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Alessandro Borghese: come far soldi con il food

Il pubblico lo conosce come lo chef dalla risata contagiosa innamorato del rock, che giudica baby colleghi a “Junior Masterchef”, o sancisce quale ristorante di Napoli sia il vero depositario del segreto della pizza.

Ma Alessandro Borghese è molto di più. Quarant’anni, nato a San Francisco da Barbara Bouchet e Luigi Borghese è prima di tutto un imprenditore di successo, poi un cuoco di successo.

Tramite la sua società “AB Normal” e il brand “Alessandro Borghese – Il lusso della semplicità”, gestisce un piccolo impero che si estende dal catering, al banqueting, all’utensileria da cucina, passando per produzione televisiva, web communication, negozi di pasta fresca e consulting. Non pago, da febbraio si aggiungerà anche un ristorante da 50 coperti con scuola di cucina e cocktail bar annessi, a City Life, l’esclusivo quartiere sorto sulle ceneri della vecchia Fiera di Milano («La città che è destinata a cresce di più in Europa», prevede).

Insomma, l’affabile cuoco è il timoniere di una holding da oltre due milioni di fatturato, in continua espansione. Una società nata grazie alla lungimiranza dimostrata da Borghese, forse il primo a comprendere come «anche uno chef poteva avere un lato social».

L’idea vincente è stata «investire cifre non indifferenti nel mondo social quando ancora molti non ne comprendevano la portata», spiega, «Ho creato alessandroborghese.com e la mia pagina Facebook oltre 10 anni fa, da lì si è sviluppata la società che si occupa di comunicazione web e che oggi produce format tv, i miei (“Alessandro Borghese Kitchen Sound” in onda su Sky Uno HD) e quelli di altri, come Bruno Vanzan (il flair bartender protagonista di “Cocktail House”)».

Borghese si è dimostrato anche un capace capo azienda, consapevole di come un cuoco non possa più permettersi di essere solo un “artista del tegame”, perché «oggi lo chef deve sì avere il cuore sui fornelli, ma la testa negli affari».

E per lui la via degli affari passa per la comunicazione. «Chi fa il mio mestiere deve far sapere all’esterno cosa sta facendo in tempo reale, ma deve anche tenersi continuamente aggiornato su quanto accade nel mondo».

Ma come può un uomo solo aprire locali, organizzare catering, ideare e registrare format, seguire la catena di negozi e trovare anche il tempo per scrivere libri (il terzo è in scrittura)? Semplice, non può. Per questo Borghese considera imprescindibile il lavoro di squadra: «Gli imprenditori italiani sono degli accentratori assolutisti. I miei anni negli Usa mi hanno invece insegnato che il segreto è saper mettere insieme le persone con le giuste competenze: non potrei seguire tutto senza delegare».

La prima domanda che pone agli “allievi” è “Quanta fame hai?”

Nel suo giro d’affari, un ruolo importante se lo giocano le consulenze date tanto alla grande catena internazionale quanto ai giovani imprenditori.
E con questi ultimi è un maestro inflessibile: «Tanti vogliono investire nel food, dove c’è molto spazio, ma dove ti puoi fare anche molto male». La prima domanda che pone agli “allievi” è secca: “Quanta fame hai?”. Per imporsi servono una motivazione forte, un’idea imprenditoriale concreta, un business plan accurato. In troppi – e questo è anche colpa della tv – pensano che aprire un locale sia una facile via di fuga da un altro mestiere… In realtà la ristorazione ha costi alti e margini bassi».

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E per chi non passa l’esame, il consiglio è sempre: «Studiare, studiare e ancora studiare!», che nella sua accezione significa viaggiare il più possibile, perché un cuoco che non abbia faticato nelle cucine di Parigi, New York o Tokyo, non ha chance. «Non sono per la fuga dei cervelli, ma sono per la loro “trasferta temporanea”! L’estero insegna a interiorizzare un diverso modello del lavoro. Poi però quel bagaglio te lo devi riportare in Italia!».

Lungimiranza, sapiente uso dei social, capacità di delega, un avanzato modello produttivo, tutti ingredienti che hanno fatto di Borghese uno dei nomi più noti della cucina italiana. Ma da soli non sarebbero stati sufficienti, se non si fossero accompagnati a un’insopprimibile brama di trovare ogni giorno una nuova sfida.

Tanto è vero che il vulcanico chef pensa già al futuro: «Mi piacerebbe che “Quattro ristoranti” diventasse una sorta di nuova guida gastronomica, “un diverso tripAdvisor”, magari con un proprio sito…», confessa, «e poi sto pensando a un’esperienza nel settore alberghiero. Di sicuro lì qualcosa potremmo fare!».

articolo di Lorenz Martini via businessinsider.com