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Una mostra per ragionare

Ungheria, 23 ottobre – 11 novembre 1956

Si chiude oggi l’11 novembre, la mostra fotografica sulla Rivoluzione d’Ungheria, esposta all’Accademia ungherese di via Giulia, 1. E’ dedicata a Di Biasi, un nostro grande fotoreporter, giornalista e collaboratore di una grande rivista, Epoca, che negli anni cinquanta polarizzava i desideri d’informazione dell’Italia intera.

Molti italiani che vissero quel momento oggi sono anziani, ed ai ragazzi sono state date ad arte notizie vaghe e confuse, se non dichiaratamente di parte: la paura di un nuovo conflitto era tanta e si badava a non offendere il blocco sovietico. Inoltre l’impatto della sua gelida azione di repressione che dimostrò quanto ancora incivile e barbaro fosse l’Oriente spaccò in due l’allora compatto, almeno in facciata, Partito Comunista, legato al cordone economico stalinista e trascinato dalle foie di primato e di dominio.

Le cause di quel coraggioso volere di libertà del popolo ungherese furono suggerite dai fatti di Berlino est, quando i tedeschi volevano togliersi le catene comuniste, dai movimenti operai della Polonia, dall’ira sorda ed inespressa dei paesi danubiani con al collo il giogo del dittatore Stalin. La capitale magiara prese il via per il suo riscatto, da una manifestazione di giovani ed operai, contrastata a mitragliate dai governi di Matyas Rakosi e Janos Kàdar, e dalle dimostrazioni operaie di Poznan. Il giovane Woitjla prese forse da là la lunga e sofferta via che scardinò piano piano quel blocco feroce ed invasore che ebbe ragione di ragazzi ed inermi a Pest.

Le foto mostrano la maggior parte di rivoltosi che erano giovani e ragazze dai 14 anni, perlomeno dichiarati, in poi: finiti fra gli artigli insanguinati della repressione bolscevica, furono incarcerati per essere impiccati quando ebbero la maggiore età, ed il fatto non necessita un commento ulteriore. Ma anche altri cittadini di ogni tipo misero sull’altare sacrificale la loro vita per poter vivere da ungheresi e non da servi o macchine per fabbricare armi.

In Italia, finita nel sangue e nella distruzione la Rivoluzione, l’orrore fu tale da spingere Pietro Nenni a strappare la tessera del Partito e lasciarlo per fondare il Partito Socialista, che raccolse molti come lui; e lo sdegno fu tanto da trascinare via dal PCI intellettuali, artisti, scrittori, come Italo Calvino, politici come Giolitti, Trombatore ed altri. L’Avanti denunciò l’omicidio mascherato da giustizia di tutti quelli che si facevano paladini della felicità e della libertà secondo il marxismo, e rimane come un odioso testimone di nequizia la presenza schernitrice e favoreggiatrice del nostro ex Presidente Napolitano e del cosiddetto “migliore” Togliatti, certamente non come umanità, per il plauso agli eccidi.

Spero che tutti quei corpi, nelle fosse comuni, nelle strade, della gente di Ungheria sappiano quanto la loro Nazione sia stata grande ed importante: ha iniziato a far ragionare l’Europa, ed a pulire dalle menzogne sinistre dei bulimici del Potere gli stati che ne sono stati martiri.

Marilù Giannone

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