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Il “vaffa day” in politica

Dai KOOLY NOODY alle FACCE DA CULO 

Quando gli storici si occuperanno di raccontare fatti e personaggi della seconda repubblica, dovranno affrontare il tema scabroso del decadimento dei costumi, degli atteggiamenti villani, del linguaggio triviale, del premio all’ignoranza, della mortificazione del merito che ci hanno inflitto i politici al governo negli ultimi venti anni.

Gente pagata dagli italiani, perché rendesse migliore la vita del Paese che istituzionalmente rappresenta e che invece ha pensato solo al proprio benessere mortificando il lavoro onesto e sottopagato della gente comune e violando il giuramento, obbligatorio all’atto dell’assunzione di ogni pubblica funzione, di operare per il bene della nazione.

Piccoli, squallidi, parvenu senza alcun merito, che per troppi anni hanno ridacchiato alle spalle dei contribuenti e degli ideali di democrazia, confidando nell’indole paziente degli italiani. Accanto a quelli che hanno sopportato tutto, soddisfatti di stare in pace con la propria coscienza, c’è stato anche un esercito di persone che si sono accontentati  di badare al proprio piccolo tornaconto, il più delle volte illegittimo, stando al calduccio della propria nicchia.

I furbetti del cartellino, i finti invalidi, i funzionari bustarellari, gli impiegati felloni, i medici falsari, gli imbrattatori di strade e di monumenti, gli automobilisti pirati, gli scippatori e i pusher se ne sono sempre infischiati delle ruberie di chi stava in alto: della prescrizione dei reati contro l’Amministrazione, delle torsioni alle procedure democratiche, dei contratti dei derivati che hanno indebitato il Tesoro, i Comuni, le Banche, dei mega stipendi e mega compensi a consulenti finti, del peculato a ripetizione, dell’interesse privato in atti di ufficio, delle maxi evasioni fiscali e della corruzione, del mondo torbido che gira intorno al gioco, alle lotterie, alla televisione, dell’avvelenamento del paese e dell’ambiente.

lega-nord-roberto-calderoli-invoca-le-dimissioni-di-rosy-mauro Nella decadenza generalizzata fece scalpore, qualche tempo fa, una certa Rosy  Mauro, catapultata da badante del capo partito, come vice zarina della Lega,  alla prestigiosa funzione di vice Presidente del Senato, cioè vice della seconda  carica dello stato. Di questa donna di modesta cultura e di modi popolari,  dopo un’esperienza nella UIL e nel SAL (sindacato autonomista lombardo)  diventata segretaria del Sin. Pa. (l’ineffabile sindacato padano) con soli  cinquanta aderenti, resta memorabile la presidenza di una seduta di Palazzo  Madama, immortalata da un video che ha fatto il giro delle televisioni e delle  case degli italiani, in cui gestiva i lavori d’aula alla stregua di un’Erinni  isterica. Quarantanovenne alle soglie della decadenza fisica, miscuglio di  arroganza e certezza di impunità, volle reinventarsi una seconda giovinezza scegliendosi un fidanzato di 15 anni più giovane, cantante per hobby nel complesso canoro dei Kooly Noody (pronuncia: culi nudi), ma di professione poliziotto in aspettativa, titolare di un contratto di consulenza con il Senato che gli conferiva il ruolo di assistente personale e guardia del corpo della vice presidente.

L’ambizione al titolo di studio, il mitico pezzo di carta della laurea vista come ascensore sociale, aveva affascinato anche lei: le pareva brutto essere al vertice delle istituzioni solo con un diploma di scuola media. Pensò quindi di rivolgersi al segretario amministrativo della Lega Belsito (avete presente quel semi analfabeta alla Razzi, che è stato pure Sottosegretario e membro del CdA della Fincantieri?), già esperto in diplomi taroccati. Si sa che l’appetito vien mangiando ed allora perché limitarsi a comprare solo la sua laurea in Svizzera senza provvedere anche per il suo gigolò al quale assicurare un futuro più brillante? Oplà con i fondi della Lega tutto a posto. Passione per la cultura soddisfatta. Dottore lei, dottore pure lui per la modica cifra di 120 mila euro.

Altra legislatura ma stesso copione. Vengono premiati i politici meno istruiti (Orlando, Ministro della Giustizia con appena la maturità scientifica, politico da batteria di allevamento; Lorenzin, Ministro della Salute con appena la maturità classica seguace di Alfano e premiata nonostante le gaffe sul fertility day; Poletti, Ministro del Lavoro, con appena il titolo di perito agrario, presidente delle cooperative rosse e talmente rozzo da disprezzare i laureati che emigrano in cerca di occupazione e di riconoscimento della meritocrazia) ma la sorpresa che fa gridare allo scandalo ed attivare una raccolta di firme per le dimissioni è della Valeria Fedeli, quella fedeli1217-3 con i capelli rosso fuoco da clown, ex sindacalista dei tessili. Da vice  presidente del Senato, si è vista affidare nel Governo Gentiloni nientemeno  che il dicastero dell’Educazione, dell’Università e della Ricerca Scientifica. Un  incarico da far tremare le vene nei polsi soprattutto se si tiene conto dello  sfacelo della scuola italiana, del terribile flop della riforma Giannini e del  calibro dei predecessori. Dall’unità d’Italia in quel palazzone di viale  Trastevere sono passati nomi di ineguagliabile sapienza e cultura del livello di  De Sanctis, Amari, Sella, V.E.Orlando, Gentile, Bottai, Segni, Spadolini,  Malfatti, Lombardi, Berlinguer, De Mauro, Moratti, nonché Sergio Mattarella, l’attuale Capo dello Stato che ha fatto una smorfia di dolore nel raccogliere il giuramento della Fedeli, persona che non è nemmeno laureata, a dispetto di quanto pubblicato sul curriculum ufficiale e che non ha neppure conseguito il diploma di maturità.

Al decadimento culturale della nostra classe politica si accompagna anche il decadimento comportamentale che ci fa apparire all’estero come il paese delle maschere, attaccate al potere e dal linguaggio servile o sboccato. Siamo lontani anni luce dal comportamento dignitoso e davvero onorevole di politici anglosassoni o francesi che dopo una sconfitta politica si ritirano a vita privata: il premier britannico Cameron sconfitto nel referendum sulla Brexit, Al Gore candidato alla presidenza degli USA, sconfitto per un pugno di voti da Bush jr., De Gaulle sconfitto di misura nel referendum sulla riforma del Senato. Ma quelli erano statisti e non quaquaraqua di provincia.

Chissà quante volte il pubblico televisivo avrà visto girare il filmato di Renzi che declama la sua volontà di lasciare la politica se sconfitto al referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale, seguito a ruota dalla ministra Boschi, che conferma la volontà di lasciare anch’essa, visto che la riforma porta le due firme Renzi-Boschi.

Dunque nessuna meraviglia se Renzi, al quale il popolo incominciava a chiedere il conto di tre anni di governo e di promesse senza aver fatto quella svolta che aveva posto a piedistallo e trampolino per la sua ascesa politica, si è limitato a dimettersi da capo del governo mantenendo in pugno il partito della maggioranza assoluta alla Camera. Nessuna meraviglia per quelli che hanno un pelo sullo stomaco se la Boschi è rimasta a Palazzo Chigi come Sottosegretario unico alla Presidenza, cioè quasi vice premier e se i ministri, quanto più incompetenti, sono rimasti ai loro posti.

Chi ha un po’ di discernimento credeva di averne viste già abbastanza per assumere su di sé la vergogna provata per il comportamento contraddittorio di simili personaggi, ma non immaginava quello che sarebbe accaduto nell’assemblea del PD. Roba far sembrare orazioni da seminaristi le espressioni usate dai parlamentari del M5S e far restare basito anche l’osservatore più coriaceo.

Renzi si è presentato alla tribuna, con il solito fare da bullo spaccone per affermare, con l’urlo di chi ha vinto, “abbiamo perso, anzi abbiamo straperso”. Come abbiamo? E’ lui che ha perso insieme ai suoi adulatori!. Si è comportato come Schettino, il capitano vigliacco che dopo il disastro, frutto di imprudente arroganza, dice agli ufficiali che stavano con lui in plancia di comando “abbiamo fatto un casino” sapendo che lui era l’unico responsabile.

Un altro perdente, tal Giachetti asfaltato nella corsa al Campidoglio, sale alla tribuna per insultare direttamente il deputato Speranza, esponente della minoranza, a proposito della legge elettorale, accusandolo di “avere la faccia come il culo” per essersi dichiarato favorevole al “mattarellum”, con una volgarità che supera di gran lunga quella già sanzionata di altri parlamentari alla D’Anna o alla Barani che non può essere giustificata.

Piccola chiosa: ma chi è ad aver cambiato idea? Non è forse Renzi che aveva posto la fiducia sull’italicum ed ora è pronto a rifare un’altra legge elettorale del tutto diversa sconfessando se stesso?

TORQUATO CARDILLI 

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