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Per un “Giusto” Processo Tributario

PROPOSTE CONCRETE per l ’ATTUAZIONE

del  “GIUSTO  PROCESSO  TRIBUTARIO”

 Avv. Bruno Viaggio *

L’art. 111 della Costituzione, così come riformulato dalla Legge Cost. 25.11.1999 N. 2, prescrive espressamente che la giurisdizione si applica mediante il giusto processo regolato dalla legge. Prosegue il comma 2° sancendo che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.

Tale comma si riporta esplicitamente alle regole poste dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, sottoscritta a Roma il 4 Novembre 1950 e recepita con la Legge n. 848/1955 ed, a differenza degli altri commi del suddetto articolo costituzionale che si riferiscono al processo penale, è applicabile ad ogni tipo di processo ed in particolar modo al processo tributario, anche se allo stato attuale tale processo che non raggiunge gli standards equitativi degli altri processi per i motivi che saranno di seguito illustrati.

Infatti sino ad oggi la stessa Corte Costituzionale, tutte le volte che è stata investita da questioni attinenti il processo tributario, ha sempre inteso proteggere il preminente “interesse fiscale” dell’imposizione tributaria da parte dell’Amministrazione Pubblica, ed in conseguenza non ha mai accolto le istanze dei contribuenti finalizzate alla concreta attuazione del giusto processo tributario.

I punti dolenti di tale situazione sono facilmente riscontrabili da qualsiasi contribuente che abbia dovuto intraprendere un contenzioso innanzi alle Commissioni Tributarie, e possono così sommariamente riassumersi:

  1. il giudice tributario non è un giudice indipendente, terzo ed imparziale, così come richiesto dall’art. 111 Cost.;
  2. i termini per la costituzione in giudizio del ricorrente sono perentori e non prevedono possibilità di rimessione;
  3. i termini per la costituzione dell’Amministrazione non sono perentori;
  4. le spese processuali vengono sempre compensate;
  5. la durata dei processi tributari esorbita lungamente qualsiasi concetto di ragionevolezza.

Tale rassegna delle problematiche attuali del processo tributario, che nel prosieguo della presente relazione verranno approfondite, rappresenta solo un aspetto delle molteplici carenze del contenzioso tributario che si ripercuotono sensibilmente sul diritto di difesa del contribuente, ( basti pensare infatti all’obbligo di inoltrare istanza  per la trattazione in pubblica udienza del processo o all’impossibilità in appello di richiedere la sospensione della sentenza impugnata), con la conseguente necessità di apportare delle urgenti modifiche in sede legislativa per far sì che finalmente in Italia venga attuato il “giusto processo tributario”.

1. La terzietà del giudice tributario

Le Commissioni Tributarie non sono affatto un giudice terzo ed in posizione di imparzialità rispetto al contribuente ed alla Pubblica Amministrazione, in quanto le stesse sono saldamente legate sotto molteplici aspetti al Ministero delle Finanze, in virtù delle norme che prevedono: a) la nomina dei componenti le Commissioni Tributarie da parte del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle Finanze; b) la competenza del Ministero delle Finanze a fissare il trattamento economico dei giudici tributari; c) il potere dello stesso Ministero di applicare le sanzioni disciplinari nei confronti degli stessi giudici; d) la dipendenza lavorativa del personale delle segreterie delle Commissioni Tributarie dal Ministero delle Finanze.

Pertanto l’assetto ordinamentale delle Commissioni Tributarie non appare conforme al modello previsto per il giudice del giusto processo, ossia caratterizzato da indipendenza, terzietà ( intesa quale modo di essere ) ed imparzialità ( intesa quale modo di operare ).

Infatti come può un giudice essere ritenuto indipendente se viene nominato da una delle parti necessarie del processo, viene da essa fissato il relativo trattamento economico e, se del caso, punito disciplinarmente?

Come può un organo giudicante essere ritenuto in posizione di terzietà se il personale ausiliario dello stesso è addirittura in posizione di dipendenza lavorativa dal Ministero delle Finanze?

A tutto ciò bisogna inoltre aggiungere che i giudici tributari non appartengono ad un ruolo di giudici togati nominati per concorso pubblico per esami, ma sono giudici onorari nominati con Decreto del Presidente della Repubblica la cui competenza tecnica sovente non è assicurata, anche alla luce della possibilità di nominare quali giudici tributari, ai sensi dell’art. 4 del dlgs. 545/92 lett. b), c), d) e), f) ed l), anche coloro che, come i ragionieri ed i geometri, non solo non hanno avuto esperienza professionale in materia giuridica ma non possiedono neanche il titolo di studio in giurisprudenza, con evidente carenza delle conoscenze tecniche necessarie per assolvere il ruolo di organo giudicante.

Considerando che anche la difesa tecnica del contribuente è consentita, in virtù dell’art. 12 del Dlgs 546/92 anche a soggetti, quali i geometri, gli architetti, gli ingegneri, i periti edili ed i periti agrari ( sic ! ), che non possono avere alcuna cognizione processuale, è allora agevole affermare, come più volte ha delineato l’insigne giurista Francesco Tesauro, che il processo tributario è unprocesso senza giudici e senza avvocati e, pertanto, ancora lontano dall’essere considerato un giusto processo.

2. I termini per la costituzione del ricorrente

Il contribuente che al giorno d’oggi si vede notificare un avviso di accertamento od una cartella esattoriale e vuole impugnare tali atti, ha l’onere di rispettare un doppio ordine di decadenze processuali: deve infatti prima, ai sensi dell’art. 21 dlgs 546/92, impugnare l’atto entro 60 giorni dalla notifica e dopo, ai sensi dell’art. 22a pena di inammissibilità rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, deve depositare il proprio fascicolo, unitamente al ricorso ed ai documenti, in Commissione entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso.

Se la prima norma illustrata si riporta allo schema usuale di tutti i procedimenti  amministrativi d’impugnazione previsti dall’ordinamento e non presenta rilevanti particolarità, è la seconda norma che invece manifesta una certa iniquità, in quanto la suddetta inammissibilità può essere rilevata in ogni momento dal giudice tributario anche se il resistente si è costituito ed inoltre non prevede ipotesi di rimessione in termini.

Infatti la perentorietà del termine di costituzione del ricorrente è ribadita dalla totale assenza di una norma, prevista invece nel procedimento ordinario di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., la quale dovrebbe prevedere che, se il mancato compimento di un atto entro un termine perentorio comporta la perdita del diritto di agire in giudizio e se tale mancato compimento è dovuto a caso fortuito o forza maggiore, il ricorrente dovrebbe essere rimesso in termini ed avere così la possibilità di poter effettuare il deposito del proprio fascicolo presso la segreteria della Commissione Tributaria.

Una disposizione di tale tenore non è invece presente nel contenzioso tributario, nel quale pertanto il contribuente si può veder dichiarato inammissibile il proprio ricorso per non aver potuto rispettare il termine di costituzione per causa a sé non imputabile.

È pertanto evidente la necessità di introdurre una norma di rimessione in termini del contribuente che ne permetta una piena tutela e salvaguardia.

3. I termini per la costituzione dell’Ufficio

A differenza di quanto visto sopra, invece i termini per la costituzione del resistente (ossia l’ufficio del Ministero delle Finanze, l’ente locale o il concessionario alla riscossione), non sono affatto perentori, non prevedono esplicite decadenze e si prestano a condotte processuali sleali.

Infatti l’art. 23 del dlgs 546/92 prevede che il resistente deve costituirsi in giudizio entro 60 giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato, senza però prescrivere alcuna sanzione processuale in caso di inosservanza del suddetto termine e soprattutto in caso di costituzione nel giorno dell’udienza.

Tale articolo della legge regolatrice del contenzioso tributario è quello che forse maggiormente viola l’effettività del principio del contraddittorio così come richiesto nel giusto processo dall’art. 111 Cost., in quanto il contribuente e per esso il proprio difensore tecnico, non possono controbattere ed opporsi a ciò che l’ufficio afferma nei propri scritti difensivi.

Accade spesso infatti che l’udienza di sospensione dell’atto impugnato venga fissata prima della scadenza dei 60 giorni richiesti per la costituzione del resistente e, pertanto, il ricorrente vede costituirsi all’udienza l’Ufficio senza poter così controdedurre alle eccezioni dell’erario e rischiare che venga denegata la istanza cautelare la quale, nei fatti, equivale ad un rigetto del ricorso.

Oppure può accadere che l’Ufficio si costituisca con un atto di pura forma e poi depositi nei 10 giorni prima dell’udienza una memoria illustrativa alla quale il ricorrente non può replicare ma può solo richiedere di poter depositare dei motivi aggiunti resi necessari dal deposito di eventuali nuovi documenti.

Ed in ogni caso tutte gli atti depositati dal resistente non vengono notificati al ricorrente, il quale potrebbe anche non averne notizia fino all’udienza.

Cosicché è evidente, all’interno del processo tributario, la enorme disparità di trattamento tra il contribuente e l’Ufficio, con un palese sbilanciamento a favore di quest’ultimo dei poteri difensivi e che, alla luce delle suesposte considerazioni, deve essere senz’altro urgentemente riequilibrato.

4. Le spese processuali

L’art. 15 della legge regolatrice del processo tributario afferma espressamente che la parte soccombente è condannata a pagare le spese di giudizio liquidate con sentenza,  prevedendo però anche che la Commissione adita può dichiararle compensate ai sensi dell’art. 92 2°co. c.p.c., ossia in caso di soccombenza reciproca o se ricorrono giusti motivi.

Nella prassi però gli operatori del settore sanno bene che ormai la regola è quella della compensazione delle spese anche in caso di evidente soccombenza dell’Ufficio in virtù di asseriti giusti motivi, tra l’altro mai esplicati nelle relative sentenze, mentre la condanna alle spese per il soccombente è diventata una vera rarità.

Tale modo di operare del giudice tributario, finalizzato evidentemente ad attuare un risparmio di spesa a favore dell’Erario, lede molteplici principi costituzionali ed in primo luogo l’art. 24 Cost. che sancisce il sacro ed inviolabile diritto alla difesa anche per i non abbienti.

Infatti escludere ormai di fatto la possibilità di recuperare le spese legali anticipate da parte del ricorrente, equivale in ogni caso a causare allo stesso un esborso economico, spesso di considerevole entità, che molte volte potrebbe evitarsi, come in tutti quei casi in cui l’Ufficio notifica un atto impositivo illegittimo o, addirittura, non emana i dovuti provvedimenti richiesti dal contribuente in via di autotutela, ossia esenti da spese.

Considerando pertanto che il patrocinio a spese dello Stato è accordato unicamente ai soggetti con un reddito annuo familiare inferiore ai  €. 10.000,00, per tutti gli altri contribuenti che rappresentano la stragrande maggioranza e che non possono permettersi di pagare i compensi per l’avvocato o altro difensore tecnico, è preclusa di fatto la tutela giurisdizionale innanzi al giudice tributario, con il rischio per gli stessi di dover subire un atto impositivo non dovuto da parte dell’Erario.

Cosicché si impone con estrema urgenza, al fine di una seria realizzazione del giusto processo tributario, una riforma del suddetto art. 15 del Dlgs. N. 546/92 che preveda obbligatoriamente il rimborso delle spese legali da parte del soccombente in un giudizio tributario, con la possibilità di prevedere la compensazione delle stesse unicamente in caso di soccombenza reciproca.

5. La durata dei processi tributari

Come sopra già esposto, ai sensi del co. 2°dell’art. 111 Cost., la legge assicura che tutti i processi abbiano una ragionevole durata.

Tale principio però non è stato mai attuato in Italia per nessun tipo di processo, sia civile, penale che amministrativo, con la conseguenza che la durata eccessiva dei procedimenti giurisdizionali rappresenta sicuramente il maggior problema per l’attuale sistema giudiziario italiano, come confermato anche dalla necessità di introdurre la Legge n. 89/2001 ( la cosiddetta Legge Pinto ) che obbliga lo Stato a risarcire il cittadino che ha subito un danno economico dalla prolungata durata di un processo.

Nel processo tributario la situazione però è ancor più grave perché, a causa della concentrazione in un unico organo giudiziario a livello provinciale di migliaia di ricorsi dei contribuenti, la fissazione della udienza di trattazione della causa può avvenire anche a distanza di 6 anni dalla proposizione del ricorso ( ed infatti la legge Pinto si occupa espressamente del processo tributario al comma 3 dell’art. 2 ).

Per cui tranne nel caso di concessione della sospensione dell’atto impugnato, con la conseguente udienza di trattazione del merito fissata non oltre 90 giorni dalla pronuncia di sospensione  ai sensi dell’art. 47 Dlgs. N. 546/92, il ricorrente in tutti quei casi in cui gli viene denegata  l’istanza cautelare o quando lo stesso chiede per esempio un rimborso, deve attendere svariati anni se non addirittura un decennio per ottenere la dovuta tutela giurisdizionale innanzi al giudice tributario.

Con il concreto rischio di dover subire medio tempore gli atti di riscossione coattiva da parte dell’Erario per le somme iscritte a ruolo a titolo provvisorio.

In conseguenza è importante che si intervenga celermente su tale questione in modo da consentire di abbreviare sensibilmente i tempi del contenzioso tributario prevedendo innanzitutto delle sezioni distaccate per le Commissioni Tributarie Provinciali, e  delle sezioni stralcio che smaltiscano le procedure con una durata superiore ai 5 anni, come positivamente avvenuto in sede di processi ordinari civili.

Ed inoltre occorre che sia inserita legislativamente una norma che preveda un termine di fissazione della udienza di trattazione anche in caso di diniego della istanza cautelare e che tale termine non sia superiore ad 1 anno dalla stessa pronuncia.

Inoltre, anche alla luce delle recenti modalità di fissazione della udienza per la trattazione della istanza di sospensione dell’atto impugnato ai sensi dell’art. 47, che ormai prevedono nella maggior parte delle Commissioni Provinciali dei tempi superiori ad un anno ( con punte che superano anche i due anni ) a causa del numero considerevole di ricorsi tributari depositati, occorre urgentemente introdurre dei correttivi dei legislativi che impongano la celere trattazione della suddetta istanza, prevedendo dei termini perentori per la Commissione.

Infatti il comma 2 dell’art. 47 della legge sul contenzioso tributario prevede che il Presidente fissa la trattazione della suddetta istanza nella prima camera di consiglio utile, non fissando alcun termine per tale trattazione.

Con la conseguenza, ormai paradossale, che il cittadino-contribuente, decorso oltre un anno dalla proposizione di un ricorso avverso una cartella di pagamento illegittima senza che la stessa sia stata sospesa, subisce gli atti cautelari ed esecutivi che nel contempo il concessionario alla riscossione pone in essere, ed è quindi costretto a pagare l’ingiusto balzello per non rischiare ulteriori maggiori disagi.

Pertanto si impone in via di estrema urgenza la necessità di prevedere un obbligo di celere fissazione, con un espresso termine perentorio ( che potrebbe essere ragionevolmente di novanta giorni dal deposito del ricorso ), della trattazione della istanza di sospensione dell’atto impugnato.

O in alternativa potrebbe essere introdotta in via legislativa l’applicazione estensiva del disposto del 3° comma dell’art. 47 del Dlgs. 546/92, il quale prevede che il presidente della Commissione può procedere con decreto senza udienza alla provvisoria sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato sino alla trattazione dell’istanza da parte del collegio, non solo per i casi di eccezionale urgenza, come è adesso previsto, ma in tutti i casi in cui sia materialmente impossibile, per i carichi di ruolo della Commissione, fissare l’udienza per la sospensione entro 90 giorni dal deposito del ricorso.

In mancanza di tali modifiche, si rischia che la tutela dei contribuenti nei confronti degli atti di imposizione fiscale sia inesistente, con la violazione costante dei principi costituzionali di difesa che l’ordinamento giurisdizionale deve necessariamente far rispettare in ogni sede.

6. Considerazioni conclusive

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni è agevole concludere che allo stato attuale in Italia il contribuente è sfornito di una seria tutela giurisdizionale innanzi alle Commissioni Tributarie e che il contenzioso tributario presenta delle carenze in ordine all’indipendenza dell’organo giudicante, al rispetto del principio del contraddittorio tra le parti ed alla possibilità di accesso alla tutela tributaria, tali da renderlo un “processo minore” tuttora distante da una seria definizione di giusto processo.

Pertanto occorre apportare alle norme regolatrici del contenzioso tributario delle urgenti modifiche in sede legislativa che prevedano:

1)   l’istituzione di un ruolo di giudici tributari togati attraverso concorsi pubblici per esami, e la conseguente riduzione dell’utilizzo dei giudici onorari tributari;

2)   l’inquadramento organico delle Commissioni Tributarie all’interno del Ministero di Grazia e Giustizia, con il distacco definitivo da qualsiasi tipo di rapporto con il Ministero delle Finanze;

3)   l’abolizione della sanzione della inammissibilità prevista in caso di mancata osservanza del termine di costituzione del ricorrente ex art. 22 dlgs. 546/92, o, quanto meno, la previsione della possibilità per il ricorrente di ottenere la rimessione in termini;

4)   la previsione di un termine perentorio di costituzione anche per il resistente che scada prima della udienza di sospensione dell’atto impugnato, con l’obbligo di notificare al ricorrente gli atti depositati in giudizio;

5)   l’obbligo di condannare sempre alla spese di giudizio il soccombente, con la possibilità di compensare le spese solo ed unicamente in caso di soccombenza reciproca delle parti;

6)   l’obbligo di fissare celermente l’udienza di trattazione del merito anche in caso di diniego della istanza cautelare e non oltre un anno dalla medesima pronuncia;

7)   prevedere un termine perentorio, non superiore a novanta giorni dal deposito del ricorso, per la trattazione dell’istanza di sospensione dell’atto impugnato o, in mancanza, disporre la sospensione inaudita altera parte dell’atto impugnato.

Oltre anche a tanti altri possibili correttivi quali l’obbligo della discussione orale in pubblica udienza della causa senza necessità di apposita istanza, la possibilità di scambiarsi sempre delle memorie di replica e la possibilità del giudice di appello di sospendere la sentenza impugnata.

Lo spirito riformatore, che ha caratterizzato enormemente le ultime legislature, non può pertanto prescindere, al fine di realizzare concretamente uno Stato di diritto progredito e conforme agli standards europei, dal dare concreta attuazione alle istanze sopra riportate, con l’ausilio efficace e determinante di un vero sindacato del contribuente quale la Federcontribuenti intende essere, e veder finalmente in Italia realizzato il giusto processo tributario.

 *Responsabile Nazionale Ufficio Legale Federcontribuenti

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