Nè Onore nè Gloria
A suo tempo, la prima edizione francese è del 1960-l’edizione italiana del 1966- fu un testo assai letto e amato dai giovani che gravitavano nel piccolo mondo del neofascismo. Quando dal romanzo fu tratto un film similpacifista con protagonisti Alain Delon e Claudia Cardinale “ Né onore né gloria” ( e Garzanti così intitolò la sua edizione per sfruttare l’effetto traino ) molte furono in quell’ambiente le perplessità espresse, tra l’altro, da Europe- Action rivista nazionalista-europea nata dalla sconfitta della lotta per l’Algeria francese ed animata dai giovani Francois d’Orcival , Fabrice Laroche (pseudonimo di Alain de Benoist), Gilles Fournier, Jean Claude Rivière, Jean Mabire, Pierre Vial e Dominique Venner. Ma anche il famoso film “ La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorv lo ebbe alla base della sua elaborazione.
Proprio perché, a suo tempo, il romanzo a chi scrive piacque molto ci viene da chiederci che senso abbia oggi questa nuova edizione a quarantasei anni dalla precedente, con un pubblico cui con ogni probabilità, se si esclude chi ii libro lo abbia già avuto tra le mani a suo tempo, l’ FLN e l’OAS, Dien Bien Phu e Suez sono ben poco noti e comunque nulla dicono sul piano emotivo. .
A parte questa non secondaria perplessità il testo ha un innegabile valore letterario quantomeno come espressione e testimonianza di un momento storico per più versi cruciale.:La sua trama richiama il percorso politico e umano di un gruppo di un gruppo d’ufficiali francesi che parte dalla prigionia vietminh dopo la caduta di Dien Bien Phu passa per il ritorno in Francia e sfocia nell’impegno militare in un altro caposaldo coloniale della Francia dell’epoca,l’Algeria, culminato nelle sanguinose vicende di quella che è nota come “la battaglia di Algeri”.
I personaggi del racconto , rielaborazioni letterarie di figure note dell’ Armée – a partire da Raspeguy raffigura Bigeard-, colpiscono il lettore e acquistano una vita propria anche se ognuno di loro è l’ espressione di una specifica componente del mondo militare di quel tempo: dal conte de Glatigny, uomo di Stato Maggiore che ha scelto la trincea e che si rende conto di aver dimenticato ” l’importanza, per un ufficiale di cavalleria, della tenuta. Nel 1914,gli ufficiali di cavalleria si radevano prima dell’assalto”, ad Esclavier uomo della resistenza, torturato dalla Gestapo e deportato in un lager il quale convinto che “ Noi abbiamo coscienza e rimorsi …., la nostra sconfitta viene da lì” , si farà a sua volta torturatore.E ancora da Mahmoudi che comprende come la sconfitta di Indocina “ avrà profonde ripercussioni in Algeria”e si scopre mussulmano perché “è intorno alla nostra fede che possiamo iniziare a offrire all’Algeria una storia e una personalità” fino a Raspeguy, il quale spiega a un vecchio colonnello in pensione , una sorta di suo padrino, come il nuovo esercito debba dire “basta con i monocoli e le ghette, con le installazioni sontuose per i ministri e i generali in visita sui campi di battaglia. Tutti nella merda, con la stessa scatola di razioni. Sin d’ora ci serve un vero esercito popolare, comandato da capi che in qualche modo esso stesso si sceglie.” (p
Ma al di là del valore letterario del testo c’è da temere che questa sua riproposizione – a cui è dubbio che possa corrispondere una rinnovata fortuna editoriale-derivi solo dalla celebrata attenzione che ad essoa è stato pubblicamente testimoniata dal generale Petraeus, comandante delle truppe USA in Iraq e, sulla sua scia, dagli ufficiali operativi statunitensi che hanno letto le sue pagine come l’esplicazione di una sorta di modello di “counterinsurgency”.
Questa interpretazione ci pare profondamente errata, e comunque si discosta nettamente da quella che accolse la prima edizione del libro. Certa “giovane destra” degli anni Sessanta voleva vedere nel romanzo il canto dell’amicizia, della comunità militante, di una gerarchia condivisa perché nata sul campo prendendo a modello un’esperienza storica recente che la aveva coinvolta in maniera emotiva non un manuale di controguerriglia. E del resto l’opera, così come il suo seguito “ Morte senza paga” ( benchè nell’originale suonasse, con accenti ben diversi, “ les prétoriens” ) , è la narrazione di una sconfitta non essendo stata sufficiente la tecnica ad invertire il corso degli eventi.
Certo nel libro si canta l’impegno del militare che nel villaggio si cura dei problemi concreti della gente e si delinea la necessità di costruire il ponte e la scuola ma, come afferma Si Millial uno dei capi della rivolta se è vero “ che sono sempre pochi uomini a disporre dei popoli … occorre inoltre che quegli uomini s’inseriscano nel senso profondo di quei popoli” e non basta, nel romanzo come nella realtà, adottare motivi diversi, come l’emancipazione femminile, per giustifare certe imprese belliche. E proprio per sfuggire alle contraddizioni di una lotta che non riesce a trovare quel senso profondo, il personaggio dal nome Esclavier ne “Les pretoriens” spiega così il suo trasferimento nella Legione straniera “I legionari sono mercenari; molti parlano tedesco. Il colonnello Millois, che comanda il nostro RPE, ripete a chi vuol sentirlo: “io sono una macchina per uccidere ”Dunque, per me, niente più problemi di coscienza né impegni”.
A noi pare pertanto che sia giusto, oggi, rivendicare la lettura che del libro dette quella frazione di una generazione che la visse con maggiore partecipazione e passione. nella chiave di un impegno civile. E, nel contempo, constatarne l’inattualità.
Maurizio Bergonzini
Da Diorama letterario n°318