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La Divina Commedia e gli Alchimisti

ALCHIMISTI nella DIVINA COMMEDIA ___________Marilù GIANNONE  

 Il canto che li riguarda è quello XXIX° dell’Inferno. Da dove Dante traesse nozione della loro esistenza e della loro opera è facile reperire: le associazioni spirituali come quelle dei Fedeli d’Amore avevano perlomeno qualche nozione di ciò che fosse Alchimia , tanto è vero che spesso si evince dai versi delle composizioni qualche riferimento ad un opportuno processo alchemico. Non solo, ma se si osserva la produzione letteraria del tempo, ed in particolare quella che precede ed origina il Dolce Stil Novo, vale a dire tutto l’insieme di fioritura poetica presente in Italia e Francia nel 1100, si nota che più di un paragone di una qualità di un dato oggetto o di qualche stanza di una canzone cita processi e soggetti alchemici, sia pur talvolta mistificati con nomi di bestie o piante. Ciò avviene spessissimo fra i poeti della Scuola Siciliana, erroneamente intesi come intellettuali che giocassero con le rime, che producessero divertissements da salotto.

C’è da ritenere che gli erbari fossero  facilmente pascolo di Alchimisti, intenti a comunicare le caratteristiche ed i buoni effetti anche terapeutici di questo o quel vegetale. Non va dimenticato, infatti, che la scienza farmaceutica , anche a carattere magico, si basava sulle conoscenze del mondo vegetale e minerale. Dante nel canto XXIX° al verso 19° lascia parlare Griffolino d’Arezzo, che le cronache del tempo al di là del Nostro definiscono “ grande e sottilissimo alchimista” e che visse intorno al 1270, per finire sul rogo come eretico grazie alla vendetta  di uno sciocco eminente senese, Albero,e per intervento del vescovo di Siena,timoroso di qualsiasi ombra che potesse invadere l’opera massificatrice di Santa Romana Chiesa.

Non si hanno purtroppo notizie ulteriori sull’opera e l’attività di Griffolino, espunto dalla storiografia ufficiale cattolica e da quella a questa sottomessa, né dell’altro alchimista cui Dante accenna, anche con un poco più di precisione rispetto al precedente: Capocchio, che il Sommo poeta dice “ei seppe contrafar ogni cosa che volea”ove si rammenta che “contrafar” sta per “trasmutare, modificare”. Capocchio parla nella Commedia in prima persona, dicendo che “io fui di natura buona scimia” Scimmia in alchimia è, appunto, il ricercatore, l’alchimista, la “Scimmia dei saggi” è la materia ottenuta depurando un minerale dalle scorie; c’è poi l’altro personaggio vicino a lui, Stricca , semplicemente citato, e poi Bartolomeo de’ Folcacchieri detto “l’abbagliato” , ovvero il matto, l’allucinato. Spicco di poco più consistente lo ha Niccolò dei Salimbeni, che introdusse a Siena la coltivazione e la preparazione dei chiodi di garofano. L’uso dei soprannomi ha purtroppo resa pressoché inutile una ricerca anagrafica più completa.

L’Alchimia nel tempo dantesco era vista in parte come farmacia, ed in gran parte come una “falsificazione” di metalli. Gli alchimisti erano detti, con disprezzo, “soffiatori” per l’attitudine tipica di essi a tenere costante il fuoco sotto il crucibolo soffiando sulla fiamma o usando un mantice, onde fondere ed amalgamare i soggetti contenuti. In realtà, accanto a vere personalità di scienziato,  esistevano gruppi di ciarlatani che ignoravano i veri scopi dell’arte regia, e che si affannavano intorno a strani miscugli e sopra a definizioni scientifiche per essi incomprensibili al fine di fabbricare l’oro, non cioè il meglio di un uomo, ma l’oro volgare.

Giunta fino a noi dall’Egitto, come si può ben capire dal termine stesso alchimia “al-chemi”, cottura, rimasto , variato di senso, nell’europeo comune, come si vede nello spagnolo “bruciare”, : quemar , questa indagine empirica ha origini remote. In Arabia si dice che l’instauratore sia Giabùr ibn Hayyan, vissuto nel 7° sec. ed autore di 5 libri sull’argomento,il testo più importante dei quali, la Summa perfectionis magisterii, è scomparso misteriosamente. Alcuni coevi all’uomo detto sostengono che l’opera  fosse scritta in latino , e che esistevano altri testi sia di questo Maestro, sia di altri, dall’8° al 1400° sec., noti anche ad Arnaldo di Villanova, medico, politico, e ricercatore formatosi in Arabia , poi a Parigi e Montpellier, dove insegnò la sua materia.

E’, questo soggetto, l’ eminenza del tempo quanto all’arte regia, e quanto a medicina. Egli fu, infatti, archiatra di Bonifacio VIII e di altre teste coronate. La Chiesa ha purtroppo condannato i suoi scritti come eretici, e bruciati, si noti, intorno al 1317, vale a dire durante la persecuzione dei Templari, togliendo alla scienza nostra dei preziosi studi: Arnaldo auspicò il rinnovo del mondo e fu fra coloro che, per opera del grande Paracelso, fondarono la chimica farmaceutica.

Coevo di Arnaldo è il Doctor Mirabilis Ruggero Bacone, nella lontana Oxford e a Parigi. Amico del papa Clemente IV, che lo protesse come scienziato, Ruggero raccolse il meglio dell’alchimia nella sua “opus maius” e proseguì lo studio fino a giungere a scoperte che attualmente formano la base di molte ricerche sulle scienze naturali. Scrisse anche “opus minus” e “opus tertium” e “Compendium studii philosophiae”. Non si limitò al mondo vegetale, ma si ricordano come notevoli le sue esperienze ed i suoi assunti intorno all’arcobaleno, ed ai fenomeni astronomici.

Come si vede il mondo vero dell’Arte Regia è tutt’altro che oscuro e malefico. Poiché in natura nulla esiste di negativo, se non nell’interpretazione e nello scopo di chi l’indaga, bisogna rivolgere lo sguardo di condanna a chi, con l’evidente scusa del maleficio, inibì lo sviluppo intellettuale dell’uomo, ed il beneficio che le sue fatiche potevano apportare all’intera umanità. Non si lamenterà mai molto contro ogni estremismo religioso, vera barbarie d’ogni tempo, che si fa scudo dello spirito per ridurre tutto a volgare materia. L’Alchimia al contrario spiritualizza questa, nel rispetto delle sue leggi, servendosi dei suoi processi per il perfezionamento dell’uomo.

Al tempo di Dante la persecuzione contro chi non si adeguava ai dettami del cesarismo cattolico era forte : ricordiamo qui che  anche per  una semplice appartenenza ad un gruppo differente Dante fu forse costretto all’esilio, e così altri nobili come Cavalcanti, i sonetti dei quali parlano di questo accanirsi contro i membri dei Fedeli.

Una nota in più è che, in tutti i movimenti culturali liberi, tesi alla mistica o alla spiritualità, lo studio dell’alchimia è un dato naturale: così per i Rosa+Croce come nei Templari, nei gruppi a carattere meditativo o cavalleresco questa arte è emblema di depurazione e di equilibrio del soggetto umano, e  questi inoltre si adopererebbero per restituire al mondo il femminile che la tirannia ecclesiale opprime, restituendole il dato naturale della formazione e della gestazione di un prodotto.

Ciò che s’impone è sterile, e ciò che comprende in sé e trasmuta, gestando, un soggetto, crea, e crea figli di vera Natura, non già mostri.

Bibliografia:

Dante Alighieri – Purgatorio (Sansoni) // Boccaccio – Vita di Dante (Treves, 1800)

Cambridge University Press, voce: Alchimisti //

Ludovico Gatto – Medioevo quotidiano (Mondadori) // Francesco Roversi – Dante fedele d’Amore (Paravia)