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Nessuno si salva da solo (ma anche sì)

Delia (Jasmine Trinca) e Gaetano (Riccardo Scamarcio) sono stati sposati e hanno due figli, Cosmo e Nico. Da poco tempo vivono separati, lei ha tenuto la casa con i bambini, lui vive in un residence. Delia, che in passato ha sofferto di anoressia, è una biologa nutrizionista. Gaetano è uno sceneggiatore di programmi televisivi. Delia e Gaetano si incontrano per una cena in un ristorante. Devono apparentemente discutere dell’organizzazione delle vacanze dei loro figli. Ma presto capiamo che quell’incontro servirà ai due protagonisti per compiere un viaggio dentro la loro storia d’amore e scoprirne le ragioni della fine. La cena occupa l’intero svolgimento del film, ma attraverso una serie di flash back viene ripercorsa la vita della coppia, dall’entusiasmo dei primi anni di vita in comune, l’amore la passione, ai primi problemi e frustrazioni reciproche che hanno cominciato ad allontanarli, fino alla separazione.

Questa la trama, in soldoni.
Mi ci è voluto un po’ di tempo per metabolizzare e capire se questo film (tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Mazzantini, regia di Sergio Castellitto, sceneggiatura di entrambi) mi sia piaciuto, oppure il contrario.
A distanza di qualche giorno posso finalmente sentenziare: no, non m’è piaciuto.
E’ il disagio di fronte al quale riesce a metterti molta cinematografia italiana degli ultimi anni. E, a giudicare dal numero di copie vendute, anche molta letteratura. Ché mi vien da virgolettare ma non lo farò per onestà (non ho mai letto la Mazzantini) e per decenza.
E’ quell’imbarazzo in cui ti getta una situazione di déjà-vu, che hai presente e ben sensibile ma non sapresti definire. E allora elabori: spostamenti di camera stile mal di stomaco post-tagatà alla Muccino; probabile oscuro simbolismo alla Buñuel forse più facilmente sponsor ufficiale Chiquita (la banana che mangiano in più di un’occasione i protagonisti della vicenda).
E’ quella difficoltà in cui ti trovi quando ti accorgi che qualcuno ha spinto per te sull’acceleratore del pathos, senza essere riuscito a condurti alle lacrime o anche semplicemente a un sentimento di empatia vero, che duri oltre l’inquadratura e il brano musicale. Tanto autentico che non ti lasci modo di perderti in altre considerazioni.
E’ quel fastidio che quasi ti porta ad arrossire per chi ha potuto concepire una roba del genere quando entra in scena Roberto Vecchioni.
Sappiatelo: ho amato e amo ancora questo professore/musicista dalla sensibilità alla Truffaut, davvero femminile e mai melensa né scontata.
Ma davvero le scene in cui si è prestato a fare da attore, quasi fosse un angelo destinato a scomparire nel nulla dopo aver pronunciato la frase che dà nome al film: “E ricordatevi ragazzi: nessuno si salva da solo”, è qualcosa di pecoreccio.
Sì, non c’è altro modo per poterla definire.
Mi vien da fantasticare, ragionando per esclusione e per affetto, che la scrittura di quelle scene sia avvenuta così: Margaret scrive la scena per Vecchioni e se ne compiace. Sergio (che ricordiamolo tutti è stato protagonista di un film come “La carne” di Marco Ferreri, uno dei registi migliori e più screditati del nostro Paese) per amor di famiglia e relativi introiti, si rende conto di dover porre rimedio e attacca subito dietro la scena in cui Scamarcio riesce a farci respirare di nuovo dicendo: “Ma con tutti i cazzi che c’ho io…”

Per me il film migliore è tutto in questa battuta. E nella scena in cui Jasmin Trinca si lascia andare a un pianto convulso, dove le parole vengono pronunciate a singhiozzo, perché si è trattenuto così tanto fino a quel momento che, quando il freno va via, non si riesce a mollarlo davvero fino in fondo.
La parte migliore del film è in tutto quello che avrei creduto m’avrebbe convinto poco e invece m’ha sorpreso: la recitazione dei due protagonisti.
Per il resto mi verrebbe da dire: “Sàlvate poma’!” citando Montesano in quel capolavoro di Steno che è stato “Febbre da cavallo”

                                                 Sabina INCARDONA