La libertà di coscienza
Il diritto alla libertà di coscienza non si identifica con la libertà religiosa. Nella dichiarazione conciliare, libertà religiosa vuole dire più della libertà di aderire ad una religione, trattandosi infatti di tutti gli atteggiamenti di fronte al fatto religioso. La libertà è garantita in tutte le situazioni: sia che si agisca secondo la propria coscienza o contro di essa; sia che si voglia agire religiosamente, irreligiosamente o anti-religiosamente; sia che si adotti in materia religiosa un atteggiamento esattamente convinto, totalmente disgustato o caratterizzato da cattiva fede. Per disonesti diversi atteggiamenti, si dice che essi debbano poter esistere nella vita civile e sociale, senza che il cittadino sia, sotto questo aspetto, oggetto di costrizione.
Il campo religioso è un settore in cui dei terzi (individuo, gruppi sociali, o autorità civili) non possono sottomettere l’uomo ad alcuna violenza, né di ordine fisico, né di ordine morale. Il terreno religioso è un terreno riservato. Su questo piano sacrosanto dell’opinione “pro o contro”, bisogna che l’uomo possa essere se stesso. Occorre che in questa materia possa prendere una decisione, senza temere, a motivo di questa scelta, di vedersi addossare da altri ogni sorta di difficoltà. A questo livello supremo, nessuna istanza umana può forzarlo ad agire contro la propria decisione personale, la propria convinzione e le proprie preferenze, salvo il caso che egli usurpi il diritto degli altri.
Nelle relazioni sociali e civili, la religione deve essere considerata come un affare personale.
Il Concilio ritiene che la costrizione in tale materia sia un’offesa alla dignità della persona umana. Ecco perché la dichiarazione afferma che l’uomo ha diritto alla libertà religiosa nella vita sociale e civica. Essa esprime anche il voto che il potere legislativo confermi questo diritto nella Costituzione, affinché abbia così (per esempio di fronte ai tribunali) forza di legge, secondo la legislazione civile.
Ma dopo questa dichiarazione del Concilio in materia di libertà religiosa, dissente costantemente ripetere che la religione è un affare assolutamente libero. Può dunque l’uomo decidere a piacere di vivere religiosamente o senza religione? Si può affermare che vi sia libera scelta tra le diverse religioni? Che non ci sia da seguire se non le proprie inclinazioni o preferenze?
Simile concezione della libertà religiosa si rivela immediatamente inammissibile per chiunque si renda conto del ruolo che la coscienza deve rappresentare nella vita del’uomo. Non si può invocare la propria libertà di coscienza in favore di un simile arbitrio nelle proprie relazioni con Dio. Ogni uomo deve, con tutta l’obiettività e con tutta l’attenzione voluta, esaminare ciò che la sua coscienza gli rivela e gli prescrive.
“Perciò – dice il Concilio – ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza” (Dichiarazione sulla libertà religiosa 3). L’ uomo deve cercare obbiettivamente ciò che Dimesso vuole, se Dio impone una forma determinata di religione. E poi deve praticare coscienziosamente ciò che, dopo matura riflessione, gli sembra l’atteggiamento religioso che s’impone.
La libertà religiosa concerne dunque un caso molto speciale. Nessuno può decidere a proprio arbitrio del proprio atteggiamento nei riguardi di Dio. Se non compie il proprio dovere, non perde per questo il diritto (negativo) di non vedersi, in questo campo, brutalmente importunato dagli altri. Per comprendere questa particolare disposizione, si pensi ball’indipendenza acquisita nella ricerca scientifica o nel campo artistico. Dei terzi o delle amministrazioni pubbliche sono forse competenti per decidere in qual modo occorra realizzare invenzioni o fare opere d’arte? Sono sfere che possiedono leggi proprie. Lo stesso è, ad un livello superiore, della religione.
È essenziale alla religione che la si possa praticare liberamente e senza costrizione. Che uno voglia, dopo ciò, solo o con altri, a titolo privato o in pubblico, agire in materia religiosa secondo le proprie preferenze, i suoi simili non possono impedirgli di fare come vuole. È evidente che nel’uso di questo diritto occorre tener conto degli altrui diritti, della pubblica moralità, della coscienza pacifica dei cittadini, in breve del’ordine pubblico.
Il Concilio descrive la cosa come segue: “Nel’esercizio di tutte le libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nel’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto impropri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità.
“Inoltre poiché la società civile ha il diritto alla protezione contro i disordini che si possono verificare sotto il pretesto della legge libertà religiosa, spetta soprattutto alla potestà civile prestare una tale protezione; ciò però deve compiersi non in modo arbitrario o favorendo iniquamente un determinato partito, ma secondo norme giuridiche, conforme al’ordine morale obbiettivo: norme giuridiche postulate dal’efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica composizione a vantaggio di tutti i cittadini, e da una sufficiente tutela di quella onesta pace pubblica che é un’ordinata convivenza nella vera giustizia e dalla debita custodia della pubblica moralità.
Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico. Del resto, nella società va rispettata la norma, secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando è in quanto è necessario” (Dichiarazione sulla libertà religiosa,7).
Sac. Walter TROVATO – Presidente Istituto San Benedetto per l’Europa