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Intervista al Prof. Marco Tarchi sul Leader di “Forza Italia”

Berlusconi è su una brutta china Il centrodestra era appiccicato già nel lontano 1994 

 Intervista di Goffredo PISTELLI – pubblicata sul Quotidiano “ITALIA OGGI” del 24.6.2014

Classe 1952, romano di nascita ma fiorentino d’adozione, MARCO TARCHI è professore di scienza della politica all’Università di Firenze, nella blasonata facoltà dedicata a Cesare Alfieri di Sostegno. Le ricerche di Tarchi, negli ultimi anni, hanno si sono incentrate spesso sul tema del populismo in Italia, componente che è sempre più presente in questo convulsa crisi del centrodestra italiano.

Domanda

Professore Tarchi, dopo la Caporetto delle europee, dalla quale si è salvata solo la Lega, il centrodestra non sa da dover ripartire. C’è, innanzitutto un problema Silvio Berlusconi, la cui successione potrebbe essere accelerata, nei prossimi giorni, da ulteriori problemi giudiziari. Ci potrà essere un passaggio, in quel partito, coi nuovi colonnelli capitanati da Raffaele Fitto, con qualcuno che ne porta il cognome oppure dopo di lui il diluvio?

Risposta. I problemi che hanno portato a questa impasse non datano da ieri e le vicende giudiziarie di B. li hanno solo aggravati. Fin dal 1994, le varie componenti «storiche» del centrodestra hanno giocato una sola carta, quella dell’opportunismo. Si sono affrettate a raccogliere i cocci e l’eredità elettorale dei partiti di centro distrutti da Tangentopoli e hanno puntato esclusivamente sull’opposizione umorale alla sinistra di un ampio settore dell’opinione pubblica. Al di là di queste scelte di contingenza, non hanno elaborato nessun progetto, nessuna strategia. Si sono limitati a slogan (la «rivoluzione liberale»), al marketing, a qualche spruzzata di populismo o, come nel caso di Alleanza nazionale, ad un frettoloso restyling.

D. Con quali conseguenze?

R. Come tutto ciò abbia pesato sui limiti della loro azione di governo, è sotto gli occhi di tutti. All’insufficienza politica rimediava, almeno in parte, la capacità comunicativa del leader, ma quando si trattava di discutere di programmi e linee di azione ognuno andava per conto suo. Le vicende di Pierferdinando Casini e di Gianfranco Fini sono indicative. Gli innegabili benefici del (sotto)governo, di cui sono prova le innumerevoli vicende corruttive o di malversazione di fondi in cui sono rimasti invischiati esponenti di Forza Italia, An, Pdl e Lega, non sono bastati a compattare a lunga scadenza la coalizione. Dopo oltre due anni passati fuori dal governo, il processo di disgregazione è in pieno sviluppo. Che per bloccarlo si pensi a una successione familiare per sfruttare ciò che resta della presa del cognome del Capo, la dice lunga.

D. C’è chi però è uscito da destra e per tempo. Penso a Fratelli d’Italia…

R. Anche chi ha preso la via della scissione o ha cercato di ricompattare i resti dell’ambiente postfascista non ha saputo, fin qui, costruire un’immagine originale e convincente.

D. E poi c’è il tentativo di Fitto, si diceva.

R. Si possono capire le ambizioni di Fitto e le richieste di altri dirigenti ex-Pdl, ma l’eterogeneità dell’attuale Forza Italia non fornisce alcuna garanzia di ripresa, anche sotto una leadership rinnovata. Il vero rischio, per quella parte politica, è che si diffonda lo stato d’animo del «si salvi chi può». E finché Matteo Renzi conserverà l’attuale capacità di attrazione di molti «moderati», è un rischio tangibile.

D. Una soluzione potrebbe essere il Papa straniero. Corrado Passera, per esempio, ne è convinto ed è pronto a lanciare un’opa più o meno ostile. A vent’anni dall’arrivo di Forza Italia, il futuro sarebbe Italia Unica?

R. Sulla base dell’esperienza, sono scettico sulla presa che un personaggio dal profilo tecnocratico, quali che ne siano le qualità personali, può esercitare sul grosso dell’elettorato potenziale che si considera di centrodestra o di destra.

D. Si riferisce a Mario Monti?

R. Sì, Monti, che sperava di reclutare lì una cospicua dote di consensi, ha fallito il bersaglio e non mi pare che la ventilata discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo avesse suscitato entusiasmi in quei paraggi. Quel pubblico preferisce, se non proprio i demagoghi, i soggetti che puntano sul dare l’impressione di essere «come loro», alla mano, vicini ai gusti dell’uomo comune; non va in cerca di esperti e «capaci». Quella era una tendenza degli elettori della destra borghese degli anni dai Cinquanta ai Settanta; poi è venuta, grazie soprattutto ai media, l’era del «nazional-popolare». Berlusconi ha saputo calarsi bene nella parte. Passera mi pare inadatto a recitare quel copione, almeno a livello di base. Se possa catturare una parte di «quadri» non so; ma, dato il loro livello medio, cosa se ne farebbe?

D. C’è chi pensa invece che possa essere Beppe Grillo a raccogliere il consenso della parte moderata dell’elettorato italiano. L’accordo con Nigel Farage servirebbe unicamente a questo.

R. La questione è più complicata. Grillo svolge un discorso politico, populista a pieni carati, che ha tutte, o quasi, le caratteristiche per piacere a gran parte dei delusi del centrodestra (e non solo a loro, va da sé), ma ha alcuni handicap, per ora, primo dei quali_ il suo movimento. O meglio: l’immagine che gran parte degli eletti del M5S stanno dando delle proprie intenzioni e convinzioni.

D. Vale a dire, professore?

R. Già la mistica della Rete non ha certo di che incantare chi, magari per mancanza di meglio, ha votato una o più volte FI, An o Pdl (la Lega è un discorso a parte); figuriamoci poi quando ci si imbatte in atteggiamenti, come è stato scritto, da «sinistra 2.0»_ Come i casi di Parma, delle elezioni legislative e di Livorno, fra gli altri, hanno dimostrato, molti critici dell’establishment non collocati a sinistra non faticano a votare Cinque Stelle, ma non lo fanno certo perché apprezzano gli emendamenti per abolire il reato di immigrazione clandestina o i baci fra deputati dello stesso sesso per celebrare certi provvedimenti in materia di «diritti civili». Lo fanno perché a loro piace quel che Grillo dice.

D. Ma poi, c’è l’accordo con Ukip e Farage…

R. Non so se l’accordo, piuttosto naturale, con Farage serva a spostare l’immagine del movimento in una posizione più accettabile per questa fetta di elettorato, ma credo che Grillo e Casaleggio, e forse una parte dei loro eletti, una domanda se la dovrebbero porre con urgenza, qualora ancora non se la siano posta: qual è la porzione di spazio di competizione libera, in epoca di Renzi trionfante? Dove si colloca? A sinistra o a destra, volendo schematizzare?

D. Lei cosa vede, professor Tarchi?

R. A me pare che il populismo di Grillo, pur mettendo in conto di dover pagare un prezzo, e senza cedere di un metro sulla volontà di oltrepassare lo spartiacque sinistra/destra, oggi possa mietere molti più consensi nella prateria devastata e aperta a tutti i venti del centrodestra che non nella fortezza difesa dall’attuale presidente del Consiglio.

D. Altra ipotesi di leadership a destra è la rinata Lega di Matteo Salvini che, forse non è un caso, ha smesso di parlare d’euro e s’avventura persino sul terreno delle riforme.

R. Per adesso, Salvini pare abile e_ molto populista nello stile, nei programmi e nella mentalità. Il che gli ha senz’altro permesso di recuperare votanti che nel 2013 gli avevano preferito Grillo. Ma in un progetto di «leadership a destra» vedo due pietre d’inciampo.

D. Quali?

R. Da un lato, non so se riaccostandosi a Forza Italia e a tutte le sue beghe e, addirittura, al Ncd, da cui la separa un abisso di immagine, la Lega non rischierebbe un ritorno sull’Aventino di quella parte del suo elettorato che solo la svolta dell’anti-euro aveva fatto tornare all’ovile. Dall’altra, se davvero un leghista (Flavio Tosi, più che Salvini) conquistasse la guida della coalizione, dubito che una parte non piccola dei votanti berlusconiani, vale a dire i più moderati, i più nazionalisti, preferirebbe il centrodestra a Renzi. Crescerebbero ulteriormente le astensioni, immagino.

D. Alcuni osservatori sono invece convinti che la risposta al moderatismo italiano sia, oggi, nella leadership del Pd, vale a dire in Renzi. E molti elettori, non milioni ma centinaia di migliaia secondo i flussi, lo avrebbero già fatto alle europee. Secondo questa ipotesi, infatti sarebbe prossima e inevitabile la nascita di un nuovo soggetto alla sinistra del Pd, capace di aggregare pezzi di sinistra storica e il frastagliato universo di quella radicale.

R. Che il progetto di ricompattamento ci sia, lo dimostra la nascita della lista Tsipras. E mi pare logico, vista la deriva centrista del Pd. Penso però che la percentuale record raggiunta alle europee, dopo le tante batoste, abbia convertito almeno provvisoriamente molti elettori pur di sinistra o perfino ex comunisti del partito, al «voto utile». E se passerà la proposta – a mio avviso obbrobriosa – di legge elettorale proposta dal duo Renzi/Berlusconi, a maggior ragione. Quanto ai «renziani destrorsi», ci sono, eccome. Et pour cause_

Articolo del Quotidiano Italia Oggi