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Il perché dell’ “Etica”

Convegno del 26 ottobre 2016 a Milano, Circolo della Stampa su “Le professioni e l’etica: verso un futuro condiviso”

“L’Etica della Professione come volano di creazione di valore per l’impresa”

_______________Intervento del Dr. MAURO NICOLI *

Ho valutato dover incentrare questo mio breve intervento sul particolare rilievo che la figura professionale del dottore commercialista ha nello svolgere una attività di vigilanza sull’osservanza dei principi etici nei diversi ambiti della attività dell’impresa e, più in generale, dei soggetti che intraprendono attività imprenditoriali (siano essi, appunto, imprese piuttosto che singoli individui). Conseguentemente ritengo non superfluo iniziare questo mio intervento cercando di dare una definizione quanto più possibile sintetica ma esaustiva del termine “etica” nell’accezione che ci è stata tramandata dall’insegnamento di Aristotele. Il filosofo parla di una “èthikè theoria” per indicare proprio quella parte della filosofia che studia la condotta umana e i criteri in base ai quali si valutano scelte e comportamenti.

Desidero, sia detto per inciso, ringraziare pubblicamente l’Avv. Ruoppolo che alcuni anni orsono, in occasione di uno dei nostri primi incontri, mi segnalò un contributo del Prof. Daniele Loro incentrato sulla specifica tematica dell’etica delle professioni; dal citato testo ho, in effetti, attinto preziosi spunti per elaborare molte delle considerazioni che seguiranno.

L’azione umana, secondo l’opinione, assolutamente condivisibile, dell’Autore non è mai solitaria ma deve essere vista come una continua interazione con le altre persone: ciascuno di noi potrà conseguentemente decidere liberamente in che modo gestire il rapporto gli altri soggetti ben comprendendo come, in funzione delle proprie scelte, tale rapporto potrà generare sollievo e gratificazione piuttosto che sofferenza e frustrazione nella controparte. Tale opinione, del resto, è condivisa anche dal filosofo Levinas, a giudizio del quale il fondamento dell’etica sta nell’esperienza dell’incontro con l’altro.

Appare quindi evidente come l’etica si fondi sulla capacità del singolo di apprendere ed applicare le regole che presiedono ai rapporti ed alle interazioni fra il singolo individuo e la comunità nella quale vive, così che si attui una convivenza nel reciproco rispetto.

Ancora D. Loro, citando un tema caro al filosofo francese Paul Ricoeur, evidenzia come gli esseri umani siano soliti agire in un contesto ove esercitano il proprio potere realizzando relazioni “asimmetriche” con gli altri individui. Tale evidenza, in effetti, viene puntualmente recepita nella generalità dei codici deontologici delle professioni, codici che di base si preoccupano, appunto, di vedere tutelata la posizione del fruitore dei servizi resi dai professionisti medesimi e, più in generale, di salvaguardare l’interesse pubblico.

Vorrei altresì sottolineare come sovente i termini “etica” e “morale” vengono usati con una accezione equivalente anche se in realtà la seconda farebbe più riferimento agli aspetti soggettivi della condotta umana, alla disposizione interiore del singolo mentre l’etica ne rappresenta l’aspetto oggettivo, la codificazione di valori di più generale accettazione.

Il rapporto fra etica e vita professionale trova, come ben sappiamo, la sua compiuta manifestazione nella redazione di codici deontologici o codici etici o carte etiche; ricorda infatti il Prof. Danovi come “ogni professione, per essere tale, debba avere rilevanza sociale e debba esprimere principi etico deontologici con mezzi associativi ed organizzativi per difenderli”.

Con il termine “deontologia” si identificano “il complesso delle regole di condotta che devono essere rispettate nell’attività professionale e attengono nei loro contenuti all’etica, al diritto ed alla prassi” ; lo stesso Danovi graficamente individua la deontologia come lo spazio incluso in un triangolo i cui lati sono rappresentati dal diritto, dall’etica e dalla prassi: quindi la deontologia ha natura complessa che non si identifica con una delle tre parti che la costituiscono pur essendo in strettissima relazione con tutte e tre.

Possiamo concludere sostenendo come dal punto di vista formale le norme deontologiche si distinguono da quelle etiche in quanto trovano sempre il loro fondamento in una norma giuridica che impone dati comportamenti (es. dignità, decoro, probità, diligenza, lealtà, correttezza, fedeltà, indipendenza). La norma giuridica è confermata dalla presenza di sanzioni.

immagine-deontologia Quanto al loro contenuto le norme deontologiche si rifanno all’etica avendo natura prescrittiva; dal punto di vista operativo la  deontologia deve applicarsi nella prassi quotidiana. Svolgere una professione non è solo un fatto operativo di natura economica ma è,  soprattutto, un fatto etico per almeno tre ordini di motivi:

 • La tutela di alcuni beni fondamentali per la persona o per la società;

 • Il rapporto del professionista con le persone che a lui si rivolgono in quanto le sue competenze gli conferiscono un “potere” che  richiede un uso responsabile (c.d. asimmetrie informative);

 • Il rapporto del professionista con la propria professione che non avviene mai in forma isolata in quanto lo stesso si trova coinvolto in una storia di conoscenze, esperienze, giudizi, modelli di riferimento e persone che hanno svolto l’attività professionale in precedenza: il concetto di “pratica” evidenzia una attività socialmente consolidata, di natura complessa, svolta con il coinvolgimento di altre persone e regolata in modo tale da raggiungere livelli o modelli di eccellenza.

E’ opportuno domandarsi se l’etica delle nostra professione, e più in generale di tutte le professioni, possa essere del tutto rappresentata dalle norme prescrittive contenute nei codici deontologici; la risposta non può che essere negativa in quanto è altamente improbabile che qualsivoglia codice deontologico, per quanto ben strutturato ed aggiornato in base all’evolversi delle competenze professionali, possa statuire norme di comportamento valide per tutte le evenienze che possono presentarsi nel corso dell’attività professionale. Inoltre le norme deontologiche indicano gli orientamenti generali e gli obiettivi da perseguire e non i relativi processi decisionali che devono essere lasciati alla determinazione del singolo professionista.

In generale, quindi, l’etica delle professioni non può dirsi del tutto rappresentata dai Codici deontologici.

Vi sono attività professionali che, più di altre, rivolgono la loro attenzione al mondo delle imprese: quella di “dottore commercialista”, probabilmente, si trova in prima linea occupandosi tanto della fisiologia quanto della patologia degli accadimenti d’azienda.

Può ben dirsi come, nel corso del tempo, la professione sia enormemente cresciuta in termini di contenuti, affiancando alle tradizionali competenze (economiche e fiscali, legali e contabili) altre specificità quali, ad esempio, quelle in tema di revisione contabile (sia a favore delle società commerciali quanto degli enti pubblici locali e delle organizzazioni non lucrative) così come la gestione di patrimoni (attività che sempre più frequentemente ci viene richiesta), per citarne solo alcune delle tante che si trovano elencate nell’art. 1 del nostro Ordinamento professionale.

Per le imprese, in particolare, siamo un referente fondamentale sin dalla loro costituzione ed ancora prima (allorché si tratta di indirizzare il progetto imprenditoriale e di studiarne le forme di finanziamento); nel corso di tutto l’arco della loro vita siamo presenti affiancando l’imprenditore nelle proprie decisioni di programmazione fiscale, finanziaria, organizzativa.

Si tratta di un incontro fra due realtà molto diverse (quelle della professione e dell’impresa) che, peraltro, sono chiamate a collaborare strettamente nell’interesse del progresso sociale; diverse perché il delicato rapporto fiduciario che contraddistingue le relazioni tra il professionista ed il suo cliente difficilmente potrebbe venire salvaguardato se nella gestione dello Studio professionale prevalesse la logica dell’ impresa e con essa l’etica degli affari.

Al netto dei necessari cambiamenti giuridici ed organizzativi che negli anni recenti hanno contraddistinto l’evoluzione delle libere professioni, non può essere dimenticato il fatto indubitabile che la nostra attività potrà anche (si veda la recente normativa in tema di società tra professionisti) mutuare le forme dell’impresa commerciale ma mai dovrà assorbirne la logica imprenditoriale, poiché prestazione professionale ed attività imprenditoriale sono, e debbono restare, mondi assolutamente distinti e separati.

Perché dunque possiamo affermare che l’etica della professione si pone come volano di creazione di valore per l’impresa?

Vorrei riprendere un concetto già introdotto nelle premesse, quello delle relazioni “asimmetriche” fra gli individui, che mi pare fondamentale per fornire una prima risposta a questa domanda; i servizi offerti sul mercato relativamente alle prestazioni professionali, a causa delle “asimmetrie informative” esistenti fra il professionista ed il cliente possono definirsi come un bene la cui utilità o valore è difficile da determinare per i consumatori.

In sostanza l’utente si troverà a rappresentare un bisogno al proprio professionista ma, in ultima analisi, sarà quest’ ultimo ad identificare e suggerire la prestazione più adeguata per raggiungere lo scopo reso manifesto dal suo cliente (per fare un esempio molto banale questi manifesterà la necessità di dare vita ad una attività imprenditoriale ma sarà poi il professionista ad individuare la struttura organizzativa e la forma giuridica dell’impresa che meglio si attagliano alle esigenze del cliente). Solo nel tempo quest’ultimo sarà in grado di valutare il livello qualitativo del servizio ricevuto.

Emerge con grande evidenza la grande responsabilità di chi si trova a dover indirizzare le scelte di altri basandosi su regole comportamentali che, prima ancora di essere disciplinate dal codice deontologico, attengono all’etica o, se preferite, alla morale del professionista. Per esempio una decisione basata sulla massimizzazione del proprio interesse economico probabilmente non potrebbe dirsi tale da massimizzare la generazione di valore per l’impresa cliente.

La quotidianità delle scelte imprenditoriali è sovente contrassegnata dalla necessità di instaurare un contraddittorio, meglio un dialogo, fra il cliente ed il professionista che conseguentemente è in condizione di influenzarle (tanto negativamente come positivamente). Palesemente indirizzi inidonei genereranno disvalore per chi li utilizza.

Bisogna altresì ribadire come il codice deontologico della professione di dottore commercialista, così come in generale tutti i codici deontologici adottati dalle diverse categorie professionali, poggia le sue basi sul principio, fondamentale ed ineludibile, che l’azione del professionista deve essere improntata al principio della “tutela dell’interesse pubblico” che prevale anche su quello del cliente e, naturalmente, su quello del medesimo professionista.

Concretamente si deve intendere che il corretto esercizio dell’attività professionale, nel momento in cui genera servizi di fondamentale interesse pubblico, faccia sì che gli stessi non esauriscano i loro positivi effetti nei confronti della clientela ma, viceversa, generino quelle che sogliono essere definite “esternalità positive” che vanno a beneficio dell’intera collettività; in sintesi, quindi, il valore della prestazione è decisamente superiore a quello che gli attribuisce l’immediato fruitore, vale a dire il cliente imprenditore del professionista.

Tale concetto viene puntualmente sottolineato dal già sopra citato prof. D. Loro che sottolinea come nelle attività professionali si evidenzi la tensione del professionista verso il raggiungimento di due distinte tipologie di valori (o “beni”); si deve distinguere fra “beni interni” e “beni esterni”: i primi rappresentano quegli aspetti della professione che contribuiscono a valorizzarne il significato e realizzarne le finalità (es. per il medico la ricerca di nuove terapie, la scoperta di nuovi farmaci e, più in generale, ciò che aiuta a sviluppare le capacità di cura dei pazienti); sono beni goduti da tutti, quindi non individuali ma condivisi dalla intera comunità dei soggetti che svolgono la professione: quindi l’eccellenza della prestazione è a beneficio dell’intera comunità. I “beni esterni” non sono connessi con lo svolgimento di una professione ma ne rappresentano le conseguenze (es. ricchezza, prestigio, potere); di conseguenza gli stessi sono individuali in quanto ogni professionista assume un proprio atteggiamento nei loro confronti.

Mi pare possa senz’altro individuarsi uno strettissimo rapporto fra l’impresa nelle sue più diverse accezioni (profit, non profit, aziende di produzione, aziende erogatrici di credito ovvero di servizi finanziari al risparmiatore) ed il territorio, le persone, le istituzioni che con essa intrattengono relazioni: in sintesi si ripropone il tema che il fare impresa è un concetto imprescindibilmente legato con l’aspetto etico della vita di relazione; in questo contesto l’opera del professionista risulta senz’altro preziosissima per contribuire a far sì che tale interscambio risulti creatore di valore.

Infatti, come ho precedentemente puntualizzato, il consulente dell’imprenditore, ed in modo particolare il dottore commercialista, vive la quotidianità della vita di impresa ed è senz’altro in grado di influenzarne i comportamenti etici: questo aspetto rappresenta sicuramente il fulcro della nostra attività professionale. Possiamo quindi definirci, senza timore di esagerare, i tutori delle regole e, al tempo stesso, gli interpreti delle modificazioni che intervengono nel mercato e che impongono l’adeguamento delle regole medesime: come tali siamo i primi interlocutori degli imprenditori e li aiutiamo a sviluppare la propria attività in modo coerente a tali regole.

codice-deontologico-2016 Per svolgere efficacemente il proprio ruolo il commercialista deve essere dotato di grande autorevolezza che gli deriva dalla sua statura  etica e dalla sua professionalità. La consapevolezza del proprio ruolo, l’orgoglio e la dignità dell’uomo che si sente portatore di valori  tali da contribuire al progresso del sistema economico sono i grandi valori etici che la nostra professione ci impone di perseguire con  coerenza ed impegno costante. Naturalmente la centralità del nostro ruolo nel sistema economico ci impone di seguire un costante  percorso di apprendimento ed aggiornamento, aspetto che del resto è concretamente statuito nel Codice Deontologico che impone, fra  le tante regole di carattere prescrittivo, quella della competenza e della qualità della prestazione erogata.

 L’ordine professionale è, a sua volta, istituzionalmente il luogo dove si forma e si sviluppa la cultura che verrà messa a disposizione  del cliente; dobbiamo infatti considerare come il singolo professionista sia pressoché quotidianamente chiamato ad interpretare le regole della propria professione in quanto le situazioni di lavoro che connotano l’esercizio della stessa non sono mai meccaniche e ripetitive. Le circostanze che si presentano non sono mai perfettamente identiche, così come non lo sono i professionisti. Ciò comporta delle interpretazioni che possono anche essere buone ma che presentano un limite invalicabile oltre il quale l’interpretazione stessa diviene oggettivamente negativa; a stabilire tale limite non è il singolo ma l’intera comunità dei professionisti dal momento che la pratica professionale non è un fatto singolo ma comunitario. In tale modo può evincersi che a fianco di una responsabilità individuale vi è anche una responsabilità comune. Ovviamente il fatto che le norme che definiscono i limiti di una buona pratica siano definite dalla comunità dei professionisti non esonera il singolo dalle proprie responsabilità individuali che, nell’agire quotidiano, debbono essere di guida per lo stesso nell’interpretare al meglio la propria professione.

Il rapporto fra mondo imprenditoriale e organismi istituzionali della professione è, concretamente, venuto assumendo sempre maggior rilievo nel corso degli anni come dimostrano, ad esempio, i numerosi momenti di collaborazione culturale che tale rapporto hanno contribuito a consolidare.

In sintesi, e per concludere, vorrei ancora una volta rifarmi alle statuizioni del Codice Deontologico che, a mio giudizio, rappresentano appieno la centralità della figura del professionista come elemento di indirizzo di scelte imprenditoriali rispettose dei principi generali dell’etica e, come tali, suscettibili di qualificare positivamente l’impresa che le adotta e vi si attiene costantemente.

In primo luogo vanno evidenziati gli aspetti dell’integrità e correttezza del professionista nello svolgimento del suo ruolo di interprete e tutore delle regole, dell’obiettività che ne deve connotare l’attività e che fa sì che lo stesso non possa essere influenzato dalle semplici aspettative del cliente, della competenza, diligenza e qualità della prestazione che concretamente consente di realizzare quell’interesse pubblico del quale già abbiamo trattato e della sua indipendenza che gli consentirà di mantenere quella terzietà nel rapporto professionale indispensabile per salvaguardare la sua figura di tutore delle regole alle quali l’impresa dovrebbe attenersi. Secondariamente richiamerei le prescrizioni in merito alla esecuzione dell’incarico che rafforzano il ruolo di garante rivestito dal professionista e ne evidenziano la necessaria terzietà cui sopra si è parlato.

Concludo qui il mio intervento ringraziandovi dell’attenzione che avete voluto dedicarmi.

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* Dottore Commercialista in Milano 

  Presidente Commissione Albo, Tutela e Ordinamento