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I piccoli gadget fanno le griffe milionarie

Il cinema, prima che ci pensassero i marchi di moda, ha offerto diversi spaccati sui clienti attratti dalle boutique griffate ma con pochi denari in tasca: 10 dollari era il budget di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (e il commesso del negozio di gioielli le offrì un lapis argentato per girare la rotella del telefono), mentre 50 sterline era la cifra per un regalo in Quattro Matrimoni e un funerale (e bastava a comprare 30 buste di carta). Da qualche stagione però le griffe hanno fiutato il business del cliente «voglio ma non posso» e hanno messo sul mercato piccoli gadget firmati a prezzi accessibili, capaci di muovere un business da oltre 5 miliardi di euro. Tra i prodotti più riconoscibili spiccano l’astuccio per iPhone di Moschino (prezzo al pubblico 69 euro), l’orsetto portachiavi di Burberry (125 euro), o i ninnoli a edizione limitata per il Natale di Fendi. 
Così se fino a poco tempo fa i prodotti per accedere alle griffe erano più che altro di bellezza o gli occhiali, ora è la piccola pelletteria e i charms a costituire l’Eldorado delle marche.
Le sole vendite di portachiavi griffati nella catena londinese Selfridges sono balzate del 100% l’anno scorso, mentre le cover per i telefoni intelligenti sono a tutt’oggi l’articolo più venduto per un premium brand. A sorpresa anche gli adesivi a marchio sono una categoria la cui vendita è cresciuta del 175% nel grande magazzino inglese di Regent’s Street.
Il sito Business of fashion assieme agli esperti ha sottolineato l’emergere di questa categoria di ninnoli, definiti «tchotchkes» di lusso, termine che in lingua yiddish significa ciondoli o oggetti vari. Intanto la società di ricerca Euromonitor International ne ha tracciato un perimetro dei ricavi: nel 2015, ad esempio, la piccola pelletteria griffata ha portato in dote alle griffe un business di 5,7 miliardi di dollari (pari a 5,2 miliardi di euro a tassi correnti), con una crescita anno su anno del 5,3%. Ma le previsioni stimano che entro il 2020 i ninnoli dei marchi arriveranno a pesare per 7,5 miliardi di dollari (6,9 miliardi di euro).
«Negli ultimi cinque anni molti marchi del lusso hanno ampliato il loro portafoglio e diversificato nelle diverse aree geografiche», afferma Fflur Roberts, la manager responsabile dei beni di lusso per Euromonitor International. «Ma l’ultima di queste innovazioni è l’aumento tchotchkes di marca dalle principali etichette».
Alcuni gadget che per intendersi costano quanto costava un impermeabile firmato fino a 12 anni fa: è il caso, tra l’altro, dell’orsetto di peluche Thomas di casa Burberry, realizzato (come recita il sito) «a mano in Inghilterra dallo storico produttore Merrythought, creatore di peluche classici dal 1930». Costo al bancone: 525 euro.
Ciononostante questi articoli hanno incontrato il favore dei clienti con picchi di tutto esaurito ad esempio nei grandi magazzini come Harrods. Proprio la catena inglese è stata anticipatrice del fenomeno cominciando a vendere (per farsi pubblicità) orsacchiotti, borse della spesa, cioccolatini e portachiavi con i bus di Londra.
Le griffe che hanno avuto più successo con i gadget sono quelle che hanno riprodotto nei piccoli oggetti le collezioni della marca o la sua storia. Ad esempio, il portachiavi di Fendi «Karlito», che riproduceva in pelliccia le sembianze del direttore creativo Karl Lagerfeld, non è mai arrivato nei negozi, ma è andato sold out sul web. E guadagnano copertine (Vogue Korea fra le altre) anche gli ABCharms, in pelliccia del marchio romano del gruppo Lvmh.
Pure i portasmartphone di Moschino sono andati a ruba, prima nella versione pacchetto di patatine simil-McDonald’s, che ha ripreso la collezione del 2014 e quest’anno con le sembianze di un detersivo per i vetri (prezzo al pubblico 69 euro) come nuovo profumo della maison, Fresh Couture.
La mania dei charms appartiene alle giovani generazioni che vogliono emulare la marca. Ma soprattutto questi accessori riescono a dare un tocco di novità anche alle collezioni di borse iconiche come ad esempio Prada.
«In definitiva si tratta di prodotti posizionati a livelli di prezzo accessibile e sono il primo touch point con il lusso per chi non ha le somme necessarie per un vero oggetto griffato», conclude Roberts. «Anche i marchi ci guadagnano: i margini su questi prodotti sono molto alti e soprattutto i gadget non diluiscono ma esaltano l’identità del brand».

 

articolo di Francesca Sottilaro via Italia Oggi