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LA BANDIERA ITALIANA

In Roma, a via Cernaia, nella Sala dei Certosini, che come sempre ospita interessanti conferenze, il 21 marzo gli ascoltatori erano numerosi . Il Relatore, Ing. Roberto Piazzini, si stropicciava le mani compiaciuto della presenza di molti soci del Rotary Club e solleticato nell’orgoglio dai mirallegri di molte signore.


La conferenza è però iniziata tardi per problemi tecnici alla riproduzione video: gli astanti, per ingannare l’attesa si sono messi in gruppi a conversare del più e del meno, commentando il contrattempo e raccontandosi facezie. Fra di loro c’era un terribile essere che eseguiva su un libretto caricature una dietro l’altra dei poveri convenuti , ed ad un certo punto gli si è sentito dire alla vicina: “ te li immagini nudi tutti questi qui?” e la vicina non finiva più di ridere, seguendo le evoluzioni della impietosa matita.
Era un modo per scivolare via dal capannello che si era formato prima alle sue spalle, fatto di attempate Grazie che insistevano per farsi dire di quali malanni il goliardico partecipante soffriva. Avevano provato di tutto: parlavano di enfisema, con mille osservazioni e citazioni di rimedi, di artrite, contraddicendosi con diagnosi di reumatismi, di diverticoli e coliti, con ampie dimostrazioni di esiti e cure, placebo e appuntamenti presso studi medici, indagando poliziescamente sulle vaghe risposte fornite dall’artista sulle prime in incognito . Costui notava fra sé che il soggetto dibattuto è tipico dei luoghi di raccolta, ma è oltremodo fastidioso. Non ci sono distese immense di argomenti fra gli esseri umani ? E dunque, perchè evidenziare quelli più intimi, quelli meno attraenti, in considerazione anche dell’età, gareggiando poi su pareri e farmaci per fare a chi è più bravo?
Ad ogni modo, il convegno si è avuto: bellissime diapositive irraggiate da un video di fortuna, ma efficace, con la prima bandiera sventolata il 1797 a Reggio Emilia, un poco stinta, ma trionfante.
Voluta, poi contesa con cambi di colore e di disposizione di fasce, dalla Repubblica napoleonica Cisalpina e dalla Cispadana. Bandiere vetuste, pezze flosce di stoffa cariche di storia, di rivoluzione, di ideali: si moriva per il significato grandioso di questi tessuti, il tricolore mutuato dal blu-bianco-rosso francese, divenuto incrocio di coagulo di tante eroiche azioni per una sola Patria.
Rapidamente si è scesi ai moti del 1821, quelli che nelle scuole non sanno più cosa sono, ed ancora più giù, a Napoli dove Re Bomba non voleva la Costituzione, in Sicilia dove si tentava un’indipendenza da questo sovrano, e poi a ritroso sulla penisola: la Campania, il Generale Pepe, la Toscana, la Lombardia, con bellissime figure di tricolori finalmente nel loro aspetto definitivo, ma decorate, sul bianco, dalle insegne regionali, ricche di simboli, sfociate tutte nella Bandiera del Regno, con le armi dei Savoia. Il Relatore ha chiesto: perchè ora siamo così?: abbiamo la Bandiera, la Costituzione, non abbiamo più né Re, né quel fiero Garibaldi raffigurato a cavallo che si scopre la testa davanti a Vittorio Emanuele a Teano, e non abbiamo più l’Italia.
E l’artista, alzata la matita dal foglio, ha avuto voglia di impugnare un’arma.
La conferenza è finita, con una rasserenante immagine di donne armate di archibugi nei ranghi della Guardia Civica di Pio IX, quindi l’anfitrione sacerdote della Sala ha puntato l’indice su tante associazioni pseudoreligiose che scompaginano la vita dei popoli, ha detto qualche pseudoverità e poi tutti, con le innumerevoli ossa scricchiolanti e gli organi malandati si sono precipitati da centometristi al buffet, incrociando le posate come spade, colmando i bicchieri di liquidi colorati. Dietro l’artista un sospiro: “ah, lei sì può mangiare le puntarelle… a me si gonfia la pancia, sa,.. la colite..”.

Marilù Giannone

*pubblicato con enorme ritardo, per un imperdonabile errore o dimenticanza