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Chiesa di Narni

CHIESA di NARNI

Il pieghevole all’ingresso del piccolo complesso artistico parla dei Longobardi che combattevano i Bizantini e costruivano cappelle ipogee completamente affrescate. Questo è inoltre il luogo dove si nota la divergenza, come in altri storici siti in Italia, fra pittura cattolica e pittura ariana, visto che i Langobardi erano tali. L’informazione giunge da più studiosi,come Demongeot e Soerres, autori della Treccani, De Vecchi, che dicono ancora che la differenza si sarebbe lentamente confinata ed attenuata dopo il decreto di Giustiniano del 540, desideroso di uniformare, per evitare inimicizie, l’arte di ogni nazione del suo impero, che doveva attenersi al pensiero cattolico.

Un brevissimo cenno sui Longobardi si rende necessario: i Winnili, nome originario, di appartenenza scandinava e quindi di religione e cultura norrena, intorno al 440 avrebbero raggiunto i confini dell’Impero Romano d’Oriente mescolando la loro cultura con quella dei bizantini e con quella di altri popoli romanizzati lungo il percorso compiuto.


I Longobardi credevano in Wotan e adattarono la religione alla confusa situazione del miscuglio di popoli e credenze rinvenute. A contatto con il cristianesimo di tipo greco, denso di controversie per eresie e opposizioni di vescovi e filosofi, soprattutto per quello che riguardava la natura di Cristo, essi preferirono affidarsi al cristianesimo più vicino al loro pensiero originario nordeuropeo, con forti tendenze conservative e non dichiaratamente più diffuso, l’arianesimo diffusosi alla fine del 200 d.C..
Ario era un vescovo di discendenza romana, nato in Libia, osservatore attento dello Gnosticismo,, corrente di pensiero religioso che raccoglieva varie esperienze antiche e l’insegnamento di Cristo, e che negava la fisicità di Questi . Gnosis era la Conoscenza, la Sapienza Santa, lo Spirito Femminile Dio. Insieme a questa fede vi era un filone minore di ricerca religiosa, il Modalismo, che ben presto Ario lasciò in disparte: siamo nel 256, e le genti disputavano sul Cristo fino a rendere doveroso il Concilio di Nicea il 325, seguito da un secondo l’anno 431 ad Efeso, un altro a Calcedonia il 451 sul monofisitismo, cioè l’unica natura divina di Cristo, corpo ed anima, ed un altro ancora a Costantinopoli, il 692, per finire in un secondo a Nicea il 787.
Il concilio primo di Nicea voluto da Costantino, sostiene che Gesù è dio anche nel corpo, generato non creato, e quindi per esso si relega la figura di Maria a semplice Madre di Dio, al terzo posto, per così dire, dopo Padre e Figlio, e nella sua presenza si relega ancora la donna a mera fattrice senza importanza, fomentatrice di tentazioni e “rovina del religioso”, senza anima, come riteneva Agostino e come invece discutevano le uniche e poche vere lettere di Paolo di Tarso (Galati, 3 – 28)
dove egli ripete la Bibbia ma non calca la mano come altrove. La Sapienza Santa è emarginata e chiunque creda ad Ario, schiaffeggiato da un vescovo isterico, è eretico e scomunicato.
Insieme alla donna si perseguita l’amore fra due persone come peccaminoso, a meno che non sia l’orribile definizione di “dovere” coniugale.
I Longobardi, lontani da dispute filosofiche ma prendendo atto dei fatti, restano tuttavia ariani e, dopo l’ingresso in Italia il 568, fanno arte diversa da quella cattolica, come attestano ancora De Vecchi, e Cecchelli (Chiese ariane d’Italia) e dunque, pur non equiparando la donna dal punto di vista civile allo status dell’uomo (Editto di Rotari), rispettano la donna e credono al Femminile divino secondo la loro tradizione. Restano poche testimonianze di ciò per due motivi fondamentali: l’obbligo imposto da Giustiniano a cattolicizzare le espressioni artistiche, e la mancanza di barocchismi di sante, beate e beati, santi in pompa magna, vescovi , preti, papi, elemosine come il popolino voleva e come l’enfasi del Cattolicesimo tuttora dimostra. L’arte ariana era specchio della loro fede: non credevano ai santi, non credevano alla natura corporea di Cristo come divina (infatti spesso era raffigurato in simbolo, come mantello regale deposto su uno scranno), usavano la croce, a pianta greca e leggermente patente, per indicare l’etnia, o per puro ornamento o per simbolo direi quasi alchemico, infine credevano , come da millenni, anche alla Dea .
La chiesa di Narni ha sull’arco del transetto la figura di Cristo stante in un tondo, nella chiave di volta, affiancata da altri tondi che raffigurano due angeli con cartiglio, due bestie che sembrano leoni con cartiglio anch’essi ,e due arcangeli alla base. Il tutto è assai rovinato ma abbastanza chiaro per evidenziare, un disegno leggero e sicuro, quasi inciso, che ricorda l’arte del 1000 – 1200, ed un colore chiaro, a campiture larghe, con interventi di umidità che lo hanno qua e là virato .Un pensiero ad affreschi simili corre a Castelseprio, con identica iconografia, a S.Maria Maggiore di Roma, ed al mosaico di S.Maria in Trastevere. Più lontani, Cividale, Cimitile, Reghena, Spoleto, ed al sud nella Daunia. I cartigli aperti e chiusi di angeli ed arcangeli parla chiaro di conoscenza manifesta ed immanifesta, mentre è da notare la figura di Michele Arcangelo, in basso a sinistra di chi entra, immancabile in ogni opera longobarda, il culto per il quale è ampiamente attestato e spiegato come Potenza del Cristo. Di qui ai Catari, ai Templari ed altri movimenti religiosi il riferimento appare normale.
Al centro dell’abside e comprendente tutto il catino, sotto un cielo velato da un baldacchino di nubi o di astri, sono raffigurati Cristo e Maria, interpretata ossequiosamente come Madre di Dio, ma piuttosto vicina ad altra figura femminile oscurata dal potere ufficiale, visto che le fonti come Paolino da Nola, Qumram, Vangeli apocrifi (in particolare quello di Filippo) ne parlano chiaramente. I due personaggi sono accanto e Cristo incorona la donna seduta alla sua destra, inequivocabilmente sua pari, come dimostra il simbolo della cattedra sulla quale entrambi sono seduti, simbolo, dicevamo, della reciprocità del loro essere, mentre l’incoronazione ha un significato sponsale. Citiamo Paolino da Nola: “ beata lei che gustò Cristo nella carne e ricevette il corpo di Cristo nella realtà fisica”. Simili a questa figurazione è il mosaico absidale di S.Maria in Trastevere, anche questa nel gesto e nella disposizione lontanissima ad un espressione filiale. Bellissime le parole di Dante, “Figlia del tuo Figlio”, ma nella Natura,nostra Legge, è impossibile o dà origine ad equivoci, mentre la fede è diretta e chiara. Deve essere doveroso osservare come le parole nel tempo possano essere fuorvianti e portare a danni.
Si tratterebbe dunque di Maria della città fortificata di Magdala, della quale la giovane era principessa e non prostituta pentita, come l’ostilità invidiosa di Pietro, fondata sulla religiosità ebraica, ha saputo diffondere. Jacopo da Varagine e gli studi su Qumran ne parlano, lo riportano gli Apocrifi.
La giovane avrebbe seguito Gesù il Cristo fino ad essere, dopo la crocifissione, costretta a fuggire con pochi fedeli e la progenie. I concetti esposti ed il culto per San Michele, e lo stile pittorico , l’assenza nella composizione di presenze in parte devianti dalla purezza del concetto, in parte utile sistema per indottrinare gente spesso analfabeta e la mano che descrive queste figure, essenziale, rapida, infine un’ osservazione ai soggetti raffigurati nelle chiese ariane, riportate nel corpo di questa considerazione, farebbero facilmente ritenere che anche questa chiesa ipogea, sulla quale si imposero in seguito i Domenicani, farebbe parte di esse, proseguendo in modo leggero e silenzioso il pensiero gnostico, poi evolutosi in fede ariana e perchè no, veramente, fedelmente Cristiana.

Marliù GIANNONE