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L’ Inesistenza di un “Bon Ton Istituzionale”

Gli utili idioti e i maleducati istituzionali

Il referendum, per definizione, non ammette interpretazioni, né distinguo o mediazioni politiche. Ci sono solo due opzioni: Si oppure NO. E’ uno solo il segno che prevale in senso assoluto, ma c’è un terzo incomodo “l’astensionismo” che si comporta come il monello che ruba il pallone ed invalida la partita. Di fronte al risultato del referendum del 17 aprile la domanda più ricorrente, ma francamente oziosa, è quella relativa a chi abbia vinto e chi abbia perso dato che il terzo incomodo, senza la minima formulazione di un pensiero politico, ma anzi dimostrando disinteresse e addirittura astio verso il fair play di una partita onesta gli ha tolto ogni validità.

Le cifre ormai sono consolidate: elettori 50 milioni 875 mila (compresi i 3 milioni 951 mila italiani all’estero che valgono per intero sul quorum, ma il cui tasso di partecipazione al voto, storicamente esiguo, non è andato oltre il 19,8% di gran lunga al di sotto della media metropolitana); votanti 15 milioni 806 mila (cioè 31,2% del corpo elettorale); voto SI 13 milioni 334 mila (85,8% dei votanti, cioè 26,20% del corpo elettorale); voto NO 2 milioni 198 mila (14,2% dei votanti, cioè 4,32% del corpo elettorale). Dunque i SI hanno stravinto rispetto ai NO in modo schiacciante, ma il risultato è stato reso nullo dalla disposizione costituzionale del quorum che ha indotto i pasdaran del partito democratico, fautore del non voto, a cantare vittoria.

Chi si limitasse ad accettare come risposta alla domanda di cui sopra il peso dell’astensionismo preponderante rispetto ai Si e ai No, senza capire il significato dei numeri stessi e le conseguenze del voto sbaglierebbe di grosso. Il partito democratico è la stessa formazione politica che ha imposto a colpi di fiducia ad un parlamento succube la nuova legge elettorale italicum e la riforma costituzionale. Se per ipotesi l’esito del voto referendario fosse replicato in occasione delle elezioni politiche il partito che rappresentasse solo il 26,20% del corpo elettorale prenderebbe tutto.

Il PD, per bocca del suo Segretario politico che, grazie al colpo di palazzo del grande vecchio, è anche Presidente del Consiglio, aveva invitato all’astensione rammentando che la sua forza era data dal 40,81% dei voti espressi, ottenuti alle elezioni europee del 2014 (pari al 21,95% del corpo elettorale). Lo stesso personaggio, gaffeur seriale in Italia e all’estero, ad urne appena chiuse, quando è stata annunciata la proiezione della mancanza del quorum, è intervenuto in TV per irridere i promotori del referendum (9 Consigli regionali, di cui 7 targati PD) e indirettamente anche le massime autorità della Repubblica a lui sovraordinate come il Capo dello Stato, il Presidente del Senato e la Presidente della Camera, che, disattendendo il suo invito, avevano invece regolarmente votato nonché il Presidente della Corte Costituzionale che gli aveva ricordato invano, come si fa con un alunno svogliato e ripetente, che il voto è dovere civico del buon cittadino, come sancito dalla Carta costituzionale.

Dunque Renzi si è presentato esibendo uno sfottente “30 a 70”, e, inanellando una serie di bugie come lo sventato licenziamento di 11.ooo maestranze del settore, ha invitato a brindare per questi posti “salvati” che nessuno aveva minacciato. Al netto delle menzogne e delle gaffes è lecito accettare supinamente che da solo si intesti la proprietà del non voto di tutti gli italiani che hanno deciso di restare a casa? No non è lecito, perché l’astensionismo, sempre più diffuso (il quorum non è stato raggiunto in 6 degli ultimi 7 referendum) anche negli altri tipi di elezioni, è una grave malattia, sintomo che il popolo è rassegnato, non è informato o meglio è disinformato da un servizio pubblico sdraiato a stuoino e da una macchina lobbistica di prim’ordine che ha tutto l’interesse a poter continuare i propri affari unti e maleodoranti.

Vediamo di capire meglio chi siano questi astenuti, i campioni del non voto che non hanno avuto il coraggio di schierarsi, come gli angeli ignavi. Dietro ogni parola, anche di tipo comune, si può nascondere una storia ricca di spiegazioni. Non fa eccezione a questa regola il termine “idiota”, dalla radice greca “idiótes” che stava ad indicare il cittadino incompetente, non all’altezza di rivestire alcuna carica politica, cioè senza alcun peso pubblico nella società, perché concentrato esclusivamente sulla sua piccola proprietà che fosse un campo o un gregge o una botteguccia, indifferente a quello che gli accadeva intorno e che non si rendeva utile alla polis.

Come accaduto per tante migliaia di vocaboli, questo termine entrò nella lingua latina, mantenendo su per giù lo stesso significato. Dal latino all’italiano di Dante del XIV secolo il passo fu breve ed all’originaria accezione di incompetenza e di disinteresse pubblico si aggiunse quella di incapacità di ragionare e di ignoranza. Quindi da una dimensione tipicamente socio-politica, l’idiota divenne in italiano una un difetto del tutto personale. Ma nel Novecento il termine rientrò a far parte della categoria politica con l’espressione, coniata da Stalin, e divenuta proverbiale, “dell’utile idiota”, attribuita a quanti per ingenuità finivano per fare gli interessi del Partito comunista, pur non essendone militanti. Da allora è stato identificato come idiota chiunque agisce a vantaggio di altri non per altruismo o per generosità e nemmeno per vedersi riconosciuto un merito, ma solamente per disinteresse o per mancanza di informazione.  Dunque i tanti italiani rimasti a casa che non abbiano sentito il dovere civico del voto e non abbiano avuto il coraggio di esprimerlo sono stati tanti utili idioti, inconsapevoli di esserlo.

L’ironia della sorte ha però voluto giocare loro subito un tiro mancino prendendo a caso la Liguria, regione che pur avendo promosso il referendum non si è particolarmente distinta per affluenza. Quasi in contemporanea con la chiusura delle urne un grave sversamento di migliaia di quintali di petrolio è finito nel fiume Polcevera facendo prendere cognizione agli abitanti del pericolo connesso con gli idrocarburi. Come dire che serve la disgrazia perché la gente capisca ed abbia la percezione della gravità della situazione come è accaduto in Basilicata unica regione d’Italia ad aver raggiunto il quorum.

Ciò che è intollerabile è che il primo ministro, segretario del partito di maggioranza, inviti il popolo a disertare le urne addirittura in violazione di una norma di legge che impedisce al pubblico ufficiale l’induzione al non voto. Ed è altrettanto grave che un ex capo dello Stato non solo si esprima in una contesa di questa portata ma che addirittura anch’egli abbia condizionato con il linguaggio (ha definito il referendum pretestuoso) e con l’esempio tanti elettori, ridotti appunto al rango di idioti.

Sul perché di tale atteggiamento del premier e del presidente emerito si incrocia la strada dell’interesse dei petrolieri, con in testa l’Eni, concessionaria in Italia della maggioranza delle piattaforme estrattive attive entro le 12 miglia marine, che secondo una stima dell’Istituto Ispi, in caso di vittoria del ”sì” avrebbero perso circa 3 miliardi di euro. Ma ci sono altri due fatti, uno recente ed uno di vecchia data che testimoniano dell’alleanza tra il potere pubblico di questi personaggi e gli ambienti dei petrolieri.

Renzi, dopo che è scoppiato lo scandalo Guidi-Gemelli con il famoso emendamento pro petroli espunto dalla Commissione Ambiente e reintrodotto nottetempo in aula con il voto di fiducia nella legge di stabilità, ha rivendicato, nonostante le dimissioni del ministro Guidi, la paternità dell’emendamento. Quanto all’ex capo dello Stato, già ex ministro degli esteri del Partito comunista italiano, va ricordato che fece una precisa scelta di campo pro Eni fin dai tempi di Mattei e delle successive mediazioni per l’importazione di gas dall’Unione Sovietica. Insomma agli utili idioti a favore dei petrolieri, dei concessionari e degli evasori di royalties, si è aggiunta una gigantesca manifestazione di maleducazione istituzionale. Renzi stesso ha ammesso di non annoverare il governo tra i vincitori del referendum. Ha avuto pienamente ragione perché hanno vinto solo gli idioti e i maleducati istituzionali.

Torquato Cardilli