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L’epidemia di serie c

L’ EPIDEMIA di “SERIE C”

Nel corso del 2003 è stata di estrema attualità una nuova malattia denominata sindrome respiratoria acuta severa (SARS) segnalata per la prima volta in Asia, a seguire in America del Nord ed Europa. Ancora una volta, un virus ha costretto la comunità scientifica ad una mobilitazione generale anche se  i morti accertati sono stati dell’ordine di qualche centinaia.

Eppure, come spesso in questi casi,  è interessante notare come i media di tutto il mondo abbiano acceso i riflettori su questa epidemia, tutto sommato ancora ben circoscritta, mentre mai nessuno si è occupato con la stessa intensità di quelle apparse solo un ventennio fa e di cui un gran numero di italiani paga ancora le conseguenze: è il caso dell’epatite C, un virus che causa un’infezione al fegato e che, se non curata, può trasformarsi in una cirrosi o favorire il temibilissimo epatocarcinoma.  D’altra parte, è sufficiente dialogare qualche minuto con il responsabile di un qualsiasi centro trapianti di fegato per capire quanti danni sta causando questo virus per il quale non si dispone ancora di nessun vaccino.

Sopportare una cirrosi è un calvario quotidiano. Lentamente, giorno dopo giorno, le energie ti abbandonano, la lucidità è solo un ricordo e da protagonisti si diventa spettatori forzati del mondo che ci circonda. Una cirrosi in fase terminale è paragonabile a ciò che può essere l’AIDS in fase terminale:  hai un continuo bisogno di qualcuno che ti assista negli atti quotidiani della vita. Un inferno che può terminare  solo con il trapianto di fegato, per i più fortunati,  o con la morte.

E’ arrivato il tempo di fare un po’ di chiarezza e fornire un supporto informativo, ma soprattutto tanta solidarietà a tutte le vittime del virus HCV (Hepatitis C Virus).

Come da copione, le massime Istituzioni sanitarie degli ultimi Governi sono rimaste indifferenti a tutte le sollecitazioni a promuovere campagne di prevenzione ed informazione a favore dei cittadini.

I politici sono soliti infatti utilizzare diverse  tecniche per immobilizzare iniziative a loro poco gradite. Nel caso dell’epatite C, questione di ambito squisitamente medico, l’indifferenza rasenta da sempre livelli insopportabili. Ho ascoltato affermazioni davvero bizzare come : “Il fatto è che prima o poi le persone si fanno una visita di accertamento e quindi se sono infette da epatite C lo scoprono” oppure “Le campagne di prevenzione sull’AIDS hanno permesso una prevenzione maggiore anche in ambito dell’epatite C” o anche“Non c’è solo l’epatite C, ma vanno considerate tutte le altre malattie epatiche”. Queste sono solo una serie infinita di divagazioni aventi il fine di evitare qualsiasi tipo di sollecitazione al caso.

Ma perché non si vuole fare emergere il “sommerso” degli infetti da epatite C proprio ora che  abbiamo a disposizione cure che in molti casi riescono a guarirla?

L’idea che mi sono fatto è questa: esiste una paura folle di “allarmare” e di fare lievitare ulteriormente i costi socio sanitari derivati dalla malattia già molto alti.

L’epatite C  si contrae anche dai dentisti, dal manicure, dal pedicure, nei tatoo centers, nei centri di agopuntura, in ospedale ed in tutti quei luoghi dove si usano strumenti appuntiti o taglienti riutilizzabili e mal sterilizzati.  Non è stata forse questa la causa della morte di quel giovane ragazzo deceduto qualche tempo fa di epatite fulminante dopo essersi fatto un tatuaggio?

Provate ad andare dal vostro  barbiere di fiducia e chiedete a quale temperatura muore il virus HCV, se ha una autoclave e se sterilizza ogni volta i ferri del mestiere… Le risposte saranno molto vaghe, per non dire imbarazzanti!

La maggior parte delle persone infettate non ne presenta alcun sintomo.
In pratica, considerando che queste sono asintomatiche e che la malattia influisce sul loro fegato senza che lo sappiano, siamo noi che dobbiamo scoprirla.

Basterebbe approvare la legge, ferma in Commissione Affari Sociali dall’Ottobre 2002, che recita: “Norme per la tutela dei malati di epatite cronica, la quale si propongono soluzioni concrete che mettono fine a situazioni insidiose come le infezioni causate da operatori sanitari e non, che non sterilizzano adeguatamente i ferri del mestiere.

Purtroppo, le proposte dei cittadini restano sempre inascoltate.

L’epatite C è un gravissimo problema socio sanitario. L’infezione interessa nel mondo circa 200 milioni di persone, mentre in Italia gli anticorpi anti-HCV sono presenti nel 3,2% della popolazione, corrispondente a circa 1.800.000 infetti. Poiché la patologia da HCV cronicizza in oltre il 70% dei casi, il 20-40% dei pazienti va incontro nel tempo a cirrosi epatica. Sicuramente queste cifre ci fanno comprendere l’entità del problema, che è ulteriormente aggravato dalla considerazione della possibile evoluzione della cirrosi in epatocarcinoma, recentemente stimato nella misura di circa il 3-4% l’anno.

L’epatite C causa, nel nostro Paese, almeno un terzo dei 30.000 decessi  da cirrosi epatica (numeri impressionanti se messi a confronto con quelli da AIDS acclarati nel 2001, ovvero qualche centinaio).

Attualmente, la maggior parte dei medici richiede degli esami per l’epatite C solo quando si manifestano i sintomi di una malattia di fegato. La  ricerca ha suggerito che vi sono delle cose che non conosciamo sul virus HCV. C’è tanta gente lì fuori che cammina, parla, si sente bene, ma ha la malattia non diagnosticata perché nessuno pensa di chiedere loro quali siano i fattori di rischio e perché a nessuno viene in mente di sottoporli a un controllo.

Purtroppo,  su una certa percentuale di queste persone infette, la malattia progredisce e causa danni, disagi, disperazione, morti.

E allora noi chiediamo:

Se il Ministero della salute e’ consapevole e soprattutto d’accordo, sul  fatto che far “emergere il sommerso” dei contagiati di Epatite C attualmente inconsapevoli è un dovere etico e morale delle Istituzioni Sanitarie Nazionali nei confronti dei cittadini che diversamente non hanno modo di difendersi se non sono avvertiti per tempo e attraverso un’adeguata informazione anche a prescindere dal fatto che esistano o meno terapie efficaci e/o risolutive.

Se il Ministero e’ consapevole e soprattutto d’accordo, che scoprire la malattia ad uno stadio precoce consente di:

  1. offrire al cittadino la possibilità di curarsi adeguatamente e in alcuni casi salvargli la vita;
  2. impedire la diffusione del virus, poiché la consapevolezza di essere portatori dello stesso aiuta il cittadino a porre in essere tutte le misure preventive del caso;
  3. ridurre i costi di ospedalizzazione, trapianto, invalidità e, quindi, con un sostanzioso risparmio di spesa.
  4. in generale, aumentare la qualità di vita del malato;

E ancora, per quale motivo il Ministero della Salute, che dovrebbe essere a favore della cittadinanza, non intende assumere tutte le iniziative atte a combattere l’epatite C attraverso campagne informative e di sensibilizzazione rivolte alle categorie considerate a rischio e con una massiccia formazione rivolta ai medici di base sulle modalità con le quali poter riconoscere i sintomi della malattia e su come individuare un soggetto potenzialmente a rischio? Perchè non obbligare tutti gli operatori ad una stretta osservanza delle precauzioni, implementando i metodi per il mantenimento e la sterilizzazione dello strumentario utilizzato nel corso degli interventi chirurgici/invasivi in ambito nosocomiale, incluse tutte quelle procedure estetiche o paramediche nelle quali è prevista la perforazione della pelle (agopuntura, tatuaggi, pratiche odontoiatriche); un aiuto (ed una eventuale collaborazione) con quelle associazioni/enti no profit che si sono dimostrati efficienti sotto il profilo informativo e di Counselling verso i cittadini e loro familiari colpiti dalla malattia? E per favore non ci si dica che, al solito, si tratta di uno spiacevole problema di costi.

Sandro Valletta – Chiara  Marchionni              

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