Anna Wintour: dieci pagine su Vogue in aiuto di Hillary Clinton
Non solo. Alla sfilata di Marc Jacobs durante la settimana della moda di New York la direttrice ha persino sfoggiato una delle magliette della campagna pro-Hillary, firmate dallo stilista e in vendita a 45 euro sul sito ‘Made for History’.
Nel servizio sul mensile patinato, vestita Michael Kors l’aspirante primo presidente donna nella storia degli Stati Uniti posa davanti all’obiettivo di Mario Testino nel suo quartier generale di Brooklyn, lo sguardo fisso verso l’orizzonte.
Il ritratto, al pari delle foto, è lusinghiero e non menziona i sondaggi di Hillary in caduta libera, nè le polemiche sull’erosione del voto femminile. Viene invece citata una donna dell’Iowa che parla della candidatura della ex First Lady come un “atto di generosità” nei confronti del paese e del proprio sesso. E’ di qualche giorno la polemica scatenata dalle “grandi vecchie” del partito democratico, l’icona femminista Gloria Steinem e l’ex segretario di Stato Albright, che avevano accusato le donne americane di aver tradito la propria causa spostandosi sul fronte di Bernie Sanders. Lo scarruffato senatore “socialista” non è certo il tipo che la Wintour inviterebbe alle sue cene, come invece ha fatto più volte negli ultimi mesi per Hillary: tra l’altro a Manhattan, a casa di Vera Wang, e a Long Island, nella villa di Tory Burch.
Tra Anna e Hillary d’altra parte, se non del tenero (entrambe hanno fama di avere cuore di ghiaccio) c’è comunque da sempre solidarietà, infatti più di una volta, il direttore di Vogue, ha aiutato la Clinton a trarsi d’impaccio, ad esempio quando la trasformò in “ragazza copertina” nel bel mezzo dello scandalo di Monica Lewinsky, complici un abito di velluto di Donna Karan e le foto di Annie Leibowitz.
Stavolta su Vogue le dieci pagine dedicate all’ex First Lady non sono interrotte da pubblicità. E non è chiaro se altri “endorsment’ arriveranno dalle altre testate della catena: Anna Wintour nel 2013 è diventata “direttore artistico” dell’intero impero CondèNast: solo il New Yorker e Vanity Fair esulano dal suo regno.
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