Post Nizza, vigilando necesse est
IL TERRORISMO DEGLI JIHADISTI
Quando il 14 luglio scorso in Francia, a Nizza, Mohamed Lahouaiej- Bouhlel, alla guida di un camion, si è lanciato sulla folla che assisteva ai tradizionali fuochi d’artificio dalla Promenade des Anglais, seguito dai fatti in Germania e a Rouen, nelle ovattate stanze dei servizi di sicurezza si è capito che l’asticella del terrore parte dello Stato Islamico era stata alzata di diverse tacche. In realtà gli analisti delle “intelligence” di mezzo mondo si sono ricordati che già nel 2014, dopo pochi mesi dalla nascita dell’Isis, il portavoce del Califfato, l’emiro Abu Mohammad al-Adnani, con un suo comunicato diffuso attraverso internet “ordinava” a tutti i fedeli sparsi nel mondo di attivarsi per colpire l’occidente.
Nell’inquietante messaggio si incitano i musulmani e soprattutto gli jihadisti dormienti ad attaccare ed uccidere non solo i militari delle potenze occidentali ma soprattutto i civili “Qualunque modo è lecito per uccidere i miscredenti. – Recita il tremendo ordine di Adnani – Se non sarà possibile reperire un ordigno esplosivo, anche improvvisato, per colpire americani, francesi e loro alleati, allora rompetegli la testa con un sasso, squartateli con un coltello, buttateli di sotto da un edificio oppure investiteli con una vettura o un camion”.
Appena il comunicato del portavoce dell’Isis si diffuse, i servizi di sicurezza per non scatenare il panico minimizzarono il messaggio. Al contrario i fedeli del nero Califfato, detto così dagli esperti perché le insegne dell’Isis sono nere con scritte bianche inneggiati ad Allah, si attivarono per realizzare attentati con ogni mezzo. Purtroppo gli atti terroristici attuati con bombe ed armi da fuoco hanno raggiunto i loro effetti soprattutto in Europa, mentre gli atti compiuti, sino ad oggi, con “strumenti” alternativi non avevano raggiunto gli effetti sperati. In Australia la polizia aveva sventato un tentativo di rapire passanti per strada e sgozzarli davanti le telecamere. Altri jihadisti in Canada e negli Stati Uniti avevano aggredito con parziale successo dei poliziotti ed un soldato di origine italiana, Nathan Cirillo. Ora le cose sono cambiate, infatti, i sostenitori del Califfo Abu Bakr al Baghdadi hanno alzato il tiro: non più solo bombe e mitra ma anche autocarri. E lupi solitari sparsi nel mondo, pronti a colpire in ogni momento. E in ogni modo.
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I LUOGHI DI CULTO
Gli atti terroristici attuati in ogni parte del mondo hanno spinto le autorità di diversi Paesi a mettere sotto osservazione i luoghi di culto islamici. Diversi governi dell’area del mediterraneo, come quello Tunisino, hanno provveduto a chiudere decine di moschee dove, a dire della forza pubblica locale, si predicava l’odio ed il terrore. Sono restate aperte solo le strutture sotto il diretto controllo dello Stato. In Italia oltre alle poche moschee “ufficiali”, come la grande Moschea di Roma, quella di Catania, di Segrate e Colle Val Elsa in provincia di Siena, tra l’altro ben riconoscibili dall’inconfondibile architettura con tanto di minareto, ve ne sono centinaia classificate, più genericamente, come centri di culto islamico. Si tratta di luoghi quasi sempre irriconoscibili dall’esterno per essere posti dedicati alla preghiera. Si tratta in realtà di scantinati, cantine, oppure negozi che, alle ore canoniche e nei giorni prefissati, si trasformano in luoghi di culto improvvisati. A Roma, per esempio, l’attenta osservazione di un negozio posto sotto una chiesa di Piazza Vittorio, ha fatto scoprire che in realtà si tratta di un centro di culto islamico.
Secondo il Ministero degli Interni in Italia, sparse in tutte le regioni, vi sarebbero 180 moschee ed oltre 800 “luoghi di culto” molti coperti dalla la generica denominazione di “centro culturale islamico”. Il condizionale circa il numero di queste strutture è d’obbligo perché il censimento, risalente ad alcuni mesi fa, è ormai del tutto inattendibile. I centri non ufficiali, infatti, si stanno moltiplicando in forma esponenziale spuntando come funghi non solo all’interno dei quartieri delle grandi città tradizionalmente abitati da emigranti musulmani, ma anche nei piccoli centri urbani, come possono essere Tivoli, Acqui Terme o Carpi. Il grosso naturalmente di concentra a Roma, Milano, Napoli e Torino.
Se nella capitale si contano ormai a decine le strutture di culto irregolare, forse un centinaio, concentrate nei quartieri di Tor Pignattara, Centocelle, Piazza Vittorio e Torre Maura, la situazione non è migliore a Napoli nella zona di Piazza Larga e corso Lucci. A Torino c’è grande attenzione a quanto avviene nella zona di Porta Palazzo , dove si estende il grande mercato del Balon e a borgo Dora. A Milano da anni è sotto gli occhi di tutti le attività della moschea di viale Jenner, al centro addirittura di attività investigative internazionali. A Milano come a Roma, però, sono le micro realtà abusive nate in scantinati e capannoni a fare paura. Vi sono pure locali concessi dal comune di Milano ma ora in contestazione. In alcune strutture sono spuntati minareti abusivi sulle case. Le zone di via Padova e via Cavalcanti sono quelle che destano maggiore preoccupazione e che secondo alcuni potrebbero presto trasformarsi in una sorta di zone ghetto islamiche simile al quartiere di Molenkeek a Bruxelles, dove vivevano alcuni dei terroristi che hanno scatenato l’inferno di sangue e morte a Parigi e nella stessa capitale belga.
I casi in cui le autorità riescono ad intervenire con la chiusura dei centri di culto illegali sono rari. Sono difficili le indagini. Anche per la provvisorietà dell’utilizzo dei luoghi si rende complicata la dimostrazione dell’uso improprio dei locali. A Roma e a Cinisello Balsamo ci si è riusciti per la violazione di norme edilizie. A Cinisello, già qualche mese fa il Comune è riuscito ad ordinare il ripristino dello stato antecedente alla realizzazione di alcune opere in un capannone industriale adibito a luogo di preghiera. A Roma l’insolito andirivieni di persone in via Parlatore nel quartiere di Centocelle, dopo le denunce dei residenti, ha permesso di individuare un garage trasformato, grazie a tramezzature non autorizzate, in luogo di culto frequentato da decine di fedeli islamici. Proprio le attività edilizie interne alla “moschea” abusiva hanno consentito l’intervento delle autorità per chiudere il centro di culto.
La presenza di questo universo non controllato desta naturalmente grandi ambasce tra i servizi di sicurezza. Infatti si teme che proprio in questi centri non si possa diffondere con maggiore facilità il seme del terrorismo. In alcune di queste moschee non ufficiali si è registrato in più di una occasione la presenza di imam che incitano al terrore e allo jihadismo. Dunque in queste strutture seminascoste, se non addirittura “invisibili” c’è il fondato rischio di infiltrazione terroristiche grazie all’opera di predicatori itineranti che portano con se il loro bagaglio di idee fondamentaliste che attecchiscono tra un uditorio, spesso solo apparentemente moderato. Tra l’altro, non sempre in tutti i centri culturali, avendo essi una base etnica diversa, si usa lo stesso idioma. Questo rende non sempre facile la comprensione dei sermoni predicati dagli imam. In altre parole si ha l’impressione che il riunirsi per la “preghiera” sia solo una sorta di copertura e che invece il vero obiettivo sia quello di indottrinare alla guerra santa contro i miscredenti. Durante la preghiera si raccolgono fondi per sostenere la jihad e consentire l’apertura di nuovi centri di culto in Italia. Si ha il sospetto, tra l’altro, che le cellule jihadiste “dormienti”, simili ad alcune figure dei romanzi di Ian Fleming, si risveglino sul territorio, riattivandosi all’interno di strutture islamiche non autorizzate.
In verità per mesi, dopo la creazione dello Stato islamico, a Giugno del 2014, da più parti si era sottovalutata la presenza su tutto il territorio nazionale di questi centri di culto islamici non autorizzati. Anche diversi analisti dell’intelligence erano convinti che il proselitismo da parte dell’Isis fosse attuato quasi esclusivamente attraverso i mezzi di comunicazione operanti su internet. Qualcuno aveva detto, usando una dizione cara agli informatici e agli appassionati di nuovi media, che la diffusione delle idee del terrore islamico era fatto attraverso il web 2.0. Invece, se da una parte il proselitismo tra i giovani musulmani, quelli nati in Italia e che frequentano sin da bambini le scuole nostrane, veniva e viene attuato dai reclutatori del Califfato islamico realizzando i primi approcci attraverso internet, la vera e propria affiliazione avviene attraverso alcune segnalate rivendite di generi alimentari islamici ed attraverso alcuni centri islamici non autorizzati. La polizia nel corso delle indagini ha scoperto che l’Isis usa in diverse città italiane, tra cui Roma, come centri di reclutamento alcune rivendite di Kebab. Le sconfitte militari collezionate dal Califfato in Siria ed in Iraq, sta facendo ora evolvere rapidamente le strategie dell’Isis così da portare, come tragicamente si sta verificando, il terrore in Europa. Per riuscire vincente in questa strategia la jihad ha bisogno di basi operative nei centri urbani del vecchio continente. Forse per questo stanno crescendo a dismisura le micro strutture non ufficiali, quasi invisibili, dove si prega ma forse si preparano gli attacchi all’Occidente. Un ruolo speciale potrebbe averlo l’Italia. Da noi, qui in Italia, si sono verificati decine di furti di carte di identità, attuati scassinando gli uffici comunali di diverse città. I documenti sottratti sono migliaia. Forse servono a dare una falsa identità agli uomini del terrore che progettano l’inferno contro i miscredenti, coloro che gli uomini del califfo Al-Baghdadi definiscono indiscriminatamente i nuovi crociati. Intanto a Roma, nei mesi passati, nei quartieri dove è maggiore la presenza dei micro centri di culto islamici, sono apparse scritte inneggianti all’ Isis, contro la chiesa cattolica e la Città del Vaticano.
Antonio Parisi*
Questo articolo, a firma di Antonio Parisi e già pubblicato sul n. 31 del Settimanale STOP nei primi giorni di agosto, è stato riportato su Consul Press per gentile concessione dello stesso autore, che inizierà a collaborare ampiamente fin da questo mese con la nostra testata. Antonio Parisi, già Direttore de “Il Meridiano” e collaboratore con vari periodici, è anche autore di numerosi volumi, tra cui Il Califfato del terrore, gli uomini, le armi e i segreti dello Stato Islamico-2014. GVE- Guido Veneziani Editore.