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Vivere senza Soldi

Se pensate che qui, in Italia, non si possa vivere senza l’ euro, andate in Sardegna. E provate a dire in giro che voi pagate in Sardex. Cosa? A parte benzina, farmaci ed energia elettrica, potrete comprare tutto, sia beni che servizi. E quindi alberghi, dentisti, falegnami, elettricisti, meccanici, consulenti di marketing, sale congressi, corsi di lingua inglese, pubblicità sui giornali locali, vestiti, mobili, ristoranti e persino la connessione Internet. Oltre al cibo, vino e carni, tutto rigorosamente sardo, come il resto. Il Sardex è la “moneta a chilometro zero”.
Solo che non è una moneta, nel senso che fisicamente non esiste, non ne hanno stampato nemmeno una banconota: esiste solo su Internet. E quindi potremmo dire che tutti i Sardex in circolazione – oltre un milione, ma il dato cresce ogni giorno – stanno su un server, un computer in un piccolo comune agricolo tra Cagliari e Oristano: Serramanna. Qui, in un bel casolare, l’ hanno inventato quattro ragazzi, sardi naturalmente, non solo di nascita, ma di cultura. Fieri della loro terra. Quattro ragazzi che si erano stufati di sentirsi dire che i sardi sono “pochi, matti e divisi” come al tempo degli aragonesi; o che se un sardo deve chiedere qualcosa a dio sapendo che un suo vicino avrà il doppio, il sardo dirà: dio, cavami un occhio.

Luoghi comuni. Il Sardex lo sta già dimostrando. Perché si basa su due principii di vita: il primo è che se il tuo vicino guadagna, stai meglio anche tu; e il secondo afferma che nessuno se ne va col bottino e nessuno resta solo. Sembra il nuovo vangelo. Ma uno di quelli apocrifi, come vedremo. Questa parabola inizia nel 2006: Carlo Mancosu, Piero Sanna, Giuseppe e Gabriele Littera sono in giro per l’ Europa e la sera si sentono su Skype. Non hanno studiato economia ma sono affascinati dal tema delle monete complementari, le alternative currencies. Nel mondo ce ne sono centinaia, spinte dal web e dalla fiducia reciproca invece che da una imposizione legale.

Secondo il Wall Street Journal, con la crisi di dollaro ed euro, rappresentano un possibile futuro dell’ economia. Alcune sono molto controverse, al limite della legalità, come i Liberty Dollars o i Bitcoin; altre stanno avendo un buon successo come il Res belga o la sterlina ecologica di Brixton. In Italia il fenomeno non è nuovo, racconta Pierluigi Paoletti, 52 anni, ex consulente finanziario dall’ aria mite che oggi guida un piccolo movimento che sostiene da tempo cose non molto diverse da quelle di Occupy Wall Street. Per esempio: «La moneta è solo un sistema di sopraffazione che serve a fare i ricchi più ricchi». Torniamo alla storia. «Il primo esperimento italiano – ricorda Paoletti – risale al luglio del 2000 quando il giurista Domenico Auriti, che si batteva contro l’ usura, emise il Simec nel suo piccolo comune natale di Guardiagrele, in Abruzzo; decise che valeva il doppio delle lire, i pensionati si entusiasmarono per questa improvvisa iniezione di liquidità ma la guardia di finanza ne decretò bruscamente la fine. Tre anni dopo in Calabria il presidente del parco dell’ Aspromonte Tonino Perna fece stampare alla Zecca dello Stato l’ Ecoaspromonte: era bellissimo, troppo forse ed ebbe breve vita».

Arriviamo così al 2007 a Napoli: l’associazione Masaniello, che si ispirava alle cose che Paoletti scriveva in rete sul suo blog <centrofondi.it> stampa gli Scec, «lo sconto che cammina». Spiega Paoletti, che oggi guida l’arcipelago Scec fatto di 10 mila associati con duemila imprese: «Formalmente e fiscalmente è uno sconto. In realtà è un dono che tu faia un altro membro della comunità affinché lui spenda i suoi soldi lì». I modelli sono tanti, quindi. Ma nell’ estate del 2006 i quattro ragazzi sardi si entusiasmano per l’ antica vicenda del Wir, una moneta creata in Svizzera da 16 imprenditori per superare la crisi del ‘ 29: oggi rappresenta una rete di 80 mila aziende locali.

La Sardegna potrebbe fare lo stesso, pensano. E nel luglio del 2009 varano il Sardex: per semplicità decidono che un Sardex varrà un euro ma spiegare la moneta senza moneta non è affatto semplice. Ci vogliono nove mesi a mettere a segno la prima transazione: da allora è un crescendo continuo, 420 aziende affiliate e un totale delle transazioni quadruplicato in un anno. Come funziona una moneta che non c’ è? «Come una camera di compensazione di crediti e debiti», spiegano. Quando un’ azienda entra nel circuito le vengono assegnati dei Sardex: «È un fido bancario ma senza interessi».

L’assenza di interessi è un punto fondamentale: non si fa denaro con il denaro, i soldi servono solo a scambiarsi beni e servizi. Questa apparente eresia si chiama finanza etica. E quindi i Sardex assegnati a chi aderisce rappresentano l’ importo di beni e servizi che ciascuno è disposto a vendere e a comprare nel network. Entro dodici mesi, quella posizione va pareggiata: se una azienda è in difficoltà si muovono tutte le altre e se proprio è impossibile tornare in pareggio – ma non è ancora mai accaduto – , la posizione viene saldata in Euro. È questo intervento umano che fa dire al loro presidente Gabriele Littera, 26 anni, che «non abbiamo dietro un algoritmo, ma relazioni, cioé i nostri broker, che cercano di far combinare affari aiutando chi è più debole. La tecnologia è un ausilio». L’ euro però non scompare: e non solo perché ogni azienda decide di usare i Sardex per smaltire le possibili giacenze di magazzino, i probabili tavoli vuoti al ristorante, le ore inoperose di un artigiano. Ma perché in euro si pagano l’ Iva, le altre imposte, i contributi previdenziali. E questo rende il business legale oltre che trasparente (l’ evasione nel mondo dei Sardex è impossibile essendo tutto tracciato in tempo reale).

I veri vantaggi sono altri, però. «La ricchezza resta sul territorio e vengono valorizzati i prodotti locali». E con la crisi in corso non è poco. Per questo il Sardex va. Renato Soru, l’ inventore di Tiscali, ne è un sostenitore entusiasta e prevede una espansione in tutta Italia: in Sicilia sta partendo un network gemello che si chiama Sicanex; a Torino in consiglio comunale il Popolo della libertà e i grillini concordano sulle necessità di creare il Taurino; e a Nantes, in Francia, due italiani sono al lavoro per creare il Bonùs.

Qualcosa sta cambiando insomma. E molto. Lo scorso 8 dicembre Giuseppe Littera si è messo la coppola ed è andato alla City di Londra dove è stato invitato a svelare l’ arcano sardo a una platea di investitori internazionali; nel frattempo i dirigenti della Banca Centrale dell’ Ecuador sono stati qualche giorno a Serramanna per imparare. E finalmente sono arrivati i soldi (in euro) di un venture capital per sviluppare il progetto con obiettivo stratosferico: in dieci anni transare il 10% dell’ economia sarda, due miliardi e rotti di euro. Ci riusciranno? Dipende da come andrà il passaggio da moneta fra aziende (com’ è adesso) a moneta per consumatori, previsto in primavera. Prima però è previsto un lancio atteso con molta curiosità in questo mondo: quello del Dropis. Un sistema con il quale ciascuno diventerà banca centrale di se stesso. Lo stanno realizzando due giovani italiani, Sebastiano Scrofina e Dario Perna che stanno scrivendo righe su righe di codice per realizzare una moneta peer-to-peer senza confini: «Sarà lo Skype dello banche», sogna Scrofina, forte del recente sostegno di due investitori storici del mondo internet italiano. Il Dropis funzionerà così: chiunque voglia vendere qualcosa in rete, si assegna via Internet dei Dropis pari al prezzo che vuole incassare. «I Dropis sono baratti di promesse» spiega Scrofina. Che valore hanno? «Quello che uno gli vorrà riconoscere. Quei soldi sono garantiti dai beni o servizi disponibili e sono subito spendibili in rete per chi li vuole accettare. È troppo poco? Con la crisi di liquidità che c’ è in giro,  è moltissimo».

Comunque vada a finire, l’ impressione è che la guerra all’ euro sia appena iniziata.

Riccardo Luna

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