SVEZIA ed altro…. poi INTERVISTA A MARCO TARCHI ( da LINEA)
Svezia: successo dei populisti
Il partito populista svedese ha superato lo sbarramento elettorale e acquisito una rappresentanza parlamentare.
Crediamo sia interessante linkare un loro spot elettorale peraltro non trasmesso dalla TV commerciale ( il che avrebbe garantito un enorme successo su you tube)
https://www.youtube.com/watch?v=XkRRdth8AHc
DIARIO di uno SQUADRISTA TOSCANO
Dall’introduzione di Adriano Scianca: «Sostieni la squadra del cuore»: devono essere stati veramente sorpresi i cittadini romani quando nel 2006 si svegliarono trovando la città tappezzata di manifesti riecheggianti esplicitamente lo squadrismo. Gli autori di quel messaggio beffardo erano i ragazzi di Casa Pound, che si riappropriavano per la prima volta dopo anni dell’epopea delle prime camicie nere.
Un avventura rivoluzionaria dirompente, i cui protagonisti erano in larga parte giovani (il 40% circa, fra i componenti delle squadre, è formato da studenti, l’età media era di circa 23 anni) o eroi della Grande Guerra: i comandanti erano quasi sempre decorati al valore. Lo squadrismo fu scuola di pensiero e di azione contro chi fugge la lotta e trova alibi al proprio sfaldamento esistenziale.
Ma squadrismo fu anche stile del “Me ne frego!”, che non vuol dire solo farsi carico dei rischi della propria scelta esistenziale («Questa è la nostra vita», conclude con eroico amor fati il resoconto di una spedizione il diciassettenne Norberto De Bruyn) ma anche sfidare la morte e riderne. Tipico di questo gusto beffardo per la goliardia erano ad esempio i finti verbali che le squadre dettavano nei consigli provinciali e comunali dei rossi in cui avevano poco prima fatto irruzione: «Deputazione provinciale Rossa. Adunanza del giorno tal dei tali; presidente: Leprendo; consiglieri: Leprendiamo. Ordine del giorno: schiaffi».
INTERVISTA a MARCO TARCHI:
«Ecco 30 anni di “democrazia” di Fini»
Il professor MARCO TARCHI, docente universitario e politologo stimato a livello italiano ed europeo, è un profondo conoscitore degli ambienti e delle dinamiche della Destra dell’ultimo trentennio. “Corteggiato” dalle più importanti testate giornalistiche del nostro Paese, ha concesso a LINEA un’intervista esclusiva per analizzare la situazione della Destra italiana ed esprimere la sua opinione sulla possibilità che emerga una nuova “Nuova Destra”.
Professor Tarchi, lei fu per lungo tempo “una promessa” dell’Msi, ma poi arrivò l’espulsione dal partito nel 1981. Perché?
Per una vecchia ruggine, inspessita con il tempo. Quando ero l’esponente più in vista della corrente guidata da Pino Rauti nel Fronte della Gioventù, Almirante mi fece offrire tramite il Presidente del partito, Pino Romualdi, la Segreteria nazionale dell’organizzazione giovanile, la cooptazione immediata nel Comitato centrale e nella Direzione nazionale del Msi e… il posto numero 5 in lista nella circoscrizione laziale per la Camera quando si fossero tenute le successive elezioni, se avessi accettato di presentarmi nell’imminente Congresso nazionale missino “al di sopra delle parti”, tenendo un discorso di esaltazione dell’unità del partito e, di fatto, staccandomi da “Linea futura”. Rifiutai. Ero troppo legato al mio “piccolo mondo” interno e, va detto, troppo fiducioso di poter comunque in futuro, senza eccessivi compromessi, conquistare il partito dall’interno assieme ai miei amici. Un errore di sopravvalutazione. Almirante non mi ha mai perdonato quell’atto di orgoglio. Ma decisive furono due vicende di poco successive. In primo luogo, all’Assemblea nazionale del Fronte della gioventù che doveva indicare i sette nomi della “rosa” fra i quali, come un diktat statutario imponeva, Almirante avrebbe scelto il nuovo Segretario, si tentò con insistenza di non giungere ad un voto, ma non ci si riuscì per l’opposizione mia e degli altri dirigenti rautiani – non tutti, perché Rauti, che aveva stretto un accordo con Almirante per entrare nell’organo supremo di gestione del partito, la Segreteria, non voleva frizioni e ordinò ai suoi fedelissimi che avevano diritto al voto di non parteciparvi (ed erano quasi trenta) –, cosicché il candidato in pectore (ma noto a tutti), Gianfranco Fini, subì una pesante batosta, piazzandosi al quinto posto. La cosa mandò Almirante letteralmente su tutte le furie, a tal punto che nell’incontro di due giorni dopo con i sette “papabili” rifiutò la parola ai presunti interlocutori e disse testualmente: «Avete fatto un torto al vostro Segretario e questo gesto non me lo dimenticherò mai». Quando poco tempo dopo, in una discussione in Direzione nazionale in cui i rautiani erano stati accusati di frazionismo, intervenni per ribaltare l’accusa – dati e nomi alla mano – sugli almirantiani che nelle federazioni emarginavano, destituivano o espellevano gli oppositori, la frattura divenne insanabile. Nel marzo 1979 mi dimisi dalla Vicesegreteria nazionale del Fronte della Gioventù con una lettera polemica nei confronti della prassi epuratoria di Fini. Non condividevo quasi più niente dell’azione del partito. Ci rimanevo – altro errore… – per sentimentalismo. Ma nel frattempo tutto il mio impegno era dedicato alla Nuova Destra, che dal Msi aveva ormai preso forti distanze. Almirante aspettava il momento giusto per regolare i conti e lo colse quando uscì su La voce della fogna, la rivista satirico-politica che animavo da sei anni, una falsa pagina del Secolo d’Italia i cui autori (Stenio Solinas e Umberto Croppi) mettevano alla berlina la nomenklatura del partito. Alcuni degli sbeffeggiati, in testa Mirko Tremaglia, chiesero la mia testa e la ottennero. Con un provvedimento ad personam, di «decadenza dall’iscrizione», «in virtù dei poteri straordinari concessi dallo Statuto al Segretario nazionale» perché, in quanto componente di Comitato centrale e Direzione nazionale, l’espulsione avrebbe potuto essere appellata ai probiviri. Fra i quali godevo di una certa stima.
Cosa si sentirebbe di dire a Fini che dal palco di Mirabello ha giudicato «incomprensibile» la sua espulsione dal Pdl?
Sarebbe banale ricorrere al “chi la fa l’aspetti”. Direi invece che un politico accorto come lui dovrebbe sapere che, quando si fa opposizione sistematica dall’interno ad un partito cui si appartiene, la cacciata va inclusa fra i rischi. E che, certo, chi ha usato per decenni la clava dei provvedimenti disciplinari contro i dissidenti, fa sorridere chi ne conosce la carriera quando grida al “clima da caserma” instaurato nel Pdl da Berlusconi e al diritto ad esprimere opinioni divergenti da quelle del capo.
Qualcuno sostiene che Fini ha rubato l’idea dell’“andar oltre” della “Nuova Destra”, è vero? E secondo Lei potrebbe nascere da questo “neopartito” la famosa sintesi che la “Nuova Destra” andava definendo alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80?
In politica, a nessuno viene riconosciuto il copyright delle formule. Di certo, la direzione presa da Fini e dai suoi non ha niente a che vedere con quella seguita a suo tempo dalla Nuova Destra. L’ho documentato nel libro “La rivoluzione impossibile. Dai Campi hobbit alla Nuova destra”, che ho pubblicato di recente per Vallecchi, e ho sfidato chiunque a trovare convergenze tematiche e di argomentazioni tra le migliaia di articoli comparsi nel tempo sulle pubblicazioni della Nuova Destra – “Elementi”, “Diorama”, gli atti dei convegni, i molti altri libri – e quanto sostiene oggi la “destra nuova” di Farefuturo, Charta Minuta & Co. Mi è capitato di dire che, paradossalmente, laddove nella sua ricerca proiettata al di là della destra e della sinistra la Nd guardava a sinistra (politica internazionale ed estera, critica del modello di sviluppo sociale capitalista, rivendicazione della specificità culturale dei popoli e critica dell’occidentalismo, teorie economiche, temi legge-e-ordine…), Fini e i suoi guardano a destra, e dove la Nd manteneva opinioni di destra (temi etici, giudizi sulla globalizzazione e sulla società multietnica, opposizione alla dittatura della political correctness sulla ricerca storica…) i finiani si sono spostati a sinistra. Mi sembra sempre più vero.
Questa operazione Futuro e Libertà ricorda molto un’operazione di vecchia data, 1976, “Democrazia nazionale”… Ci spiega se vi sono più similitudini o differenze?
Mi pare più corretto affiancare Alleanza nazionale a Democrazia nazionale, perché le due operazioni, pur tenendo conto delle notevoli differenze di contesto, presentano una notevole somiglianza di scopo: scrollarsi di dosso l’ombra delle radici fasciste e spostarsi verso il centro, ma su posizioni nazional-conservatrici, per rendersi appetibili come alleati e passare dall’opposizione al Governo. Futuro e libertà, invece, punta su un sistematico adeguamento alle opinioni “politicamente corrette”. Lo scopo della manovra è apparire come gli unici elementi ragionevoli, onesti, dialoganti, corretti, “buoni” dell’area governativa e perciò, nell’ipotesi di una scomparsa di scena improvvisa e drammatica di Berlusconi dalla scena, fare di Fini il candidato ideale per favorire un accordo di transizione sorretto dal consenso almeno di Udc e Pd. Penso tuttavia che l’accelerazione del conflitto Fini-Pdl abbia nuociuto a questo progetto, mettendone a rischio il successo.
Lei in un lungo articolo pubblicato su Il Foglio già a maggio contestava a Fini la coabitazione a Palazzo Grazioli e sosteneva che tra i due ci fosse «uno scontro di carattere, di ambizioni personali e non un contrasto di programmi e progetti». Sono ancora valide quelle parole?
Le considero ancora più valide. Lo stesso inasprirsi dello scontro sta a confermarlo: è evidente che Fini non si considera fatto per un ruolo subordinato a chicchessia, scalpita per avere il ruolo di protagonista. Quanto ai programmi, al di fuori dell’esasperato “buonismo” esibito in ogni frangente, dalle pagine delle pubblicazioni finiane non ne vedo emergere la benché minima traccia. Scorgo solo una strategia di appropriazione di tutto quello che fa spettacolo e consenso, che del resto era stata inaugurata ai tempi di Alleanza nazionale. È un vero e proprio guazzabuglio, in cui può entrare di tutto: dall’elogio di Doctor House all’andirivieni dei giudizi sull’uso dell’energia nucleare. Leggere per credere.
Fini resterà con Berlusconi o farà cadere il Governo?
Chi segue i dettami della scienza politica deve rifuggire dal mestiere del chiromante. Sul terreno delle mere congetture, credo non gli convenga far cadere il Governo prima di aver organizzato il suo partito. Gli fa molto più gioco logorarlo con critiche quotidiane, anche perché la posizione in cui si è collocato gli è valsa un vantaggio non da poco: può attaccare Berlusconi sui suoi punti deboli ergendosi a custode della legalità, della tolleranza, della laicità e del rispetto della Costituzione, senza aver bisogno di chiarire cosa farebbe al suo posto.
Lei ha detto che tra i problemi che potrebbero insorgere, dalla morte della destra italiana, c’è la deriva dei giovani, nostalgici e totalitari, cosa bisognerebbe fare per loro?
L’esatto contrario di quello che ha fatto Fini in An: sostituire alle apologie di un tempo e alle deprecazioni successive del fascismo, dell’autoritarismo e del totalitarismo un serio e sistematico studio critico delle esperienze che vi si richiamarono. In epoca non sospetta, io denunciai l’effetto pernicioso dei “venditori di immaginette” che spacciavano letteratura apologetica di scarsa o infima qualità in argomento. Ne nacque una dura polemica, in cui non mi vennero risparmiati gli insulti, ma l’andazzo non cambiò, se non nel microcosmo della Nuova Destra, che in questo campo ha operato molto bene. Poi, con l’opportunità offerta da An, venne il tempo dei voltafaccia improvvisi, delle abiure proclamate a gran voce e di un ancor più accentuato nicodemismo: coltivare in privato il culto degli idoli infranti in pubblico. Ai giovani, specie se di sentimenti radicali o estremi, questo modo di comportarsi non può che suscitare disgusto. Si spiega così la deriva oltranzista odierna. Che forse è troppo tardi per contenere.
Claudio Pescatore e Graziella Giangiulio
https://www.lineaquotidiano.net/node/13768
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