Menzogna continua
Menzogna continua – Nessuno ha detto la verità, tutti hanno mentito sulla gravità della crisi e sulla validità della strategia per superarla_________di Torquato CARDILLI *
Negli ultimi 10 anni, tutti i governi ci hanno preso in giro: Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta ed ora Renzi. Nessuno ha detto la verità, tutti hanno mentito sulla gravità della crisi e sulla validità della strategia per superarla, sempre con l’approvazione scontata di un parlamento succube, inchiodato con i voti di fiducia ai privilegi castali ed all’inciucio permanente tra maggioranza e finta opposizione, come dimostra l’attuale coalizione per la riforma costituzionale e per la legge elettorale. Su tutti ha vigilato per troppi anni, con arcigni moniti a ripetizione, ma con manica larga nel firmare leggi vergogna, il Capo dello Stato che non ha garantito i diritti del popolo, né il rispetto della Costituzione, ma solo l’interesse del più forte.
Nessun documento di programmazione economica in questo decennio ha mai indicato obiettivi realistici; tutti hanno imposto sacrifici solo a chi già li sopportava sventolando come un asso nella manica inconsistenti segnali di ripresa. Ricordate i discorsi della imminente fine della stagnazione? Della luce in fondo al tunnel? Dell’iniziata inversione di tendenza? Dell’iniezione di fiducia ed altre amenità del genere, mentre aumentavano disoccupati e cassintegrati, mentre le aziende chiudevano ed i titolari si suicidavano, e chi poteva inquinava, truffava e delocalizzava?
Eppure a maggio scorso gli italiani, non so se più creduloni o più disperati, hanno dato ancora fiducia come tanti lazzaroni abbacinati dagli 80 euro, a questa classe politica confidando nel rinnovamento del paese. Ora, di fronte alla crudezza della realtà che non ammette interpretazioni né discorsi filosofici, dopo aver subito la prima botta del processo di revisione costituzionale senza che la loro condizione sia mutata in meglio, non hanno più scusanti. Possono continuare a dare il sostegno ad una classe dirigente che pretende di operare il risanamento e che invece, dopo aver causato il disastro, li condurrà inevitabilmente al tracollo?
Al 31 dicembre dell’anno scorso, quando Renzi si preparava a scalzare con un colpo di mano Letta da palazzo Chigi, mentre il Pil era di soli 1.560 miliardi, il debito pubblico certificato dalla Banca d’Italia era di ben 2.069 miliardi. Due mesi dopo, a febbraio 2014, Letta che aveva ereditato a inizio 2013 un debito di 2.041 miliardi, dopo averne sperperati altri 40, consegnava a Renzi un debito di 2.107 miliardi.
Lo stesso debito a luglio 2014 è salito a 2.168 miliardi, cioè con un incremento dal 1 gennaio di + 100 miliardi a causa dell’irrefrenabile aumento della spesa pubblica (alla faccia della spending review) e della diminuzione delle entrate tributarie, conseguenza quest’ultima della contrazione industriale. A questo livello, il maggior carico sui cittadini è stato di ben 875 euro di tasse occulte oltre ai gravami della Tari, Tasi, addizionali Irpef, accise sui carburanti, Iva, costi del passaporto, tanto che ogni cittadino si trova sul groppone un debito di 36.225 euro.
Insomma diciamolo una buona volta chiaro e tondo: l’Italia è di nuovo sprofondata nella recessione. Il prodotto interno lordo ha fatto registrare nel primo trimestre del 2014 una diminuzione del -0,1% alla quale si è aggiunto il risultato ancora peggiore del -0,2% del II trimestre per una caduta complessiva dello 0,3% rispetto al 2013. Conseguenza: ulteriore allargamento della forbice del rapporto tra debito e Pil ora attestata al 135%, che l’Europa pretende di riportare indietro al ritmo di 50 miliardi all’anno di sacrifici per venti anni.
Questa nuova contrazione del Pil italiano ha scatenato la reazione negativa della stampa economica internazionale, dagli Stati Uniti all’Europa. Il Financial Times ha commentato in modo sarcastico l’ottimismo di Renzi, che in 6 mesi dall’assunzione della responsabilità della guida del paese, non sembra abbia ancora preso completa cognizione delle cambiali lasciategli da Letta, sequela di errori di programmazione economica e di slealtà verso i cittadini degli ultimi 10 anni.
Partiamo dal 2004. Il Dpef deliberato dal governo Berlusconi aveva previsto fino al 2006 una crescita del Pil dell’1,8%. Errore clamoroso in tempi di vacche grasse. Nonostante la fantasia di un ministro delle finanze come Tremonti, l’Istat certificò che il risultato era stato assai più modesto (0,5 punti percentuali in meno), mentre il resto d’Europa viaggiava sul + 2,5%.
Per il 2005, gli errori di valutazione contenuti nel Dpef furono ancora più significativi: a fronte di una crescita prevista del Pil del 2,1%, il risultato effettivo fu pari a zero e da allora l’economia italiana, dopo aver consumato il grasso degli anni precedenti, ha smesso di crescere.
Nel Dpef del 2006 messo a punto dal governo Prodi, la crescita media annua del Pil avrebbe dovuto attestarsi inizialmente sull’1,2% e migliorare nel secondo biennio all’1,3%.
Anche queste previsioni si rivelarono clamorosamente errate: non avevano tenuto conto degli effetti dell’esplosione della crisi dei mutui subprime, divenuta cocente nei primi mesi del 2007.
Nel 2008, di nuovo sotto il governo Berlusconi, arrivato al successo con la promessa dell’abolizione dell’IMU, il tasso di crescita del Pil fece segnare una variazione negativa: -1,2%. A giugno di quell’anno, quando la crisi dei mutui americana era ormai conclamata e quando mancavano solo tre mesi alla bancarotta di Lehman Brothers, con tutti gli indici borsistici in flessione, nel Dpef del governo Berlusconi era scritto che sulla base delle proiezioni, il tasso di crescita del prodotto interno lordo sarebbe stato dello 0,9%. Invece il Pil crollò di 5,5 punti percentuali.
Ancora a luglio 2009 le previsioni del governo indicavano una ripresa del Pil per il 2010 con un + 0,5%, mentre nel triennio successivo (cioè fino al 2013-2014) la crescita media annua del Pil si sarebbe attestata al 2,0% (anche queste previsioni si rivelarono clamorosamente sbagliate tanto che nel 2012 e nel 2013, il calo del Pil fu nuovamente consistente -2,4% e -1,5%).
Il governo Monti si presentò a dicembre 2011 in parlamento con la previsione di una crescita del Pil dello 0,6%, smentita però dai fatti: fu raggiunto solo lo 0,4%. Per il 2012 prevedeva un calo del Pil pari all’1,2%, compensato da una crescita dello 0,5% nel 2013, e un ottimistico +1% nel 2014. La realtà è stata decisamente peggiore delle aspettative: nel 2012 il Pil ha perso 2,4 punti percentuali, mentre la modestissima crescita dello 0,1% nel 2013 aveva fatto miseramente gridare al successo il nuovo inquilino di palazzo Chigi, destinato, suo malgrado, ad essere rottamato di lì a poco.
Letta aveva previsto per il 2014 una crescita del Pil dell’1,0% e Renzi prudenzialmente aveva subito ridotto tale crescita allo 0,5%. Per sapere se anche questa ultima previsione è sbagliata, non è necessario attendere la fine dell’anno: i risultati del primo semestre già ci hanno relegato al -3% e dopo le ferie Renzi dovrà risponderne. Non solo ha dedicato tutte le artiglierie a disposizione per stravolgere la Costituzione anziché stimolare con un elettroshock economico la crescita, ma non ha adempiuto alla promessa elettorale di ottenere dall’Europa la rinegoziazione dei trattati impelagandosi in una battaglia personalistica sull’eterea Mogherini quale responsabile della politica estera europea. E i cittadini? Dovranno restituire con gli interessi quella regalia degli 80 euro al mese che non hanno risollevato né l’economia nazionale, né quella individuale.
*Già Ambasciatore d’Italia (1991-2009) in Albania,Tanzania, Arabia Saudita, Angola,