una specie di versione moderna dell’antica storia cinese “i tre trasferimenti della madre di Mencio”. Questa volta, però, sono i giovani genitori benestanti ad affollarsi oltreoceano per offrire ai propri bambini standard educativi superiori. La virata nell’Immigrant Investor Programfornisce l’occasione per un’analisi sociologica più ampia, in cui la rabbia dei richiedenti, che dopo infinite attese si sono visti esclusi, riflette le ansie dei nuovi parvenu cinesi.
Troppo tardi
La ricchezza materiale li rende particolarmente esigenti verso la qualità e l’ambiente di vita per sé e per la loro prole. Nel 2008 Han Lei non era ancora deciso a partire. Dopo la laurea, si era aperto una società nel settore dell’high-tech. La sua situazione finanziaria era florida, nonostante si fosse comprato casa e macchina. Ormai raggiunta una certa età e la stabilità di vita, l’unico pensiero di Han era che suo figlio potesse diventare una persona di successo.
Nonostante molti tra i suoi amici fossero già andati via, lui non non aveva ancora mai varcato i confini nazionali. Era stato il figlio di alcuni suoi amici emigrati in Canada a fargli cambiare idea. Una volta si era recato a casa loro ed era rimasto sbigottito venendo accolto alla porta dal bambino con modi “urbani” e beneducati. Prima di andare a studiare in Canada, quel ragazzino non salutava nemmeno. Non solo.
Hua scoprì che si programmava persino le giornate da solo, organizzando il tempo per il gioco e quello da dedicare allo studio. E non c’era nemmeno bisogno di controllarlo: finiva i compiti da sé. Eppure Hua se lo ricordava bene, prima di andare all’estero i suoi risultati scolastici erano peggiori di quelli di suo figlio. Domandò agli amici quali fossero le cause di quel cambiamento radicale e questi gli risposero che era tutto merito dei metodi d’insegnamento canadesi.
“Se non ti sbrighi, sarà troppo tardi”. Improvvisamente un senso di angoscia lo pervase; capì che non poteva più aspettare. Doveva mandare suo figlio a studiare oltreoceano. Han ha raccontato che temeva che il bambino non passasse il gaokao, l’esame di ammissione all’università. Ogni anno solo una piccola percentuale di studenti delle scuole superiori riesce ad accedere agli atenei compresi nei Progetti 985 e 211.
Dopo aver chiesto consiglio, Han decise di prendere parte all’Immigrant Investor Program. Secondo i suoi piani, sarebbero partiti per il Canada una volta che suo figlio si fosse diplomato, in modo da fargli frequentare l’università là. Il Paese delle foglie d’acero lo attirava per la qualità dell’istruzione, per l’elevata sicurezza sociale e per gli splendidi scenari naturali. Ovviamente l’educazione del bambino non era stato l’unico fattore ad indurlo a prendere in considerazione l’ipotesi di emigrare all’estero. Era molto preoccupato per la situazione ambientale, la fitta nebbia che quotidianamente ammanta le città cinesi e il costo della vita in aumento. “Nonostante io e la mia società paghiamo tasse molto alte, non abbiamo diritto ad alcun beneficio”, spiega.
Le Olimpiadi di Pechino hanno mostrato tutta la vitalità della Cina. Nel corso del rapido sviluppo economico nazionale, persone del ceto benestante, come Han Lei, hanno accumulato ingenti patrimoni. La ricchezza le ha rese ancora più esigenti per quanto riguarda la qualità e l’ambiente di vita per sé stessi e per i loro figli. Questo gruppo d’élite, che decide di emigrare sulla base di programmi di immigrazione per investitori e lavoratori qualificati, è stato battezzato dai ricercatori “la terza ondata migratoria”.
Dalla fine degli anni ’70 agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, di fronte alle molte incertezze economiche e politiche, la Cina è stata interessata da due ondate migratorie, che hanno coinvolto rispettivamente clandestini e intellettuali.
“Oggi i cinesi hanno i soldi; non è più come quando tiravano la cinghia per sopravvivere”. Huang Lin, un imprenditore originario di Guangzhou, emigrato in Canada nel 2001, ha raccontato al Southern Weekly che buona parte dei ricchi cinesi da lui conosciuti si era trasferita in Canada grazie all’Immigrant Investor Program. La ragione? Sempre la stessa: assicurare alla propria prole un ambiente migliore in cui crescere.
Il Canada rimane una delle destinazioni privilegiate per i cinesi, nonostante i prezzi alti del programma d’immigrazione: gli applicanti che vogliono trasferirsi con la propria famiglia devono avere un patrimonio netto di minimo 1,6 milioni di dollari canadesi, oltre a concedere al governo di Ottawa un prestito di cinque anni a interessi zero da 800mila dollari canadesi (4,43 milioni di yuan).
Lanciato nel 1986, l’Immigrant Investor Program ha già permesso a molti cittadini della Repubblica popolare di trasferirsi in Canada. Secondo i dati pubblicati dal South China Morning Post, nel solo 2010, oltre 34mila ricchi cinesi avrebbero fatto domanda attraverso il consolato canadese di Hong Kong. Diverse agenzie d’immigrazione di Guangzhou hanno anche affermato che molte società di mediazione hanno fatto una fortuna grazie al business con il Canada.
Alla fine del 2009, anno in cui Han Lei si è messo in lista, l’intermediario gli disse che avrebbe dovuto aspettare quattro cinque anni. Tra i candidati che avevano presentato domanda con lui, c’era anche chi aveva già atteso di più e chi aveva appena consegnato altra documentazione. E proprio quando il materiale sembrava pronto, in un baleno hanno visto tutti i loro sogni svanire. Sembrava quasi che il tempo si fosse fermato.
[tradotto per Internazionale] tradotto da Alessandra Colarizi