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La transazione fiscale: obbligatoria o facoltativa?

Crisi, debito… Debito, crisi.

Negli ultimi tempi la parola debito è costantemente utilizzata nel linguaggio comune sempre più spesso per indicare situazioni reali e non per rifarci ad ipotesi. Anche nell’ambito tributario il termine debito è diventato di uso frequente, per questo si sente parlare di debito tributario. Ma cos’è il debito tributario?

Per definizione i debiti tributari sono quelle passività per imposte certe e di ammontare determinato, come ad esempio i debiti per imposte dirette e per l’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), dovute in base a dichiarazioni o ad accertamenti e contenziosi divenuti definitivi o ad iscrizioni a ruolo notificate e non impugnate. I debiti tributari vanno saldati di norma entro l’esercizio successivo e vanno corrisposti direttamente allo Stato. Per questo la difficoltà di districarsi tra documentazioni, richieste formali e uffici di competenza può diventare un ostacolo che sembra insormontabile.

Si è cercato di trovare una soluzione ed è stato creato un nuovo istituto la transazione fiscale, che costituisce una deroga al principio generale di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario da parte dell’Amministrazione finanziaria, consentendo all’impresa che versa in uno stato di crisi di concordare con l’Erario, alle condizioni e  nel rispetto dei limiti imposti dalla legge, una vera e propria operazione finanziaria  di ristrutturazione dei debiti fiscali, sia privilegiati che chirografari, attraverso la fissazione di nuove scadenze più dilatate nel tempo oppure, nei casi di crisi finanziaria più grave, mediante una decurtazione  del loro ammontare. La transazione rappresenta, dunque, uno strumento giuridico che concorre a rendere possibile la conservazione dell’impresa qualora vi siano concrete possibilità di un suo risanamento. Il legislatore, con l’introduzione della transazione fiscale ha cercato di allinearsi agli altri Stati membri dell’Unione europea e di introdurre una nuova disciplina concorsuale per la regolamentazione dell’insolvenza, che semplifichi le procedure attualmente esistenti e sopperisca in modo agile e spedito alla conservazione dell’impresa e alla tutela dei creditori, ove possibile conservando i mezzi organizzativi dell’impresa.

L’istituto della transazione fiscale è disciplinato dall’articolo 182-ter della Legge Fallimentare, come modificato dall’articolo 16, comma 5, del D.Lgs. n. 169 del 2007 e da ultimo dall’art. 32 d. lgs 185/2008.
La collocazione di tale istituto nel corpo della L.F., al titolo III, capo V, è avvenuta in forza dell’articolo 146 del D.Lgs. n. 5 del 2006, che ha introdotto l’istituto nell’ordinamento giuridico in attuazione della delega prevista dall’art. 1 comma 5 della L 80/2005 fornita al Governo per adottare uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali previste dalla Legge Fallimentare. Rifacendoci all’art. 182 della Legge Fallimentare si può affermare che l’istituto della Transazione fiscale, quindi, consente al piano concordatario di prevedere il pagamento parziale o solo dilazionato del debito tributario, insomma “un concordato nel concordato”.

Fin qui tutto bene, ma…

Questo istituto presenta delle criticità, una delle principali, che negli ultimi tempi è stata oggetto di un attento esame da parte dei Tribunali e, da ultimo, anche della Suprema Corte di cassazione, è rappresentata dalla delicata questione del carattere obbligatorio o facoltativo del ricorso alla transazione fiscale nei casi in cui  l’impresa in crisi proponga, in sede di concordato preventivo, la falcidia e/o la  dilazione dei debiti fiscali.

Mentre l’indisponibilità della pretesa tributaria farebbe propendere per ritenere che la transazione fiscale con l’Erario costituisca un passaggio fondamentale ed imprescindibile della proposta di cui all’art. 160 l. fall.  la ratio sottesa all’art. 182-ter l. fall.  porti ad ipotizzare la non obbligatorietà di tale procedura.

In questo articolo non si vuol prendere una posizione a favore o contro una delle due tesi, ma solo illustrarle con i relativi motivi; è doveroso osservare come il principio di indisponibilità della pretesa tributaria trovi applicazione esclusivamente quando si opera al di fuori delle regole del concorso e non anche laddove invece, al pari del concordato preventivo liquidatorio, venga meno il criterio di adempimento cronologico delle obbligazioni sulla base dell’originaria scadenza e si apre quindi un concorso tra i creditori governato da regole alle quali non può non sottostare anche l’Agenzia delle Entrate.

Da ciò consegue che verosimilmente il debitore-contribuente non è obbligato a ricorrere all’istituto della

transazione fiscale quanto meno in due precise e ben delineate circostanze:

a) allorquando la proposta ex art. 160 l. fall. prevede il soddisfacimento integrale del ceto creditorio privilegiato, nonché la ristrutturazione del debito chirografario;

b) nel caso in cui, pur essendo stabilito un trattamento falcidiato anche con riguardo ai creditori privilegiati, tale pagamento è tuttavia reso possibile da apporti di beni e/o denaro aggiuntivi rispetto a quelli che costituiscono l’originario patrimonio del debitore cristallizzato alla data di apertura del concorso.

In quest’ultima circostanza, in effetti, poiché le regole sancite dagli artt. 160, secondo comma, e 182-ter l. fall. si riferiscono al profilo patrimoniale dell’impresa e non anche a quello della mera proposta concordataria contenuta nel ricorso introduttivo di concordato preventivo, il debitore medesimo non dovrebbe essere costretto ad addivenire ad alcun accordo transattivo con il Fisco, rimanendo la transazione fiscale una facoltà a cui il debitore concordatario potrà tutt’al più ricorrere.

Quindi obbligo o facoltà, non lo si può certo stabilire a priori.

Rosanna Marisei