Intervista con il Potere….. nelle parole di Oriana Fallaci
Cosa accadde quando entrasti nel supermarket, Rascida?
Entrai spedita e agguantai subito il carry-basket, sai il cestino di metallo dove si mette la roba, il cestino con le ruote. Al supermarket c’è il self-service, ti muovi con facilità. La prima cosa da fare, quindi, era togliere i due bussolotti di marmellata dalla mia borsa e metterli nel carry-basket. Ci avevo già provato ma con oggetti più piccoli, non così pesanti, coi bussolotti grandi no e per qualche secondo temetti di dare nell’occhio. Mi imposi calma, perciò. Mi imposi anche di non guardare se mi guardavano altrimenti il mio gesto avrebbe perso spontaneità. Presto i bussolotti furono nel carry-basket. Ora si trattava di rimetterli a posto ma non dove li avevo presi perché non era un buon punto. Alla base avevo caricato i due ordigni a distanza di cinque minuti, in modo che uno esplodesse cinque minuti prima dell’altro. Decisi di mettere in fondo al negozio quello che sarebbe esploso dopo. L’altro, invece, vicino alla porta dove c’era uno scaffale con le bottiglie di birra e i vasetti.
Perché, Rascida?
Perché la porta era di vetro come le bottiglie di birra, come i vasetti. Con l’esplosione sarebbero schizzati i frammenti e ciò avrebbe provocato un numero maggiore di feriti. O di morti. Il vetro è tremendo: lanciato a gran velocità può decapitare, e anche i piccoli pezzi sono micidiali. Non solo, la prima esplosione avrebbe bloccato l’ingresso. Allora i superstiti si sarebbero rifugiati in fondo al negozio e qui, cinque minuti dopo, li avrebbe colti la seconda esplosione. Con un po’ di fortuna, nel caso la polizia fosse giunta alla svelta, avrei fatto fuori anche un bel po’ di polizia. Rise divertita, contenta. E ciò le provocò un nuovo accesso di tosse.
Non ridere, Rascida. Continua il tuo racconto, Rascida. Sempre senza guardare se mi guardavano, sistemai i due bussolotti dove avevo deciso. Se qualcuno se ne accorse non so, ero troppo concentrata in ciò che stavo facendo. Ricordo solo un uomo molto alto, con il cappello, che mi fissava. Ma pensai che mi fissasse perché gli piacevo. Te l’ho detto che ero molto graziosa quella mattina. Poi, quando anche il secondo bussolotto fu nello scaffale, comprai alcune cose: tanto per non uscire a mani vuote. Comprai un grembiule da cucina, due stecche di cioccolata, altre sciocchezze. Non volevo dare troppi soldi agli ebrei.
Cos’altro comprasti, Rascida?
I cetriolini sottaceto. E le cipolline sottaceto. Mi piacciono molto. Mi piacciono anche le olive farcite. Ma cos’è questo, un esame di psicologia?
Se vuoi. E li mangiasti quei cetriolini, quelle cipolline?
Certo. Li portai a casa e li mangiai. Non era un’ora adatta agli antipasti e mia madre disse, ricordo: «Da dove vengono, quelli?». Io risposi: «Li ho comprati al mercato». Ma che te ne importa di queste cose? Torniamo al supermarket. Avevo deciso che l’intera faccenda dovesse durare quindici minuti. E quindici minuti durò. Così, dopo aver pagato uscii e tornai a casa. Qui feci colazione e riposai. Un’ora di cui non ricordo nulla. Alle undici in punto aprii la radio per ascoltar le notizie. Le bombe erano state caricate alle sei e alle sei e cinque, affinché scoppiassero cinque ore dopo. L’esplosione sarebbe dunque avvenuta alle undici e alle undici e cinque: l’ora dell’affollamento. Aprii la radio per accertarmene e per sapere se… se erano morti bambini nell’operazione.
Lascia perdere, Rascida. Non ci credo, Rascida. Cosa disse la radio?
Disse che c’era stato un attentato al supermarket e che esso aveva causato due morti e undici feriti. Rimasi male, due morti soltanto, e scesi per strada a chiedere la verità. Radio Israele non dice mai la verità. La verità era che le due bombe avevan causato ventisette morti e sessanta feriti fra cui quindici gravissimi. Bè, mi sentii meglio anche se non perfettamente contenta. Gli esperti militari della mia base avevano detto che ogni bomba avrebbe ucciso chiunque entro un raggio di venticinque metri e, verso le undici del mattino, al supermarket non contavi mai meno di trecentocinquanta persone. Oltre a un centinaio di impiegati.
Rascida, provasti anzi provi nessuna pietà per quei morti?
No davvero. Il modo in cui ci trattano, in cui ci uccidono, spenge in noi ogni pietà. Io ho dimenticato da tempo cosa significa la parola pietà e mi disturba perfino pronunciarla. Corre voce che ci fossero arabi in quel negozio. Non me ne importa. Se c’erano, la lezione gli servì a imparare che non si va nei negozi degli ebrei, non si danno soldi agli ebrei. Noi arabi abbiamo i nostri negozi, e i veri arabi si servono lì.
Rascida, cosa facesti dopo esserti accertata che era successo ciò che volevi?
Dissi a mia madre: «Ciao, mamma, esco e torno fra poco». La mamma rispose: «Va bene, fai presto, stai attenta». Chiusi la porta e fu l’ultima volta che la vidi. Dovevo pensare a nascondermi, a non farmi più vedere neanche se arrestavano i miei. E li arrestarono. Non appena il Fronte Popolare assunse la paternità dell’operazione, gli israeliani corsero da quelli che appartenevano al Fronte. Hanno schedari molto precisi, molto aggiornati: un dossier per ciascuno di noi. E tra coloro che presero c’era un compagno che sapeva tutto di me. Così lo torturarono ma lui resistette tre giorni: è la regola. Tre giorni ci bastano infatti a metterci in salvo. Dopo tre giorni disse il mio nome, così la polizia venne ad arrestarmi ma non mi trovò e al mio posto si portò via la famiglia. Mio padre, mia madre, mia sorella maggiore e i bambini. Mia madre e i bambini li rilasciarono presto, mio padre invece lo tennero tre mesi e mia sorella ancora di più. Al processo non ci arrivarono mai perché in realtà né mio padre né mia sorella sapevano niente.