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Promesse non mantenute

Promesse non mantenute e debito pubblico *___________ di Torquato CARDILLI 

 Pur se affetti da smemoratezza cronica, gli italiani forse ricorderanno la sfida da gradasso che il premier fece pubblicamente, promettendo, a pena di essere chiamato buffone, il pagamento di tutti i debiti arretrati (60  miliardi) della pubblica amministrazione verso i privati entro luglio 2014, tempo poi dilatato fino al 21 settembre (giorno di San Matteo).La promessa fatta nel salotto di Porta a Porta, sull’onda dell’euforia per la vittoria alle elezioni europee, non meravigliò più di tanto lo scettico Vespa che anzi raccolse il guanto di sfida rilanciando con una scommessa, dando per certo il fallimento dell’impegno. La posta: un pellegrinaggio a piedi fino al Monte Senario.

Come sono andate le cose ?  Nessuno dei due ha fatto il pellegrinaggio: entrambi hanno sostenuto di aver vinto la scommessa. Tipica soluzione italiana, come accade dopo le elezioni quando tutti proclamano di aver vinto. Eppure, secondo i calcoli della Cgia di Mestre, che sono poi quelli reali, nelle casse vive delle imprese creditrici sono arrivati appena 30 miliardi sui 60 dovuti

Per spiegare l’ennesimo caso in cui la politica riesce a far diventare la matematica un’opinione, bisogna leggere le motivazioni date dal premier, come nelle sentenze: Renzi ha chiarito (ma lo ha fatto dopo, quando gli è stato chiamato il bluff) che intendeva riferirsi alle somme che il governo avrebbe messo a disposizione, mentre la Cgia di Mestre a quelle effettivamente incassate dai creditori. Il Ministero del Tesoro in effetti sulla base di vari provvedimenti aveva messo a disposizione per i pagamenti arretrati 56 miliardi, ma, come detto, appena la metà era entrata nel ciclo economico delle imprese. E per ottenere quei denari, corrispondenti a fatture per forniture e servizi erogati negli anni anteriori al 2013, le imprese avevano dovuto sottostare ad un complicato iter procedurale consistente nel farsi prima certificare il credito e poi cederlo con la formula del cosiddetto “pro soluto” alle banche o agli intermediari finanziari convenzionati, che sono diventati i creditori della PA: tutto questo non gratis ma a pagamento da parte dei creditori.
Non siamo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma ci troviamo sicuramente di fronte ad un gioco di prestigio perché alla fine le imprese hanno dovuto pagare gli interessi sull’incasso del credito ed il debito pubblico si è accollato il capitale

Al 30 gennaio 2015 risultavano effettivamente erogati solo 42,8 miliardi di euro (su 60) appena 2,7 miliardi in più rispetto alla rilevazione del 31 ottobre 2014 che era di 40,1 miliardi. Comunque, come sottolinea sempre la Cgia, pur con questi pagamenti parziali lo Stato italiano rimane il peggiore pagatore d’Europa. La Direttiva europea 2011/7/UE impone alle PA di pagare le forniture commerciali entro 30 giorni, tranne alcune eccezioni (esempio i servizi sanitari), per le quali il limite massimo è di 60 giorni, ma lo Stato italiano da questo orecchio non ci sente. Secondo Intrum Justitia, la media di attesa europea di 58 giorni è largamente superata: in Italia l’attesa media se tutto va bene è di 165 giorni, ben oltre il limite dei ritardatari cronici come Grecia, Spagna e Portogallo, tutti al di là dei 100 giorni, mentre i migliori pagatori sono la Finlandia con 24 giorni, e l’Estonia con 25, seguite da Islanda, Norvegia, Svezia, Germania e Danimarca (vedi tabella 1)

Ma sul piano dei conti c’è un’altra brutta notizia certificata dall’Istat e dalla Banca d’Italia. Essa riguarda l’indebitamento netto del paese, riferito al periodo 2011-2014. Come noto, il Protocollo sulla procedura per i deficit eccessivi (PDE) annesso al Trattato di Maastricht, prevede che i Paesi europei comunichino due volte all’anno (entro il 31 Marzo e entro il 30 Settembre) i livelli dell’indebitamento netto, del debito pubblico e di altre grandezze di finanza pubblica relative ai quattro anni precedenti, nonché le previsioni ufficiali degli stessi per l’anno in corso. Questi dati, certificati per noi non dal Governo che sarebbe sempre pronto a truccare i conti, ma dall’Istat e dalla Banca d’Italia, costituiscono le principali grandezze di riferimento per le politiche di convergenza per l’Unione Monetaria Europea (UME) e sono sottoposti al processo di verifica di Eurostat (che è l’Istat europeo)

Andiamo al sodo.

I dati dell’indebitamento dello Stato italiano per gli anni 2011-2014, diffusi on line dallo scorso aprile, ci dicono purtroppo che alla fine del 2014 il debito pubblico era di 2.134.920 milioni di euro (detto in lettere duemila miliardi e 135 milioni di euro) pari al 132,1% del Pil e che nel solo 2014 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche è stato di 49 miliardi e 56 milioni di euro (pari al 3% del Pil), con un aumento di circa 1,6 miliardi rispetto al 2013 (quando era stato di 47 miliardi e 455 milioni di euro, corrispondente al 2,9% del Pil).

Il saldo primario (cioè l’indebitamento al netto della spesa per gli interessi) è stato dell’1,6% del Pil, con una diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto al 2013, mentre la spesa per gli interessi, seppure in diminuzione di uno striminzito 0,1% è stata pari al 4,7% del Pil.

Chi volesse aprire meglio gli occhi di fronte a questa voragine, che è un vero e proprio disastro di finanza pubblica, non ha che da esaminare la tabella 2, redatta in miliardi di euro, che evidenzia in modo drammatico come il 2014 (anno di governo Renzi) non abbia prodotto i grandi risultati sbandierati.
Dopo l’ubriacatura della finanza allegra cosiddetta creativa e delle cartolarizzazioni di Tremonti (con tutti i guasti della privatizzazione di Energia, Autostrade, Trasporti, Comunicazioni, ecc. e il saccheggio dei nostri gioielli industriali) si è passati alla cura da cavallo di Monti improntata alla vecchia, ottusa, iniqua logica dei tagli lineari di spesa e della tosatura a sangue dei contribuenti onesti, anziché essere indirizzata a colpire l’evasione, ad azzerare gli sprechi, ad abolire i privilegi a cominciare da quelli della classe politica nazionale e locale. Nonostante i duri sacrifici imposti al popolo italiano in fatto di aumento di tasse, di riduzioni di proventi, di blocco delle pensioni, di taglio ai servizi, dal 2012 non si è ottenuta una sostanziale riduzione del debito che invece ha continuato ad accumularsi, tanto che nel 2014 ha superato i livelli del 2012 e del 2013 (rigo 1).
Può uno straccio di uomo politico, di parlamentare, di dirigente di quelli che vomitano in continuazione nei talk show improperi contro questo e quello, dando la colpa del disastro a chi fino ad ora non è mai stato nella stanza dei bottoni, spiegare per favore che cosa hanno fatto con i soldi dei sacrifici degli italiani? Forse che è stata completata la Salerno-Reggio Calabria? Sono migliorati i servizi al cittadino? E’ stata protetta la maternità con asili nido pubblici? E’ stato fatto il ponte sullo Stretto? Sono state risanate le scuole che cadono a pezzi? E’ stato messo in sicurezza dal dissesto idrogeologico il paese? Sono stati indennizzati i terremotati e gli alluvionati abruzzesi, sardi, liguri, emiliani, veneti, piemontesi? E’ stato bonificato il sito dell’ILVA di Taranto o della terra dei fuochi? E’ stato concesso il reddito di cittadinanza? E’ stata ricostruita l’Aquila? E’ stata realizzata la banda larga? E’ stato risolto il problema dell’immigrazione? Nulla di tutto questo. Hanno continuato a gozzovigliare come prima, mentre i sacrifici degli italiani non sono bastati neppure per pagare gli interessi sul debito.

Ciò che più spaventa è l’evidente  incapacità di questa classe dirigente di creare lavoro, di incentivare il ciclo economico, di aggredire il mostro del debito pubblico che non conosce sosta nella voracità di sempre maggiori risorse (rigo 3) come del resto confermato dalla sua incidenza sul Pil (rigo 4).

L’unico marginale elemento positivo lo si riscontra nell’andamento in discesa del montante degli interessi pagati annualmente sul debito (rigo 5) ma questo non è il frutto di una politica economica del governo, di un negoziato ferreo con l’Europa, è bensì la risultante congiunturale di condizioni esterne quali la discesa dei tassi di interesse, l’intervento della BCE, il deprezzamento dell’euro, il drastico calo del costo dell’energia. Tuttavia poiché il Pil è in decrescita (rigo 10) l’incidenza degli interessi passivi su di esso rimane stazionaria (rigo 6) così come la variazione del debito (rigo 7).
Dunque ci si può rallegrare per il saldo primario raddoppiato tra il 2011 e il 2012 e poi avviato in fase discendente (rigo 8)? No, non ci si può rallegrare perché questo balzo in avanti nel 2012 ha rappresentato esclusivamente il sangue dei sacrifici italiani la cui incidenza sul Pil (rigo 9) sta a significare che la sbandierata spending review non è stata applicata per cancellare gli sprechi e i privilegi, ma solo per diminuire il welfare e torchiare ancora di più il paese.


TAB. 1 – Tempi di pagamento nei paesi europei da parte dell’amministrazione pubblica 

Paese

Giorni di attesa
per il pagamento

Giorni di discostamento
dalla media europea

Italia

165

+107

Grecia

155

+96

Spagna

154

+96

Portogallo

129

+71

Cipro

84

+26

Belgio

68

+10

Croazia

62

+4

Francia

59

+1

Bulgaria

57

-1

Slovacchia

55

-3

Ungheria

54

-4

Lituania

52

-6

Slovenia

51

-7

Romania

46

-12

Repubb. Ceca

44

-14

Irlanda

44

-14

Olanda

44

-14

Austria

40

-18

Svizzera

40

-18

Regno Unito

40

-18

Polonia

38

-20

Lettonia

37

-21

Danimarca

35

-23

Germania

35

-23

Svezia

35

-23

Norvegia

34

-24

Islanda

33

-25

Estonia

25

-33

Finlandia

24

-34

MEDIA EUROPEA

58


TAB. 2 – Debito pubblico italiano certificato dall’ISTAT (aprile 2015)

Voce

2011

2012

2013

2014

  1.Debito netto annuo

57,154

48,310

47,455

49,056

  2. % PIL

3,5

3,0

2,9

3,0

  3. Debito pubblico totale

1.907.479

1.938.901

2.068.722

2.134.920

  4. % sul PIL

116,4

123,1

129,5

132,1

  5. Interessi passivi annuali

74,416

84,086

77,942

75,182

  6. % sul PIL

4,7

5,2

4,8

4,7

  7. Variazione debito sul PIL

3,4

5,0

5,0

4,1

  8. Saldo primario

19,262

35,776

30,487

26,126

  9. % sul PIL

1,2

2,2

1,9

1,6

10. PIL

1.638.857

1.615.131

1.609.462

1.616.048

*Articolo già pubblicato sul quotidiano “L’ITALIANO.it”, ripreso per gentile concessione dell’Autore .