Anatocismo
Anatocismo: la Commissione Ue chiede chiarimenti al governo > Quante sono, in Italia, le voci di costo (e le fonti di profitto per le banche) consentite nei rapporti di conto corrente? L’apparente perdita può essere compensata da tassi più elevati senza incorrere nel rischio usura?
___________intervento già pubblicato su “LEGGI – OGGI” dall’ Avv. Roberto DI NAPOLI
La notizia divulgata sui principali organi di informazione secondo cui la Commissione UE avrebbe chiesto all’Italia chiarimenti in merito all’introduzione, con la legge di stabilità 2014, del divieto di anatocismo a partire dal 1° Gennaio 2014 lascia il dubbio che ad invocare l’intervento non siano piuttosto le stesse banche italiane che, ancora, devono finire di pagare “il conto”, nei tribunali, relativo alla restituzione degli oneri anatocistici illegittimamente addebitati nel corso di rapporti instaurati prima dell’entrata in vigore della delibera Cicr del 9 Febbraio 2000;
tali banche non hanno mai accettato di rinunciare ai maggiori profitti derivanti dalla capitalizzazione degli interessi o di restituire quanto, anche per altre ragioni, i giudici hanno riconosciuto non dovuto dai clienti (ad esempio, per interessi “uso piazza” o, comunque, non validamente pattuiti o per commissioni di massimo scoperto) a tal punto da avere già, in passato, invocato ed ottenuto “soccorso” dal legislatore nazionale vanificato, più di una volta, dalla Corte Costituzionale.
Si ricorda che la Corte di Cassazione, nella primavera del 1999, aveva riconosciuto l’illegittimità della capitalizzazione, vietata, sin dal 1942, dall’art. 1283 codice civile (salvo particolari condizioni indicate nella norma). Il legislatore (rectius: il Governo), dopo qualche mese, con il decreto legislativo 4 Agosto 1999 n. 342, legittimò l’anatocismo con l’introduzione di due commi nell’art. 120 d.lgs. 1 Settembre 1993 n. 385 (Testo Unico delle norme in materia bancaria) attraverso i quali si delegava il CICR ad emanarne la disciplina assicurando la reciprocità (ossia la capitalizzazione degli interessi sia a debito che a credito dell’utente): una condizione, quest’ultima, che soltanto in apparenza sembra garantire l’equità sia perché è inverosimile che il correntista che abbia un “fido” possa trovarsi a credito sia perché, comunque, dagli stessi moduli contrattuali predisposti dopo il 2000 si evince, spesso, che nessun effettivo aumento annuo del tasso creditore potrebbe avere il correntista in virtù della capitalizzazione. Ma non solo: tentando di annullare quanto la Corte di Cassazione aveva ribadito -e, cioè, l’illegittimità dell’anatocismo- il legislatore, col medesimo decreto legislativo, introdusse, nell’art. 120 d.lgs. 385/1993, un ulteriore comma “sanando” comunque le clausole presenti nei contratti stipulati anteriormente alla delibera CICR. Un provvedimento che fu ritenuto da varie associazioni dei consumatori e vittime di abusi bancari un “regalo” di non poche migliaia di miliardi di lire dell’epoca che la Consulta (con sentenza del 17 Ottobre 2000 n. 425) impedì dichiarando incostituzionale la “sanatoria” per le clausole anatocistiche contenute nei contratti stipulati precedentemente . E’ “sopravvissuta” per quattordici anni, invece, la disposizione dell’art. 120 T.U.B. che, a partire dall’entrata in vigore della delibera Cicr del 9 Febbraio 2000 fino al 1° Gennaio 2014, ha consentito la capitalizzazione degli interessi debitori.