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Un Paese in dissesto

Un paese dissestato dalla politica_________________ di Torquato CARDILLI *

Avviso ai lettori: mettete da parte questo articolo e leggetelo tra qualche giorno al  momento opportuno, quando apparirà come cronaca di un disastro annunciato.

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Siamo a fine estate ed è logico attendersi grandinate e temporali che, da parecchi anni, hanno assunto una virulenza ed una frequenza fuori dell’ordinario, con conseguenze disastrose. Fanno notizia non solamente le lamentele degli albergatori per la stagione inclemente, gli inutili cinguettii del premier, le rampogne dell’Europa per la nostra inettitudine furbesca nei conti, le brutalità di guerra in Medio Oriente, i conati militareschi della Nato in funzione anti Putin, o gli sbarchi di disperati mentre la criminalità transnazionale continua indisturbata i suoi affari.

Tv, radio e giornali, di qualsiasi tendenza colore ed editore, oramai ripetono stancamente sempre gli stessi titoli: bomba d’acqua, condizioni meteorologiche impreviste e imprevedibili, caso eccezionale, precipitazioni di tot millimetri in pochissimo tempo e in una zona circoscritta, esondazioni e straripamenti, frane e raffiche, impianti devastati, agricoltura in ginocchio, monumenti che cadono, caos del traffico, sottopassaggi invasi dall’acqua, ferrovie interrotte, intervento della protezione civile, vigili del fuoco, volontari ecc., tot dispersi, tot salvati, tot miliardi di danni.

Tutti i numeri fanno parte ormai di una stanca ripetitiva ritualità di contabilizzazione delle perdite di vite umane, di porzioni di territorio con le relative attività economiche, di degrado del patrimonio culturale e del prestigio nazionale come se tutto questo fosse un’abituale e ineluttabile tassa da pagare alla natura.

Provvedimenti sbandierati: solidarietà dalle alte cariche dello Stato verso i familiari dei morti che avrebbero dovuto essere garantiti dall’amministrazione della cosa pubblica se questa fosse stata un’istituzione onesta e qualche striminzito finanziamento annunciato come strumento risolutivo. Tanto per fare scena!

I pochi politici che non arrossiscono di vergogna e che intervengono per commentare sottolineano la furia imprevista delle avverse condizioni atmosferiche per giustificare la loro partecipazione al rito dello scarica barile delle responsabilità politiche ed amministrative. Mai un Sindaco o un Presidente di regione che di fronte al disastro si dimetta per non aver provveduto in tempo a segnalare il pericolo o per non averne potuto eliminare le cause perché impedito a farlo da una politica sorda alle esigenze della gente.

In America, dove per ogni azione c’è sempre un responsabile anche se si tratta di evento atmosferico, se ad un passante  capita di scivolare su un marciapiede ghiacciato il primo ad essere citato in giudizio è il proprietario della casa prospiciente.

In Italia, invece, ogni disastro resta sempre senza uno straccio di responsabile umano. La colpa è divina, di Giove Pluvio!

La ripetitività ciclica di tali fenomeni è già un fatto talmente accertato e ricorrente che gli amministratori inetti non possono più ripararsi dietro il paravento dell’imprevedibilità. Una frana si può contenere, il fango può essere deviato, gli sbarramenti temporanei e gli argini possono essere monitorati e rinforzati, gli alvei dei torrenti e fiumi possono essere controllati e ripuliti dai tronchi, le strade (specialmente quelle cittadine) possono essere tenute sempre in ordine senza intralci di fogliame e spazzatura negli scoli, i ponti possono essere tenuti sotto una costante manutenzione, il territorio può essere reso geologicamente sicuro e protetto, le mura antiche e i ruderi storici possono essere curati: abbiamo tutta la tecnologia necessaria per progettare ed eseguire opere e misure di prevenzione. Allora cos’è che non funziona?

Non funziona la politica che è stata complice del dissesto del territorio: autorizzando e condonando la cementificazione laddove è proibita oltre che dalla legge dalla logica e dal semplice buon senso, mostrandosi indifferente al degrado continuo del patrimonio culturale del luogo e del paesaggio, partecipando sistematicamente, e con maggiore improntitudine e vigliaccheria, negli ultimi 20-30 anni, al banchetto degli affari imbandito dai costruttori a cui l’interesse pubblico fa venire l’orticaria e che anzi si scompisciano nel letto dalle risate quando sentono la notizia di catastrofi che significano appalti milionari.

Mancano i soldi? No, manca la volontà e l’intelligenza di una classe dirigenziale autoreferenziale, interessata solo al proprio benessere.

Se la politica (il termine starebbe ad indicare la sana amministrazione della città) che ha tutti gli strumenti per intervenire fa le leggi che non servono a nulla, o che non possono essere applicate per mancanza dei decreti attuativi, o che restano sulla carta per assenza dei finanziamenti, o che vengono bloccate o bypassate per la resistenza delle lobby e della burocrazia, o che addirittura nascondono varchi in cui si infila la malavita, non è colpa di Giove pluvio, ma degli uomini immeritatamente elevati al rango di amministratori pubblici mentre in realtà sono professionisti del nulla, maestri dei distinguo cavillosi, profittatori di prebende, sfruttatori di privilegi, percettori di mazzette.

Anziché baloccarsi con la riforma del Senato in senso autoritario, intestardirsi sull’acquisto dei bombardieri F35, inciuciare con un condannato per la riforma della giustizia, chinare il capo di fronte all’imposizione di sanzioni anti Russia, contrarie alla nostra esportazione agricola di eccellenza, lamentarsi a vuoto con Bruxelles per lo sforzo di accoglienza dei disperati, il Governo che deve fronteggiare una recessione senza limiti, avrebbe fatto bene, e può ancora farlo, ad esercitare nel modo più pressante le sue prerogative di presidenza di turno dell’Unione Europea. Come? Varando un colossale piano di protezione ambientale da almeno 40 miliardi di euro, cioè un programma di recupero dei siti archeologici abbandonati al perenne degrado e di messa in sicurezza del territorio, del paesaggio, dei litorali, dei bacini idrografici e fluviali, con la revoca di abitabilità a tutte le costruzioni, abusive e non, edificate in luoghi insicuri e correlato piano di edilizia popolare. Con quali soldi? L’Europa dovrà essere messa di fronte al fatto compiuto di accettare senza obiezioni di sorta uno sforamento dei conti (il famoso limite del 3% tranquillamente superato dalla Francia) per la salvezza nazionale, così come al popolo vengono di continuo chiesti sacrifici addizionali in nome di un interesse internazionale. Il patto di stabilità, il fiscal compact, il pareggio di bilancio non possono costituire un ostacolo insormontabile che impedisca la salvezza del patrimonio nazionale. Per l’Italia il piano di protezione ambientale è una questione vitale e se Renzi non lo capisce finirà nel degrado del mausoleo di Augusto.

Abbiamo esperti geologi che da anni predicano al vento, archeologi e restauratori pronti a mettersi al servizio del bene comune per la protezione del patrimonio culturale, dipartimenti universitari che sfornano di continuo studi sui pericoli di disastri causati dall’innesco di eventi naturali, genio militare e della protezione civile che sanno benissimo quali sono i punti critici della tutela del territorio, ma il miracolo italiano consiste nella negazione della fisica galileiana: Eppur nessun si muove!

 *Editorialista su “L’Italiano.it” – quotidiano on line  (già Ambasciatore d’Italia sino al 2009)