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Una dissertazione sui “mutui”

DINO TARQUINI *- il giovane autore di questo saggio – ci sottopone tre suoi interventi riguardanti le tematiche giuridiche di uno stesso istituto, affrontandone i vari aspetti, in sequenza e in modalità differenti, tramite una introduzione e due brevi trattazioni successive. Il 1° intervento è finalizzato ad introdurre il suo approccio alle problematiche di diritto; il 2° intervento tratta l’istituto giuridico del mutuo in maniera leggera, abbinando parti tecniche ad analisi di pensiero personali; il 3° intervento riguarda una riflessione legata all’attualità.

1 – OGGI cercherò di accompagnarvi in un breve ma, spero, interessante viaggio all’interno dell’ordinamento giuridico. Scopo ultimo del nostro percorso sarà quello di scorgere all’interno della norma l’anima teleologica, che ci possa mostrare la sua finalità. Domandandomi da cosa potessi iniziare, osservando l’architettura sociale nella quale siamo immersi, non ho potuto non notare la rilevanza acquisita, con il progredire del capitalismo, sempre più finanziario, da un contratto commerciale tristemente protagonista della crisi odierna dalla quale, probabilmente, non siamo ancora del tutto usciti: mi riferisco, ovviamente, al contratto di mutuo. Furono proprio gli ormai celebri “mutui subprime” a far esplodere la bolla nel mercato americano dei mutui immobiliari e a dar inizio al periodo nero finanziario prima, economico poi.

Vale la pena, pertanto, conoscere come il nostro sistema giuridico disciplina tale contratto. Partendo dalla nozione, ex articolo 1813 del codice civile, possiamo individuare come parti del negozio giuridico il mutuante, ovvero colui che consegna una determinata quantità di cose fungibili, ed il mutuatario, vale a dire colui che è destinatario delle “res” ed assume l’obbligo di restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. Partendo da tale norma è semplice palesare la natura giuridica: in primis è necessario considerare la realità del contratto, essendo oggetto dello stesso una res (una cosa) o più res. Tali cose sono, appunto, fungibili, quindi sostituibili, e fra le cose date e quelle restituite deve necessariamente esserci una corrispondenza non solo quantitativa, bensì anche qualitativa (tantundem eiusdem generis). Si ha inoltre il cosiddetto sinallagma, poichè esiste uno scambio dovuto alle prestazioni corrispettive. Se da una parte il mutuante deve adempiere alla sua obbligazione consegnando le res oggetto del rapporto giuridico, dall’altra in capo al mutuatario sorge l’onere di corrispondere gli interessi maturati sul capitale acquistato (il mutuatario è titolare di un diritto reale sulla somma mutuata). Qui si palesa il carattere del contratto che lo ha reso fortemente impopolare, fino a farlo divenire, secondo la communis opinio, il simbolo dello strapotere disumano delle banche. Gli istituti di credito, i quali generalmente rivestono il ruolo di mutuanti, sono i destinatari della controprestazione del mutuatario, per il quale il negozio giuridico ha natura ovviamente onerosa, ed a volte, a causa di meccanismi complessi, fin troppo onerosa. La questione che si pone è chiaramente “extra ordinem” e di carattere sociale: è sufficiente osservare i dati per notare l’impoverimento delle famiglie italiane sulle quali grava il fatidico mutuo. Si pensi ad esempio che in nome della libertà contrattuale, principio nobile che ritengo debba sempre esser messo al centro del sistema giuridico, è valida la pattuizione con la quale vengono determinati interessi superiori alla misura legale, purchè non in misura usuraria. Ma non è forse opportuno tener conto dell’ugualmente nobile principio di equità, il quale a causa di evidenti asimmetrie informative tra le parti (di recente la Cassazione è intervenuta per attenuarle) sembrerebbe essere messo da parte? È opportuno approfondire, pertanto, gli strumenti a disposizione del cittadino comune per usufruire al meglio dei propri diritti. Difatti la scelta tra tasso fisso e variabile è questione di merito, relativamente alla quale il mutuatario ha piena discrezionalità e totale responsabilità: preferisce il primo, di massima, colui che ritiene che il costo del denaro aumenterà nel periodo di durata del mutuo; se così sarà, avrà fatto un buon affare, perché la sua rata resta invariata; ma se invece il costo del denaro diminuisce, potrà trovarsi a pagare un interesse “fuori mercato”, senza avere, in termini contrattuali, alcun diritto nei confronti della banca di modificare le condizioni del mutuo . Preferisce il tasso variabile in particolare chi ritiene che il costo del denaro possa ancora scendere, e non vuole perdere la possibilità che la sua rata di pagamento si abbassi conseguentemente; se, invece, il costo del denaro sale, aumenterà anche l’importo della rata. Particolari interessi sono quelli di mora, cioè quelli che cominciano a decorrere su una rata scaduta e non pagata, fintantoché il pagamento avvenga. La decorrenza degli interessi moratori ripaga la banca del ritardo nel poter disporre del denaro rispetto alla scadenza prevista, ed aggrava, evidentemente, la posizione debitoria del mutuatario. Il tasso di mora è generalmente superiore a quello ordinario, al fine di disincentivare il ritardo nei pagamenti; anch’esso, però, secondo i più recenti orientamenti normativi e giurisprudenziali, non può esorbitare certi livelli, affliggendo in modo eccessivo il mutuatario. Occorre fare attenzione, perché in alcuni contratti, accanto alla mora, fissata in termini del tutto consoni, si aggiungono altre voci (commissioni di insoluto, spese di recupero crediti, ecc.), che ottengono nella sostanza il risultato di maggiorare il montante di risarcimento a carico del mutuatario. Il ripetersi di ritardi, o addirittura di definitivi mancati pagamenti delle rate, può condurre alla decadenza dai termini di dilazione e alla risoluzione del contratto per inadempimento assoluto. Tutto questo rende l’idea della effettiva complessità della figura: il contratto di mutuo, tipico prodotto di una prestazione intellettuale, ben si presta a essere concepito come una composizione di ingegneria giuridica, nella quale non si deve perder di vista la “ratio”, ovvero la funzione redistributiva a vantaggio di chi ha bisogno, con un equo compenso per chi redistribuisce, ponendo le parti sullo stesso piano, in virtù dei fondamenti del diritto privato.

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2 – ARISTOTILE già nel IV secolo a.C. affermava che l’uomo è un “animale sociale”. La tendenza umana a rapportarsi con il prossimo ha portato, difatti, nel corso dei secoli, a perfezionare sempre più i contratti sociali alla base di ogni societas. È da tali patti che prendono corpo, d’altronde, gli ordinamenti giuridici, ovvero il complesso di regole generali ed astratte volte a disciplinare una serie indeterminata di casi. Si tratta, a ben vedere, di un sistema necessariamente coatto, fondato sulla previsione di specifiche reazioni dell’ordinamento (sanzioni) alle violazioni delle norme (si tenga conto, ad onor del vero, che esistono comunque norme imperfette, ovvero prive di sanzioni, oppure “minus quam perfectae”, con sanzioni non adeguate alla gravità della violazione). Una tale imposizione, per di più, almeno nei sistemi scarsamente democratici, proveniente dai gruppi dirigenti, ha posto ai soggetti più riflessivi, più critici, più “spirituali”, in taluni casi persino ribelli o comunque più intellettualmente dinamici e con un “animus” senza dubbio lontano dalla pigrizia, una questione mai tramontata: perché rispettare la legge? È giusto lasciarsi guidare dalla morale anche se essa porta a violare una norma? L’eroina greca Antigone sosterrebbe certamente di si, e di seguaci pronti a scagliarsi contro il Creonte di turno in nome delle “leggi non scritte” ne avrà sempre molti. I rapporti tra diritto ed etica si sono da sempre intrecciati, ponendo degli interrogativi ai quali non è semplice dare risposta. Un punto di incontro lo si è trovato agli inizi dell’epoca moderna, quando l’etica giusnaturalista ha fornito al diritto una fondazione comune, che andava oltre le divisioni religiose e nazionali. E’ stata un’alleanza proficua che ha prodotto le prime istituzioni liberali, nonché l’idea di diritti individuali fondati su un nucleo morale inalienabile, come protezione della dignità umana contro l’arbitrio del sovrano. L’alleanza ha cominciato a cedere quando l’idea di autonomia individuale si è allargata e ha cominciato a includere aree sempre più ampie della condotta, e si è fatta strada la convinzione che la moralità non sia affatto di pertinenza dello Stato, ma degli individui: ciò che lo Stato si deve limitare a fare è garantire la convivenza e la possibilità di ciascuno di condurre la vita che preferisce. Ma fino a che punto lo Stato può fare a meno di un’etica e di quale etica ha bisogno se vuole tutelare il pluralismo e il rispetto dell’autonomia di tutti?  Parte della dottrina sostiene che le nostre società occidentali sono tenute insieme da una moralità cristiana di fondo che ispira alcuni concetti giuridici centrali e che è funzionale a sostenere la coesione sociale. Si delineerebbe, citando Machiavelli, una sorta di “instrumentum regni”: la morale religiosa come mezzo per garantire la pace sociale. D’altronde, si potrebbe rammentare, Karl Marx individuava nella religione l’oppio dei popoli. Ma siamo certi che sia così? Non è forse la religione stessa a creare un’etica collettiva che permette alla “vox iuris” di liberarsi dalle polverose pagine codicistiche per tramutarsi in un concreto ordine di giustizia? Come si può notare le domande aumentano, e la questione pullula di spunti interessanti che costeggiano i confini della morale, della filosofia del diritto e persino della politica. Chi scrive vorrebbe, nel suo piccolo, tentare una riflessione che punta al cuore dell’ordinamento, individuando l’anima delle norme; quella “ratio legis” che permette di rivelare nel diritto un ordine eticamente ispirato fra gli uomini. Interpretando teologicamente le norme si cercherà di scoprire ove il legislatore è riuscito a sovrappore diritto naturale e “ius in civitate positum” ed ove il vulnus tra etica e legge risulta essere ancora insanabile. Prendendo in esame degli istituti e sottoponendoli ad un’analisi non solo giuridica ci si propone di stimolare il lettore ad un approccio critico, in primis nei confronti delle eventuali tesi sostenute dal sottoscritto, semplice studente appassionato di Diritto e, in secundis, del più esperto legislatore, anch’egli non infallibile. Il diritto, difatti, è vita: non è morto ed è in continua evoluzione. Siamo noi, con i nostri comportamenti, con i nostri usi e le nostre consuetudini ad orientare il percorso giuridico, e siamo noi pertanto ad essere chiamati a pronunciarci sulle regole che disciplinano la nostra quotidianità. “Ignorantia iuris non excusat”: bisogna conoscere il diritto. In un paese come il nostro con una quantità incredibile di leggi tale massima assume un significato ancora più importante. E lo dobbiamo conoscere non solo per poter rispettare le norme, ma anche e soprattutto affinchè possiamo controllare l’opera del legislatore, possiamo formarci una coscienza critica e diffondere una “leadership diffusa” che, a mio avviso, risulta necessaria in tutti gli ambiti sociali. Vale a dire che tutti devono poter partecipare ad un dibattito culturale avente ad oggetto le norme che andranno a regolare la nostra vita. Tutti devono poter essere giuristi. Tutti devono poter essere “dottrina”. In ultima analisi, il mio scopo non è altro che questo: rendere un po’ più democratico il Diritto, mettendo l’accento non solo sulla norma, quanto più sugli schemi cognitivi che stanno dietro di essa, cercando di comprendere qual è l’essenza dell’ordinamento e qual è il ruolo della morale all’interno di esso e, per chi volesse accettare la mia sfida, all’interno di noi stessi.

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3 – Per gli italiani la casa è un luogo “sacro”. Le ragioni di tale peculiare visione risiedono evidentemente nelle profonde radici culturali che caratterizzano le nazioni dell’Europa meridionale ed in particolare i popoli cattolici. Essi hanno difatti una visione incentrata sulla famiglia, considerata il nucleo fondamentale della società, ed individuano pertanto nella casa un luogo sicuro, al riparo dai pericoli del mondo, dove poter rintanarsi con i propi familiari, al pari di un “nido” pascoliano. Nonostante ciò, oggi gli italiani che acquisteranno una casa molto probabilmente saranno a rischio povertà. Se si considerano le famiglie che intendono ricorrere al credito per abbandonare l’affitto a favore di un appartamento di proprietà, la “soglia di povertà” potrebbe crescere ancora. Queste persone spenderanno il loro reddito per pagare la rata del mutuo; si troveranno in difficoltà a sostenere le spese ordinarie (alimenti, bollette, istruzione per figli, etc.); per loro aumenterà la rischiosità in caso di eventi straordinari (la rottura di un elettrodomestico, la manutenzione dell’automobile, etc.); dovendo rispettare le scadenze delle rate del mutuo, potranno cadere nella trappola dell’usura. Le famiglie più esposte sono quelle con un solo genitore con figli a carico, quelle in cui il capo famiglia ha un titolo di studio medio-basso (licenza media e licenza elementare) o fa parte del “popolo delle partite iva” ed è più esposto al precariato. Sono moltissime le storie di famiglie che palesano un impoverimento progressivo che non trova argini in misure e interventi di solidarietà o di politiche di sostegno.  Per contrastare tale deriva e far sì che tutti abbiano la possibilità di avere una casa dignitosa, risulta necessario promuovere politiche sociali e fiscali che vadano in tale direzione ancor prima di ricorrere al credito che non sempre è lo strumento idoneo a rispondere al bisogno abitativo. Le variabili che incidono sul diritto alla casa sono molte: il reddito delle famiglie, oggi messo in pericolo dal numero crescente di lavoratori precari; il valore degli immobili che è stato ed è oggetto di speculazioni con pericolo di restare prigionieri di bolle; il costo del credito che per alcune tipologie di nuclei non è sopportabile. È importante pertanto un’azione di educazione al ricorso al credito che, sulla base di comportamenti consapevoli e responsabili, eviti il sovraindebitamento. Sarebbe opportuno prevenire eccessivi indebitamenti delle famiglie attraverso una vera responsabilizzazione di chi eroga credito, nonchè combattendo le asimmetrie informative, garantendo l’accesso alle informazioni ad entrambi i contraenti, tutelando in particolar modo la parte debole. Per chi è cristiano la casa è davvero un luogo “sacro” e fondamentale per permettere alla famiglia di avere stabilità e sicurezza, così da poter essere realmente la società naturale fondata sul matrimonio così come delineata dalla nostra Costituzione; ne deriva il dovere morale di diffondere un nuova concezione della finanza e di taluni istituti giuridici; è opportuno difatti un salto di qualità culturale che permetta di porre l’accento sull'”anima” delle leggi. Il professionista di oggi che assiste il cittadino deve essere più di un semplice professionista: deve garantire quell’apporto aggiuntivo che possa consentire la nascita di un rapporto fiduciario cliente-consulente basato su una concezione etica e moralmente orientata della professione.

*DINO TARQUINI Studente Universitario II° anno Facoltà di Economia presso l’Università de L’Aquila –  indirizzo “Amministrazione delle imprese” / altro suo articolo già pubblicato “Quanttative Easing” (maggio 2015)