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BirdMan, la sagra dell’Ego

“BIRDMAN” – un film  dai tanti Oscar …. in una recensione e radiografia, a cura di Sabina Incardona

La traduzione italiana letterale di plan-séquence è “inquadratura-sequenza’” ed evoca in modo efficace l’idea di un’inquadratura che coincide con la durata di una sequenza, ovvero di una sequenza interamente composta da una sola inquadratura, cioè da un solo piano (dal francese plan). – Definizione di “piano-sequenza” da Enciclopedia del cinema 2004.

Andiamo per gradi.
La prima volta che incappai in questa tecnica in epoca arcaica, avvenne quando –  totalmente digiuna di qualsiasi nozionismo cinematografico – notai qualcosa di strano guardando “Nodo alla gola” di Hitchcock. Il film sembrava girato senza stacchi di camera, come tutto d’un fiato da un solo operatore, senza scene montate in post-produzione. Molto più tardi seppi che si trattava di un “finto piano-sequenza” ottenuto attraverso un furbo espediente tecnico che concesse al regista di potersi esibire in una cosa che altrimenti sarebbe risultata impossibile (all’epoca c’era l’analogico e la pellicola, dopo un po’, finisce).
Fiera della mia nuova conoscenza, anni più in là mi trovai ad esaltarmi gioiosa guardando “Un amore” di Gianluca Maria Tavarelli: film a episodi ognuno dei quali girato, indovinate un po’? in piano-sequenza. Vero però! Giubilo e commozione.
Ricordo d’aver pensato che per una cosa del genere regista, attori, comparse, tecnici (un po’ meno i montatori, per una volta) avrebbero dovuto vincere ogni possibile premio al mondo: Nastro d’argento, Leone d’oro, British Academy Film Awards, Oscar, Golden Globe, Bafta, César, Africa Movie Academy Awards e mi voglio rovinare anche un Telegatto nella categoria “meidetutti”.

Trascorrono molti anni, cambio molti gusti e idee e arriviamo ai giorni nostri. A ieri, per l’esattezza.
Ora voi volete dirmi che L’INTERA ORA INIZIALE del film di Alejandro Gonzàles Inàrritu “Birdman” è un piano-sequenza? Se mi sbaglio fermatemi subito, altrimenti…
Troppo tardi.
Bene. Rimango a bocca aperta. Stringo ogni mano possibile al regista e tutta la troupe. Bacio i piedi a Michael Keaton (il cui vero cognome è Douglas, ma essendo già in uso come quando devi iscriverti su gmail ha scelto Keaton, in onore di Sir Capitombolo Buster e ti bacio anche solo per questo amico Michael e perché hai deciso di rasarti e stai molto meglio). Pacca sulla spalla anche agli sceneggiatori e ai loro dialoghi pulp, molto pulp anche troppo (Cit.) perché ne sentivo vicina nostalgia. E amo tutti voi, amici messicani del mio amico messicano Alejandro. Che c’ha un Ego così, come quello del suo ammesso alter ego Riggan/Keaton (protagonista del film). Che però una volta premiato come miglior regista del miglior film dell’anno è anche tanto umile da voler ringraziare tutti per aver contribuito ad aver reso possibile la realizzazione del SUO film il migliore di tutto l’anno.
Insomma, allo sfinimento.
Un esercizio di stile encomiabile, una prima parte incuriosente, uno svolgimento che chiarisce in modo più o meno incisivo, una fine ruffiana e leziosa. Il finto sberleffo di un Ego finto stanco in quasi-crisi attraverso un viaggio meta-cinematografico che dal regista riconduce al regista. Ma non è vero dai, anche a ogni artista o presunto tale. A tutti noi. A parla per te, che ti aspetto fuori e ti meno. Alejandro, mi hai fatto rimpiangere Amores Perros, 21 Grammi, Babel. Tengo il cuore che sanguina, Gonzàles.
Non basta un espediente cinematografico complesso, una bella attrice truccata da mostro, una parte da malato/storpio, un film muto in b/n posticcio ambientazione anni’30 finto-Francia per farmi esclamare “Parbleu, The artist!”. No a me non bastano queste cose a convincermi che un film sia il miglior film del Pianeta. E quasi un po’ mi arrabbio e mi sento presa in giro. All’Accademy però sei piaciuto un sacco del mio silenzioso parere fra tante voci non ti devi di certo curare. Ho mangiato pesante e ho le mestruazioni, sono nervosa di mio.
Ma se permetti ho un Ego anch’io. L’Ego è mio e lo gestisco io.