Il Velo di Silenzio
Dopo la ripubblicazione dell’articolo “L’EUROPA DEI VALORI” riproponiamo online un altro intervento di Padre Rinaldo, già apparso solo su fascicolo cartaceo della Consul Press nel 2008.
“IL VELO del SILENZIO” infatti ancora perdura e la Chiesa continua ad essere perseguitata in più parti del mondo.
“IL VELO di SILENZIO” di Padre RINALDO CORDOVANI *
Tutti, sanno che Erode fu il primo: voleva uccidere Gesù appena nato. Lo aveva saputo dai re magi, che erano andati a chiedere proprio a lui dove fosse nato il nuovo re d’Israele. Non ci riuscì, perché i suoi genitori, avvertiti da un angelo, fuggirono con il Bambino in Egitto. Ma poi, una trentina d’anno dopo, qualcuno lo uccise al tempo del regno del figlio, Erode Antipa.
Tutti abbiamo avuto notizia dei martiri cristiani sotto l’impero romano (Nerone si serviva dei loro corpi crocifissi e incatramati per illuminare Roma, si dice).
Non è scontato che chi legge questo mio scritto sappia che oggi – 2008 – un milione e mezzo di cristiani sono discriminati, privati dei diritti umani elementari e uccisi.
Una mozione unitaria della Camera dei Deputati, in data 30 ottobre 2008, chiedeva che “venga squarciato il velo di silenzio intorno a questa vicenda – la persecuzione dei cattolici e delle altre minoranze religiose – per fare in modo che la comunità internazionale, anche attraverso risoluzioni delle Nazioni Unite intervenga repentinamente”.
Un Rapporto inquietante
La situazione reale dei cristiani nel mondo è riportata dal recente Rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre, introvabile nelle principali librerie romane, se non in quelle cattoliche.
Secondo questo Rapporto, nel 2008 vi sono 60 Stati nei quali in diversi gradi si registrano «gravi limitazioni legali alla libertà religiosa», nelle quali si nega del tutto il diritto a praticare la fede senza vincoli oppure, come nel caso del Bhutan, dove – riporta l’analisi – «anche se la legge prevede la libertà religiosa, di fatto il Governo limita questo diritto nei confronti delle religioni diverse dal buddismo».
Il Rapporto specifica poi in un secondo elenco i Paesi nei quali si verificano «limitazioni legali alla libertà religiosa» e un terzo gruppo dove si verificano «episodi di repressione legale».
In un quarto gruppo figurano invece le nazioni nelle quali si compiono «violenze da intolleranza sociale», anche assieme a «limitazioni, più o meno gravi alla libertà religiosa».
Infine, del quinto gruppo fanno parte i Paesi dove si verificano «conflitti locali», che peraltro sono già stati analiz¬zati nelle altre sezioni, in quanto presentano «anche limitazioni legali, più o meno gravi, alla libertà religiosa, episodi di repressione legale e violenze da intolleranza sociale».
Il rapporto si sofferma, tra l’altro, sull’aggravarsi della situazione in India negli ultimi due anni, nonostante la Costituzione sancisca la libertà religiosa. Nel documento, infatti, si osserva che il 2006 e il 2007 hanno visto l’approvazione di ulteriori leggi anticonversione o limitative della libertà religiosa in genere; appare grande il rischio che “l’identità dell’India come Stato secolare sia seriamente compromessa”, con un’involuzione verso un confessionalismo induista dagli sviluppi imprevedibili.
Siamo informati, per lo più, con rare eccezioni, soltanto dalla stampa cattolica. Organi di stampa che per un rapimento sfornano titoli da scatola, hanno dato notizia del rapimento di due suore italiane avvenuto nella notte del 9 novembre u.s. nel villaggio Bel Wok in Kenya, al confine con la Somalia e informano che la Farnesina segue “costantemente” la vicenda. Le due donne sono originarie di Cuneo e fanno parte del Movimento contemplativo di “Padre de Foucauld” e sono rimaste – solo loro di tutti gli europei che c’erano – in quella desolata terra di confine, luogo di continue razzie e violenze, per non abbandonare alla miseria e, forse, alla morte, bambini, per lo più di nessuno, e malati. Anche in loro, come in ogni donna, il senso materno è più forte della paura, anche della paura di rimetterci la vita. Se a questo naturale senso materno si aggiunge la maternità della fede, si comprende ancora meglio il perché le due suorine cuneesi siano rimaste. In Somalia, il 17 dicembre 2006, suor Leonella Sgorbati fu uccisa con una raffica di colpi sull’uscio del dispensario di Mogadiscio gestito dalle suore Canossiane. Mons. Salvatore Colombo ucciso nel 1989 a Mogadiscio, Pietro Turati nel 1991 a Gelib, Graziella Fumagalli nel 1995 a Mercea e Annalena Tonelli nel 2003 a Borama. Senza contare gli italiani che furono uccisi in un agguato nel 1993 e tanti altri episodi simili.
Per altre persone si è fatto ben altro, provocando iniziative fino ad illuminare il Colosseo o ad esporre le foto in Campidoglio, per limitarmi a Roma. Ma per le suorine di Cuneo? Certo, nella loro città si sta facendo tanto e con affetto immutato. Appelli di Papa e di vescovi rimangono tra le righe, come notizie un po’ spaurite e raramente riproposte.
Un’eccezione, informativa c’è: Internet. Basta digitare Cristiani perseguitati. Trovi di tutto. In particolare vorrei segnalare il sito www.incontraregesù.it/cristiani perseguitati, dove si può leggere un “piccolo notiziario dei cristiani perseguitati ad iniziare dal marzo 2008. Vi sono riportati paesi quali: Algeria, Indonesia, Kazakhstan, Somalia, Turchia, Cambogia, Bangladesh, Palestina, Giordania… Anche Comunione e Liberazione riserva una rassegna stampa sui cristiani perseguitati www.clonline.org ed una rassegna cronachistica si trova anche su www.totustuus.it
Nonostante questo notevole impegno comunicativo, credo che il messaggio della discriminazione contro i cristiani arrivi flebile, sia perché i mezzi di comunicazione di massa non ne parlano un gran che (chissà come mai!) sia perché quelli di ispirazione cattolica – vedi, per limitarmi all’Italia, il quotidiano Avvenire – non sono letti gran che dalla…massa, neanche da quella dei credenti.
Il Rapporto 2008 sulla libertà religiosa nel mondo, a cura di A.C.S. (Aiuto alla Chiesa che Soffre), elenca i sessanta Stati nei quali il diritto alla libertà religiosa è negato, ostacolato o perseguito. Nell’elenco figurano paesi comunisti (Cina, Corea del Nord, Vietnam), gran numero di Paesi islamici, a cominciare dall’Arabia Saudita, dove la pratica religiosa cristiana è proibita anche in privato. Pakistan e Indonesia, Iraq, India. Nello Stato indiano di Orissa nella notte del 2/3 ottobre scorso un padre e un figlio cristiani sono stati uccisi e fatti a pezzi a colpi di ascia sull’uscio di casa, dove, fino ad oggi, sono stata bruciate 5.000 case, distrutte 178 chiese, danneggiati centri sociali, uccisi 61 cristiani. La maggior parte di queste nazioni, dove sono violati i diritti umani in genere e quello del diritto alla propria fede in particolare, sono in Asia e in Africa. Tra questi ancora un elenco: Bhutan, Cuba, Eritrea, Iran, Laos, Nigeria, Nyanmar (dov’è?), Sudan. Per farsene un’idea visiva basta guardare la mappa allegata.
1. Il totalitarismo comunista
Nella Corea del Nord – “il Paese sigillato” – l’unico culto ammesso è quello verso il Capo dello Stato, il comunista Kim Jong-II e di suo padre Kim-II Sung. Padre e figlio vengono riveriti in molti aspetti della vita pubblica e con toni enfatici e mistici in un contesto di vera e propria ritualità religiosa (ricordi il culto della personalità del “piccolo padre” Stalin in Unione Sovietica?)
Sembra che sia il paese con la più forte persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo. Da quando si è instaurato il regime comunista nel 1953, sono scomparsi circa 300.000 cristiani e non esistono più sacerdoti o suore. Nel 1988 furono aperte una chiesa cattolica ed una protestante e venne fondata un’associazione di cattolici inserita all’interno della Federazione Cristiana Coreana, l’organo ufficiale coreano degli affari religiosi, sul modello cinese della “Chiesa Patriottica”. Dal novembre scorso, per la prima volta dopo 60 anni, è permesso ad un prete cattolico di dirigere un centro sociale a Pyongyang con ferreo divieto, però, di praticare la sua fede. Attualmente sono circa 80.000 quelli che sono internati in campi di concentramento sottoposti a fame, torture e perfino alla morte. Nella Corea del Nord sono ammesse 51 categorie sociali: coloro che praticano una fede non controllata dal regime, sono agli ultimi posti, con meno opportunità di lavoro, non ricevono sussidi alimentari e sono costantemente vittime di violenze più meno brutali.
Nel Vietnam Il regime ha abolito la proprietà privata, tutto è dello Stato, comprese le terre e le case, nonché le chiese, gli ospedali e le scuole prima istituite dai cristiani. La consistente minoranza cristiana, più dell’8 per cento della popolazione, è particolarmente vessata, per motivi religiosi ed etnici (è il caso delle popolazioni Montagnard e Hmong). Negli ultimi mesi del 2008, in particolare, i cattolici sono spiati, denunciati e schedati. Hanno difficoltà insormontabili per ottenere il passaporto. Agli studenti in classe il professore chiede: chi è cattolico alzi la mano. Le conseguenze sono intuibili in un regime totalitario. Una studentessa cattolica del centro universitario del Vietnam dice: “Agli esami siamo obbligati a dire che l’uomo deriva dalla scimmia e che Dio non esiste, se vogliamo essere promossi”. Ai primi di ottobre di quest’anno due francescani sono stati messi in galera perché sorpresi a portare medicinali ad alcuni poveri montanari, sono stati accusati di averlo fatto senza autorizzazione. E’ significativo, per esempio, che nell’aprile scorso ufficiali del governo vietnamita hanno cacciato dalla sua casa il cristiano convertito Sua Yihnh Siong, gli hanno confiscato casa e terreno a motivo delle sue “attività religiose illegali”. Amnesty International ha chiesto che le Nazioni Unite si occupino di quanto sta accadendo in Vietnam, lo visiti il relatore speciale sul diritto di opinione e di espressione. Nel documento si ricostruiscono le vicende relative al complesso della ex delegazione apostolica e del terreno di Thai Ha di Hanoi ed in particolare all’atteggiamento tenuto dal governo di fronte alla richiesta dei cattolici di avere la restituzione dei loro beni, atteggiamento fatto di intimidazioni, violenze, arresti, violazioni della libertà di pensiero e di religione, campagne di stampa, discriminazioni. “Il governo vietnamita – scrive Amnesty, in una nota diffusa a Londra ripresa dall’agenzia Asianews – deve mettere fine a intimidazioni e attacchi contro i cattolici ed assicurare protezione contro le violenze di gruppi sponsorizzati dallo Stato”. Nel suo rapporto, l’organizzazione ricostruisce le vicende che dallo scorso dicembre vedono i fedeli appoggiare con pacifiche veglie di preghiera le richieste dell’arcivescovato di Hanoi e dei redentoristi di Thai Ha. Il rapporto parla anche di “crescenti” intimidazioni contro i cattolici e riferisce di “studenti sempre più timorosi di parlare della loro fede a scuola o nelle università, dove emergono vicende di prevaricazioni ed espulsioni”.
Nel Laos il governo comunista, al potere dal 1975, ha dichiarato espressamente di voler eliminare i cristiani, perché considera il cristianesimo una violazione dei costumi laotiani e una “religione straniera imperialista”. I cristiani sono considerati sovversivi e nemici dello Stato. La persecuzione colpisce in particolare i cristiani dell’etnia Hmong, convertiti da missionari protestanti americani. Il buddismo theravada è l’organizzazione religiosa più importante del paese e dà l’impronta alla vita pubblica, soprattutto delle aree rurali. Non è religione di Stato, ma il governo lo favorisce come elemento caratterizzante della nazione e sempre più di frequente inserisce rituali buddisti nelle manifestazioni statali. Il proselitismo ad opera di altre religioni è fortemente ostacolato. Si registrano casi di forzata abiura dalla fede cristiana, con la prigione per chi rifiuta.
Il Myanmar (ex Birmania) è governato dal 1962 da un regime militare comunista, nonostante la vittoria elettorale nel 1990 del partito democratico d’opposizione guidato da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace. Il buddismo theravada praticato dalla maggioranza della popolazione non è religione di Stato, ma il governo lo controlla e lo favorisce, mentre perseguita le minoranze cristiana e musulmana. Le scuole cattoliche sono state confiscate dallo Stato e i cristiani non possono accedere a ruoli dirigenti. I cristiani appartengono in prevalenza alle popolazioni Chin, Kachin e Karen, tra le quali sono attivi movimenti indipendentisti. Molti sono fuggiti in Thailandia e in India, dove vivono in campi profughi. Nella regione dei Chin le croci sulle montagne, espressive della loro fede, sono state tutte abbattute, spesso sostituite da pagode. I cristiani sono obbligati a versare una tassa annuale per sostenere la religione buddista e, se si convertono, ottengono privilegi: tra l’altro l’esenzione dai lavori forzati a servizio dell’esercito, ai quali sono costretti periodicamente. Le Bibbie sono vietate e così le riunioni all’infuori delle liturgie domenicali, che a loro volta sono spesso disturbate o interrotte. Molti bambini cristiani sono portati lontano dalle famiglie e internati in monasteri buddisti.
Nel secolo scorso, dovunque il partito comunista si è impadronito dello Stato, ha eliminato non solo le persone, ma anche i segni del cristianesimo. Non sono mai stati contati i martiri cristiani nei gulag dell’Unione Sovietica e dei paesi satelliti, quali Ungheria, Romania, Bulgaria, Iugoslavia, Albania, Estonia, Lettonia… Allora si parlava di “Chiesa del Silenzio”. Ora di quei martiri, compresi quelli della guerra di Spagna, per limitarci all’Europa, non osiamo neppure parlare. Io stesso ricordo con commozione, di esser riuscito ad incontrato l’ultimo frate cappuccini a Bucarest durante quella tremenda dittatura atea: si considerava l’unico frate cappuccino superstite nella sua patria. Faceva l’operaio in una fabbrica e viveva in uno scantinato, dove, di nascosto, qualche volta, riusciva ad amministrare i sacramenti e dir messa. Gulag e foibe sono nomi proibiti; sono in voga, invece i nomi di Campi nazisti di sterminio, dove non sono stati massacrati soltanto gli ebrei, ma anche tanti cristiani, come, per esempio, Massimiliano Kolbe e Edith Stein.
Ancora oggi i regimi che s’ispirano a quell’ideologia totalitaria, fanno strage di cristiani. Penso alla Cina, dove i cattolici fedeli al Papa non hanno diritto di esistere e tanti sono in prigione e torturati. Ai vescovi cattolici cinesi non è stato concesso il visto per venire a Roma e partecipare a all’ultimo Sinodo dei Vescovi; solo la chiesa di Stato ha diritto di esistere. Penso a Cuba dove la Costituzione del 1976 ha proclamato, di fatto, l’ateismo di Stato. Le costrizioni della libertà religiosa contribuiscono ad impoverire la presenza dei giovani tra i cattolici e all’allontanamento dai sacramenti e dalla morale cristiana.
L’estremismo induista e buddista
Giovedì, 16 ottobre 2008, nella basilica romana di San Giovanni in Laterano, durante la veglia missionaria, una ragazza indiana ha reso nota una testimonianza drammatica di Padre Tommaso Chellen, 55 anni, direttore del centro pastorale di Konjamendi nello stato indiano di Orissa. Questo sacerdote è uno dei superstiti del tragico attacco degli estremisti indù alla comunità cattolica: aggredito da un numeroso gruppo di indù, hanno picchiato lui ed una suora, con spranghe di ferro, calci e pugni. Poi lo hanno costretto ad assistere allo stupro della religiosa. Rifiutatosi di compiere anche lui lo stesso delitto sulla poveretta già violentata, è stato di nuovo picchiato, deriso, insultato. Il sacerdote ha dichiarato: “L’unico balsamo per le nostre ferite è che siamo stati perseguitati e torturati per Cristo”.
Ultimamente gli estremisti indù hanno bruciato 4.500 case e distrutto 180 chiese a Mosul, da dove 1.560 famiglie sono dovute fuggire per salvarsi la vita. Molti si sono rifugiati nelle foreste o nelle grotte o presso parenti nei paesi vicini. Ma almeno un’ottantina di persone sono state uccise, secondo il Global Council of Indian Christians. Il 15 ottobre scorso sono stati chiusi tre campi profughi di Baliguda e 900 persone sono state mandate via. Sono persone costrette a fuggire dalle loro case perché cristiani, raccolti nei campi profughi, ora espulsi, non sanno dove andare. Il governo ha distribuito soltanto 10 chili di riso per famiglia ma nessuna tenda, nessun vestito, nessuna sicurezza. Come se non bastasse, il governo locale ha impedito ai cristiani del posto di venire loro in aiuto.
In queste condizioni qualcuno, pur di salvare il salvabile, rinnega la fede cristiana e ritorna a quella indù, come è successo, per esempio, ad Amalekt Noyak: gli hanno piazzato un’ascia sul collo e lo hanno costretto a tornare all’induismo. Questi poveri ex cristiani per violenza, una volta tornati alla religione di prima, sono costretti a bruciare la Bibbia e i libri di preghiera, vengono rapati a zero e sottoposti a stretta vigilanza da parte di gruppi indù. Altrimenti succede come a Lalyi Noyak: dopo averlo torturato, gli hanno infilato un coltello nel collo e gli hanno chiesto di abbandonare la sua fede cristiana: ha accennato di no muovendo dolorosamente la testa. Lo hanno finito ed è morto il primo ottobre scorso. Questo accade in Rissa e in almeno altri otto altri Stati indiani retti dal Partito nazionalista indù.
Il 25 agosto scorso una suora indiana – suor Mena Bara dell’Ordine religioso istituito da Madre Teresa di Calcutta – di 29 anni, a Nagano, distretto di Kandhmal, è stata picchiata, denudata e violentata sotto gli occhi della polizia. La giovane suora indiana racconta: “Sono stata violentata e la polizia locale invece di proteggermi ha fraternizzato con gli assalitori. Non voglio essere compatita, voglio un’inchiesta a livello federale. Le forze dell’ordine non mi hanno aiutato, non volevano nemmeno accogliermi nella stazione di polizia, poi hanno fatto di tutto per non farmi sporgere denuncia”. La denuncia è un grande atto di coraggio in quella zona di poveri e di abbandonati. Ma la Corte Suprema indiana, due giorni prima di queste dichiarazioni, aveva negato l’appello della suora che chiedeva un’inchiesta federale.
Le autorità locali, sollecitati a far qualcosa di più, hanno risposto che è impossibile controllare le folle che distruggono case e chiese di cristiani e li uccidono. Per questo motivo il Global Council of indian Christians ha denunciato all’ONU la chiusura dei campi di profughi cristiani ed ha chiesto che i profughi dell’Orissa siano posti sotto la protezione dell’ONU come rifugiati.
Il 12 ottobre scorso il Papa ha proclamato quattro nuovi santi. Una di loro era una giovane ragazza indiana. In Piazza San Pietro c’erano 40.000 persone di ogni parte del mondo, perché gli altri tre erano uno svizzero, un italiano e un’ecuadoriana. Tra le altre cose ha detto: “Chiedo con forza ai responsabili della violenza contro i cristiani di rinunciare a questi atti e di unirsi ai loro fratelli e sorelle per costruire una civiltà dell’amore”.
Il 18 novembre sette funzionari della Commissione nazionale per i diritti umani ha concluso un’indagine sulle violenze contro i cristiani, 10.000 dei quali vivevano ancora nei campi profughi allestiti dal governo. A quella data, le fonti ufficiali comunicavano che erano stati uccisi 38 cristiani, ma un rappresentante del governo locale – in anonimato – stimava che i fondamentalisti indù ne avrebbero uccisi non meno di 500.
Su internet – alla voce Orissa – i dati vengono abitualmente aggiornati. Ma la stampa e gli altri mezzi di informazione italiani, probabilmente lo ignorano.
Il fondamentalismo islamico
Per i cristiani dei Paesi a maggioranza islamica la caccia ai cristiani sembra allargarsi a macchia d’olio, dall’Africa fino all’Afganistan, dalla Turchia al Pakistan. Tutti questi Stati, Filippine comprese, hanno in comune, pur nella diversità di modelli islamici, le discriminazioni verso i cristiani.
In Nigeria dodici delle 36 confederazioni che la compongono, a partire dal 2.000, hanno cominciato ad applicare la legge coranica (sharia), le cui norme civili e penali dovrebbero valere solo per gli islamici. Di fatto i più diffusi atti d’intolleranza e di discriminazione sono rivolti contro praticanti di altre fedi e, soprattutto, contro i cristiani. Essi comprendono: accuse di blasfemia contro l’Islam, in seguito alle quali studenti e insegnanti cristiani sono costretti ad abbandonare la scuola; divieti di costruire edifici di culto e cimiteri; intimidazioni e minacce di morte ai musulmani che si convertono. Giusto un anno fa, l’11 dicembre 2007 un gruppo di studenti musulmani ha incendiato tre chiese e ucciso 10 cristiani. La polizia ha ordinato il segreto sui nomi delle vittime e il seppellimento in una fossa comune.
In Iran, oltre l’islam, sono ammesse le religioni cristiana, ebrea e zoroastriana. La chiesa cattolica armena, caldea e latina può riunire negli edifici sacri i fedeli, ma è proibita ogni espressione di fede fuori di lì. E’ proibita ogni azione missionaria e ogni espressione pubblica, così, assieme alle altre minoranze, i cristiani vivono ghettizzati.
Nel Laos, con un decreto del 2002, si stabilisce che si richiede l’approvazione religiosa per quasi ogni attività. Sistematica la persecuzione contro i cristiani di Hmong. Alla fine del 2007 ne sono stati uccisi tredici. Molti sono fuggiti e sono stati inseguiti dai soldati nei boschi.
In Egitto è diventata legge istituzionale la tradizione che proibiva ai musulmani di diventare cristiani, pena l’emarginazione dalla società civile per apostasia e la condanna a morte. Così, ogni anno circa 5.000 cristiani copti passano alla religione di Maometto, costretti, per lo più, da necessità materiali, per trovare lavoro o avere una casa. Recentemente un prete copto è stato condannato a cinque anni di galera con l’accusa pretestuosa di aver assistito al matrimonio di una donna che aveva il passaporto falso.
In Arabia Saudita alla numerosa comunità cattolica è proibito avere assistenza religiosa dai sacerdoti, pena la perdita della libertà personale o l’espulsione.
In Pakistan nel 2005, una folla inferocita di musulmani ha saccheggiato e bruciato chiese, conventi e ospedali. Accusavano un cristiano di aver offeso Maometto. I cristiani sono considerati stranieri in Mauritania, Guinea, Mali.
In Iraq i cristiani sono costretti a fuggire da Mosul, la città costruita sul grandefiume Eufrate, dove i cristiani erano numerosi. Lo scorso aprile, appena finita la Via Crucis, il vescovo fu arrestato e pochi giorni dopo fu ritrovato cadavere. Sono già fuggite 2.500 famiglie, perché le loro case sono state bruciate e molti sono stati uccisi. I francescani ospitano ed assistono 48 famiglie scappate di casa prima che le fiamme bruciassero tutto. Per le strade di Mosul si possono leggere scritte come queste: “Cristiani, non c’è posto per voi!”, oppure: “Andate via, Mosul è uno stato islamico”. Il padre settantunenne del prof. Bassam Nafe è stato ucciso nel suo negozio e il suo cadavere è stato recuperato in una discarica; anche suo fratello è stato ucciso nel suo negozio di ciclista. I funerali sono stati fatti in tutto segreto per paura di altre uccisioni, ma con tante lacrime che solo Dio conosce. Siras Murafak, tornitore di 26 anni, cristiano e padre di due bambine, prima di fuggire, aveva assistito alla scena avvenuta sull’uscio della casa vicina: alcuni uomini hanno bussato alla porta e si presentano come amici del figlio della mamma che ha aperto la porta. Hanno chiesto di parlargli e, appena è arrivato, gli hanno chiesto i documenti per accertarne l’identità: gli hanno sparato quattro colpi in testa. Murafak ha fatto appena in tempo a prendere in braccio le sue due bambine e scappare insieme alla moglie. Il 12 novembre scorso una banda di sedicenni ha ucciso due sorelle cristiane a Mosul. I giovani estremisti hanno fatto irruzione armata nella casa di una famiglia cristiana e hanno sparato a sangue freddo sulle due figlie – Lamia Sobyi e Walàa – uccidendole. Hanno accoltellato la madre. Il padre e l’altro figlio sono riusciti a fuggire. Poi sull’uscio di casa hanno piazzato una bomba ad orologeria, che è esploso all’arrivo della polizia, uccidendo due poliziotti e ferendone altri.
Il 18 novembre il quotidiano arabo Al-Ittihad ha pubblicato sul suo sito internet una lettera minatoria di un gruppo vicino ad Osama Benladen, nella quale si ordina ai cristiani di lasciare il Paese minacciando pesanti ritorsioni sul modello di quanto è avvenuto a Mosul. E’ un avvertimento finale agli “infedeli cristiani crociati di lasciare, completamente e in maniera definitiva, Bagdad e le altre province irachene e raggiungere Papa Benedetto XVI e i suoi seguaci che hanno calpestato i simboli più grandi dell’umanità e dell’islam”. Il proclama continua: “Da oggi non c’è posto per voi, cristiani infedeli, tra i credenti musulmani in Iraq. Le nostre spade si rivolgeranno su di voi come successo ai cristiani che vivono in Mosul. Allah ce n’è testimone”.
Il Premier iracheno Murlik promette protezione, ma le violenze contro i cristiani continuano, anche da parte delle forze dell’ordine.
In Eritrea, dove il 69 % della popolazione è musulmana, di fatto i cristiani sono perseguitati a cominciare dal maggio 2002. Solo la chiesa ortodossa eritrea, la chiesa cattolica e la luterana sono ancora sopportate. Ai primi di novembre scorso sono stati catturati 65 evangelici, fra cui 14 donne. Sono stati presi dalle loro case o dai loro posti di lavoro e deportati in un campo militare di lavoro in località Mitire, costruito dal governo eritreo specificatamente per prigionieri religiosi. Il campo di concentramento è situato nel nord est dell’Eritrea dove il caldo è soffocante per tutto l’anno. Almeno 2.000 cristiani eritrei si trovano rinchiusi in prigioni locali o in campi militari come quello di Mitire. Alcuni sono stati rinchiusi in carceri sotterranei in container per costringerli a rinnegare la loro fede. A fine novembre u.s. sono stati espulsi due sacerdoti ed una suora italiani. Fino ad ora il governo italiano non ha fatto nessun passo efficace per avere almeno una spiegazione da quello eritreo per la sistematica espulsione di tutti i missionari italiani.
E si potrebbe continuare.
Questi martiri del nostro tempo perseverano nella loro fede a costo della perdita dei beni materiali, della libertà e della vita. Se siamo doverosamente sensibili ai sequestri di persona, se manifestiamo contro la pena di morte e siamo gelosi custodi dei diritti umani fondamentali, dovremmo sostenere questi nostri fratelli cristiani almeno con il nostro interessamento di credenti in Cristo.
Si poterebbe continuare a lungo. I dati aggiornati al momento della lettura di questa rivista, potrebbero comunicare eventuali iniziative internazionali o altre nazionali per sensibilizzare, almeno, l’opinione pubblica.
ALCUNE INIZIATIVE Mi limito ad accennare a qualche iniziativa pubblica in Italia.
1. Venerdì 31 ottobre pioveva a Roma alle ore 18 ed era una sera buia, umida e triste. Un gruppetto di persone infreddolite e con l’ombrello in una mano e una fiaccola nell’altra, si era formato dalla parte opposta della strada trafficatissima a quell’ora, davanti all’ambasciata dell’India in Via XX settembre. Su uno striscione appeso alla meglio sulle colonnine che limitano il marciapiede, (su cui spiccava il simbolo della Fiamma Tricolore), si leggeva: “Fermiamo il massacro dei cristiani in India”. Sapevi di questo massacro? Istintivamente anch’io ho preso in mano una fiaccola. Ho saputo che fra loro c’era un onorevole, Luca Romagnoli, che aveva inoltrato una “Interrogazione urgente a Sarkoszy e Barroso per sanzioni in India”. L’interrogante, rivolgendosi ai responsabili massimi della Ue, dopo aver affermato che “Il governo di Nuova Delhi risulta essere incapace o non intende garantire i diritti delle minoranze religiose ed in particolare della comunità cristiana”, chiede quali iniziative il Consiglio/La Commissione intende intraprendere per porre fine a tale situazione, perché l’Europa deve levare alta e forte la propria voce, magari minacciando o predisponendo sanzioni o almeno adottando passi ineccepibili e annunciando sanzioni”.
2. Numerosi parlamentari del Partito democratico – tra i quali Franceschini, Castagnetti, Sarubbi, Rutelli, Bobba Paola Bonetti e Veltroni – in segno di solidarietà con i cristiani perseguitati, hanno promosso un incontro nella chiesa di San Gregorio al Celio con lettura di testi, lettere e testimonianze di cristiani perseguitati in diverse parti del mondo, specie in India. Accanto a quella chiesa operano le suore di Madre Teresa di Calcutta, oggetto anche esse, in India, di incendi di case e di opere di beneficenza per i poveri tra i più poveri.
In precedenza, il 14 ottobre, Pierluigi Castagnetti aveva rivolto un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Affari Esteri, in questi termini:
“ Per sapere – premesso che: già in passato la comunità cristiana irachena è stata oggetto di violenti e sanguinosi attacchi, culminati con il rapimento e l’uccisione dell’arcivescovo caldeo Faraj Rahho. E’ di questi giorni la notizia di una recrudescenza di attacchi e vittime nella comunità cristiana di Mosul, nel nord dell’Iraq; alcune fonti parlano di cinque morti, altre, vicine alla comunità cristiana, riferiscono di almeno undici vittime e di numerose famiglie minacciate. Nel mirino ci sono anche le chiese. I parroci locali hanno vissuto lo scorso Natale sotto continua minaccia. A questo si aggiungono le difficoltà materiali: insicurezza nelle strade, mancanza di elettricità, carburante e il freddo da cui non si riesce a trovare scampo;
secondo l’agenzia Aswat al Iraq sarebbero circa trecento le famiglie di sfollati negli ultimi giorni. Molti cercano rifugio oltre le frontiere giordane, siriache e turche, cogliendo le autorità del posto impreparate in mancanza di un adeguato piano di accoglienza, assottigliando sempre di più una comunità che prima della guerra contava 800 mila fedeli e che ora ammonta a meno di 500 mila. In particolare a Mosul prima del conflitto vivevano fra gli 80/mila e i 90/mila cristiani, adesso notevolmente ridottisi nel numero;
le autorità locali hanno assicurato la loro protezione a cose e persone, ma le pesanti intimidazioni proseguono e sono stati rinvenuti dei volantini con minacce esplicite di morte;
quali iniziative il Governo abbia già assunto o intenda assumere nei rapporti bilaterali e in campo comunitario e internazionale, perché in Iraq vengano rispettati i fondamentali diritti delle comunità cristiane, fra le più antiche della zona, risalenti alla predicazione dell’apostolo Tommaso, e perché cessino definitivamente gli attacchi ai fedeli e perché gli stessi possano liberamente professare la propria fede.
3. Sia il Senato che la Camera della Repubblica Italiana hanno votato all’unanimità una condanna di questi fatti. Al Senato – il 30 ottobre – il documento unitario, primo firmatario Maurizio Gasparri, firmato da tutti i gruppi parlamentari, dice, fra l’altro: “Il Senato impegna il governo ad adoperarsi in tutte le sedi comunitarie ed internazionali, nonché nell’ambito dei rapporti bilaterali, affinché vengano garantiti i diritti fondamentali della persona e le libertà religiose e venga posto fine alle violenze e alle persecuzioni alimentate dal fondamentalismo etnico e religioso in ciascun Paese o area di crisi mondiale; ad assumere in particolare iniziative volte a contrastare le persecuzioni delle comunità cristiane in India, in Iraq ed in altri Paesi da parte di gruppi fondamentalisti ed estremisti; a promuovere il rafforzamento del ruolo internazionale dell’Ue quale modello culturale, sociale e istituzionale di riferimento per la tutela e la promozione su scala mondiale dei diritti umani e della pace; di considerare il dramma delle persecuzioni come prioritario nell’ambito delle relazioni bilaterali ed internazionali”. Giusto un mese dopo – il 10 novembre – la Camera dei Deputati, in una mozione unitaria firmata e votata all’unanimità, come al Senato ha impegnato il governo ad intervenire direttamente sul governo indiano affinché sia fatta chiarezza e siano individuati i responsabili che invocano pulizie etnico-religiose in India, ma anche perché siano presi seri provvedimenti nei confronti dei responsabili della Polizia e dei governi locali che hanno sottovalutato o peggio ignorato i fatti sopraesposti”. Le mozioni chiedono ancora che vengano prese misure efficaci per tutelare i cattolici e siano risarciti i danni materiali subiti dalle comunità religiose oggetto di atti vandalici e di incendi e siano assicurati alla giustizia gli autori delle violenze. C’è poi un particolare importante in queste mozioni. Si dice, infatti: ci si deve attivare, di concerto con i partner Ue, affinché venga squarciato il velo di silenzio intorno a questa vicenda per fare in modo che la comunità internazionale, anche attraverso risoluzioni delle Nazioni Unite, intervenga repentinamente”.
Perché il velo di silenzio?
Ecco, “il velo di silenzio”. Perché? Puoi ipotizzare una risposta? Dopo queste iniziative cosa è successo? L’opinione pubblica è stata sensibilizzata dai mezzi di comunicazione di massa?
A leggere i giornali di questi giorni, a seguire la tv e la Radio a me sembra proprio di no. Siamo tutti troppo impegnati sulla piazza per altre cose della nostra “bottega”, colorando tutto con la politica più che con l’interesse reale del Paese in cui viviamo, mentre altri, da altri uomini, sono privati dei loro diritti più elementari e, a volte, anche della vita.
I primi cristiani vennero perseguitati perché accusati – come scrive Tertulliano – di occulta facinora (ucciderei bambini e mangiarne la carne, unioni incestuose) e di manifestiora crimina, (rifiuto di sacrificare agli dei e di adorare l’imperatore come dio). Roba ormai archiviata. Oggi l’accusa, in genere è di stampo politico. Si afferma che il cristianesimo è una religione straniera, i cristiani fanno proselitismo, la religione è l’oppio dei popoli. Fra i motivi ricorrenti c’è sempre il desiderio di impossessarsi dei beni materiali degli altri. Così successe, per esempio, con le leggi Siccardi dello Stato risorgimentale piemontese e poi italiano. Furono soppressi tutti gli Istituti religiosi e loro beni incamerati. Così fu possibile pareggiare il bilancio di uno Stato sorto in un modo che oggi noi siamo capaci di giudicare con occhio ben diversi dalla strombettata retorica risorgimentale.
Si potrebbe chiedere una maggiore sensibilizzazione da parte dei mezzi di comunicazione sulla situazione dei cristiani nel mondo per riaffermare la difesa del rispetto dei diritti umani; ribadire il principio della reciprocità nel rapporto tra Stati; non affievolire la lotta al terrorismo. Credo che la diplomazia dovrebbe agire concretamente, senza far prevalere ragioni politiche, economiche su quelle del diritto, della reciprocità e della libertà.
Ma è sempre così, per i cristiani. Cominciò con Erode e il Bambino. Finirà con la resurrezione e la gloria di chi è stato vincitore nella vita, anche se apparentemente è sembrato che sia stato uno sconfitto.
Così è successo a Cristo, che ha detto: “Beati voi quando vi perseguiteranno per causa mia… Non abbiate paura: io ho vinto!”